del Cap. Stefano Commisso
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale
anno 5 – n° 7 – 1/05/2003 – p. 6
Il 27 ottobre 2002 volavo a bordo di una delle “Frecce” in compagnia di “Pony 9”, il Cap. Andrea Braga; era il volo di chiusura della stagione delle manifestazioni e ci stavamo allineando all’atterraggio.
Improvvisamente un uccello entra in una presa d’aria motore e lo spegne. In men che non si dica, Braga realizza l’accaduto, attua tutte le azioni previste dalla “check list” delle emergenze, valuta freddamente il momento (ed ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a mantenere il sangue freddo), poi mi ordina di eiettarmi, perché non ce l’avremmo mai fatta a portare l’aereo in pista. Dopo aver verificato il mio lancio e l’aereo, che manteneva un assetto adeguato per l’impatto al suolo, lontano da zone pericolose (abitate), solo in quel momento si è lanciato. Dirò solamente che la mia quota al momento del lancio non superava i 100-120 ft; provate quindi ad immaginare a che altezza si è eiettato lui, considerando che il “339”, “planava”senza spinta in configurazione “flaps e carrello down”!
Credo assolutamente che la freddezza e la rapidità con cui Braga ed io (in minima parte come passeggero) abbiamo gestito l’emergenza sia derivata dalla nostra preparazione professionale, frutto di anni di esperienza e di costante applicazione. Il ripetere incessantemente e giornalmente le procedure di emergenza ( i piloti lo fanno ogni mattina, al briefing generale) sarà senz’altro una “noia”, però fa sì che esse vengano praticamente interiorizzate, così da essere usate quasi meccanicamente quelle rare volte (per fortuna!) che dovessero servire. Nel nostro caso, eravamo veramente bassi ed il tutto si è svolto in una manciata di secondi; di sicuro uno spegnimento motore a 10.000 ft lo avremmo gestito con un filo in più di calma. Ma quella mattina non c’era proprio tempo per fare niente, se quanto abbiamo fatto (e lo abbiamo fatto bene!), applicando quelle procedure trite e ritrite che anche i piloti esperti della P.A.N. ripetono “sempre”.
Frecce Tricolore investite da un uccello, due feriti lievi
da L’Unità, 28 ottobre 2002, p. 13
UDINE È stato l’impatto con un uccello a causare l’incidente accaduto ieri a Rivolto, in fase di atterraggio, ad un caccia MB339 della Pattuglia acrobatica nazionale, le Frecce Tricolori.
Intorno alle 11 – secondo una prima ricostruzione – l’aereo del 313/o Gruppo addestramento acrobatico stava rientrando alla base di Rivolto, insieme con gli altri velivoli della pattuglia, dopo un volo di addestramento della durata di una quindicina di minuti. Durante la manovra di avvicinamento alla pista, un uccello si è posto sulla traiettoria dell’aereo ed è entrato nell’unico motore del mezzo, provocandone lo spegnimento. Il velivolo, dopo aver divelto una quindicina di pali della rete di recinzione della base, è finito in un campo circostante, nei pressi dell’inizio della pista, senza provocare danni nè a persone nè ad edifici.
Il pilota, il capitano Andrea Braga, 29 anni, di Milano, appena accortosi di quanto stava accadendo, ha dichiarato lo stato di emergenza e, dopo aver posizionato il velivolo in modo da ridurre le conseguenze al minimo, si è lanciato col paracadute assieme al capitano Stefano Commisso, 30 anni, di Udine, che era seduto alle sue spalle. I due ufficiali, che hanno riportato leggere lesioni.
Frecce Tricolore investite da un uccello, due feriti lievi
da Corriere della sera, 28 ottobre 2002, p. 23
Un uccello è finito nel motore di un jet delle «Frecce Tricolori» in fase di atterraggio all’aeroporto di Rivolto (Udine), spegnendolo. I capitani Andrea Braga, 29 anni, di Milano (pilota) e Stefano Commisso, 30 anni, di Udine, si sono lanciati col paracadute e il velivolo è finito con danni modesti in un campo. Leggere lesioni per i due ufficiali.
Incidente di Volo MB 339 PAN - Anatomia
Impatto con volatile… quando l’addestramento aiuta a salvarti!
a cura del Ten. Col. Pil. Andrea BRAGA
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale, anno 20 – n° 35 – 01/03/2018 – pag. 15
anche in Sicurezza del Volo, Anno LXV, n° 321, maggio/giugno 2017, p. 12 e segg.
DESCRIZIONE DELL’EVENTO
Comincio a leggere l’articolo dell’ultimo numero della Rivista SV e…cavolo! …mi accosto al computer ed ecco rispuntare le mie impressioni di quel lancio di quasi 15 anni fa, scritte distese sul letto e poi lasciate lì, travolto dai pensieri della convalescenza, del recupero dell’idoneità, dalla voglia di tornare in formazione e nello stesso tempo dal terrore che la schiena non tenesse.
Ve lo riporto ora, così a caldo, come l’ho vissuto allora…
È passato un mese dal giorno dell’incidente e, approfittando del riposo imposto dalla convalescenza, decido di raccontare gli avvenimenti che mi hanno coinvolto.
Il tutto si è svolto in brevissimo tempo, o meglio in una manciata di secondi.
Per questo, oltre a descrivere ciò che è accaduto, ripercorrerò quegli istanti cercando di rivivere i pensieri e le emozioni (assai più numerosi dei secondi) di quei concitati momenti.
È il 27 ottobre, una tranquilla domenica in cui dobbiamo effettuare un sorvolo, nelle vicinanze dell’aeroporto, in occasione di una cerimonia degli alpini.
Con me vola come passeggero, l’Ufficiale Tecnico di Gruppo Cap. Stefano COMMISSO,
… ”Comandante con chi vado in volo?”…, chiede al Comandante di Gruppo.
… ”scegli tu”, gli risponde lui…
Scelta non fu più azzeccata!
La giornata è una delle migliori, perché al rientro dalla missione ci aspetta una grigliata per concludere in bellezza una stagione intensa, ma ricca di soddisfazioni. Per l’occasione, infatti, sono venuti in base alcuni familiari ed amici: è un giorno di festa.
La missione, abbastanza breve, si svolge regolarmente senza intoppi e in formazione di nove velivoli ci portiamo all’iniziale per un atterraggio singolo.
Il mio posto in Pattuglia è di secondo fanalino, in gergo “numero nove”, e sono l’ultimo nella sequenza d’atterraggio (il solista, il numero 10, non partecipa ai sorvoli).
Termino la virata base e controllo la mia posizione sul sentiero d’avvicinamento, per evitare la fastidiosa scia dei velivoli che mi precedono.
“Sono messo bene”, penso, ma un istante dopo vedo un volatile venirmi addosso con una velocità di chiusura tale da non poterlo evitare.
Lo stesso sparisce quasi subito dalla mia visuale sulla sinistra della fusoliera, ”…no porc……” sono sicuro che urterà l’aereo, è troppo vicino ”…non entrare nel motore…”; ma la mia preghiera non funziona e, una frazione di secondo dopo, le mie speranze svaniscono.
Nella mia precedente esperienza di Pilota presso il 23° Gruppo mi è capitato più di una volta di avere impattato un volatile con lo “spillo”, ma il “J79” non mi ha mai abbandonato, anzi, sembrava proprio non risentire dell’inconveniente: in questo il 104 era di certo una garanzia!
Rimango molto sorpreso quando, dopo il rumore tipico dell’impatto, ne percepisco un altro, un po’ meno tipico in volo: quello del motore che si spegne, come uno “shut-down” al parcheggio; il calo improvviso di spinta e di giri confermano il mio timore.
Da quel momento in poi il mio cervello subisce una dilatazione temporale: ogni attimo è per me un’eternità (anche se la Commissione d’Investigazione ridurrà gli avvenimenti a circa 10 secondi).
Un istante d’incredulità! Subito la mia mente va alle azioni d’emergenza e alle esperienze analoghe dibattute nei briefings e riprodotte tantissime volte in addestramento.
Il velivolo è configurato per l’atterraggio, allineato in finale a 130 kts circa, ad una quota di 280 ft.
Effettuo la chiamata radio: ”nove, emergenza, ho preso un uccello mi si è spento il motore” (mi precedono due velivoli non ancora atterrati) e contemporaneamente applico la procedura di “riaccensione calda”.
Dico all’Ufficiale Tecnico: “se non si riaccende mi sa che ci dobbiamo lanciare”, mentre il “sette” e l’”otto” riattaccano per lasciarmi priorità nell’avvicinamento.
Purtroppo, il motore non dà segni di vita, e, poiché sto sorvolando una zona priva d’abitazioni, sgancio le taniche sub-alari nel tentativo di migliorare l’efficienza per planare verso la pista, pensando inoltre di posizionare i flaps da LAND a T/O.
Ricontrollo i parametri: la velocità di 100 kts in diminuzione non mi permette alcun cambio di configurazione, la distanza dalla pista e l’elevata velocità d’avvicinamento al suolo mi confermano l’impossibilità di tentare l’atterraggio.
“…Lanciamoci…”
“Ok”, mi risponde.
La risposta rilassata e tranquilla mi stupisce, non sono sicuro che abbia capito.
”…Lanciati!” Gli ripeto con sollecitudine.
Poco dopo lasciati i comandi, a mia volta, tiro la maniglia d’eiezione.
Sono catapultato fuori e nell’uscire dall’abitacolo avverto un forte colpo sul casco. Il seggiolino si proietta a sinistra del velivolo, ruota e intravedo la terra…
”…speriamo che si apra subito…”, penso tra me. Non riesco a finire il pensiero che sento lo strattone del paracadute che si apre… ”ha funzionato…”.
Avverto però un forte dolore alla schiena, pendolo verso il basso e subito guardo verso terra. Inoltre, ho un dolore in fronte, sopra l’occhio destro e del sangue scende in quantità impedendone la corretta visuale.
Vedo sotto di me i filari di una vigna. ”…speriamo d’evitarli…”. La discesa è lenta, ma è solo un’illusione: in due secondi sfioro un filare con i piedi e tocco terra.
L’atterraggio riesce meglio delle aspettative, sono provato dai traumi del lancio, ma riesco ad attutire il colpo accasciandomi al suolo su un fianco.
Un attimo prima ero dentro l’abitacolo e ora sono sdraiato all’aria aperta in mezzo ai filari su cui si distende il paracadute.
Sono contento, perché sono vivo. Questa è la mia prima sensazione, ma un attimo dopo comincio a preoccuparmi… ”…da dove viene tutto questo sangue?…”.
Mi sgancio la “release box” e mi libero dalle cinghie, il casco è calzato correttamente con la visiera abbassata, me lo tolgo, sembra integro, a parte una crepa sul copri-visiera e dei graffi sulla visiera stessa.
Mi tampono col sottocasco l’occhio destro che intanto si è gonfiato a dismisura…
”…almeno ci vedo e muovo le gambe…”, penso. L’aereo è a circa quaranta metri da me. “Ma dov’è il mio passeggero?”. Non riesco a vedere l’abitacolo posteriore e sono preoccupato per lui. ”…Speriamo che si sia lanciato…”. Passa un manciata di secondi e lo vedo poco lontano da me. “Bene, ce l’ha fatta anche lui!”
I due velivoli che hanno riattaccato sorvolano il luogo dell’incidente, faccio un cenno con la mano, ma sono alti, al secondo passaggio si abbassano un po’ di più e provo ad alzarmi per farmi vedere. Il dolore alla schiena è forte, riesco solo a mettermi “carponi”, li saluto e mi ristendo. Sono vicino alla rete aeroportuale, non mi resta altro che aspettare i soccorsi.
Li vedo sbucare da dietro il relitto del velivolo: quattro persone a piedi seguite da un gigantesco Perlini. “Eccolo lì, eccolo lì!” sono le indicazioni di un cacciatore (che di certo non ha fatto bene il suo mestiere) che si avvicina dalla parte opposta.
L’Ufficiale Tecnico ed io veniamo caricati sull’ambulanza e poi via verso l’ospedale dove, dopo alcune ore di esami vari, la diagnosi: ferita lacero contusa palpebrale destra e frattura postraumatica delle vertebre D9 e D10 per me e una distorsione alla caviglia per il mio passeggero.
Ho qualche perplessità riguardo alle mie ferite: “come potevo essermi tagliato sopra l’occhio, se la visiera era abbassata e integra?”.
“Perché avevo un forte dolore alla schiena?”.
La preparazione al lancio è stata veloce, ma mi sembrava di aver assunto la posizione corretta.
Dopo l’indagine, l’ipotesi formulata nella relazione della commissione è che il casco abbia urtato una parte di tettuccio non completamente frantumato; questo avrebbe provocato la frizione contro la fronte e quindi il taglio, il colpo potrebbe avermi scomposto in fase di uscita dall’abitacolo, provocando le fratture vertebrali.
…sta il cacciator fischiando sull’uscio a rimirar
fra le rossastre nubi stormi di uccelli neri…
ANALISI
È incredibile quanti pensieri affollino la mente in una situazione improvvisa di pericolo: tutte le azioni intraprese sono state conformi alle procedure previste, ma anche inglobate nel più ampio panorama della conoscenza e della memoria di episodi analoghi in cui i carichi non sono stati sganciati o il pilota non si è lanciato procurandosi lesioni maggiori. Sono conoscenze derivate da chiacchere aeronautiche davanti ad un caffè o da una semplice lettura di articoli, ma a prescindere dalla provenienza sono esperienze su cui un professionista di questo mestiere ama confrontarsi e riflettere.
La pista d’atterraggio era lì vicino, quasi a portata, ti viene da far di tutto per raggiungerla, ma quando vedi i filari di una vigna avvicinarsi con una prospettiva e una velocità veramente inusuali, capisci che è il momento di tirarsi fuori e che rimanere dentro non è salutare.
La condizione del relitto mi ha poi dato ragione.
Malgrado fossi cosciente dell’eccezionalità della situazione, la decisione è stata naturale. Sono rimasto lucido durante il lancio: erano chiari l’orientamento, le forze che agivano sul mio corpo e le
sensazioni fisiche.
Oggi racconto questo evento grazie anche all’intenso addestramento che mi ha permesso di riconoscere immediatamente la situazione e predispormi per le previste azioni di eiezione. L’addestramento serve a contrastare il cosiddetto ”oblio dell’informazione”, ovvero quel fenomeno per cui se un dato, una procedura, una situazione non vengono riviste continuamente e costantemente finiscono per essere dimenticate, oppure difficili da recuperare in brevissimo tempo.
ANALISI
L’essere umano ha delle oggettive limitazioni cognitive legate ai processi di memorizzazione, attenzione e percezione che influenzano direttamente il processo di decision making. L’impatto con volatili è un fenomeno difficilmente prevedibile le cui conseguenze sono molteplici.
Per poter evitare di perdere la S.A. rimanendo sorpresi è indispensabile addestrarsi a tutti i possibili scenari che si possono verificare. Non ultimo l’eiezione dal velivolo. L’addestramento continuo e costante permette di rafforzare i processi di “recupero” delle informazioni, ampliare le conoscenze sulle potenziali situazioni di pericolo che si possono verificare, migliorando quindi la percezione. Così facendo si favorisce un rapido accesso alle informazioni disponibili e una rapida e corretta azione di decison making.
Non sottovalutiamo, quindi, l’addestramento che rappresenta una delle più efficaci azioni di prevenzione. Un lancio col Martin Backer non ve lo auguro, ma nello sfortunato caso accada, spero che la mia esperienza vi possa aiutare.
Per la cronaca… esattamente un anno dopo l’incidente, dopo il briefing mattutino e l’elogio da parte del Comandante di Gruppo sulla gestione dell’emergenza per l’anniversario dell’evento, siamo andati in volo, all’atterraggio ho avuto un altro bird strike.
La mia comunicazione radio è stata seguita da un gelido silenzio del leader, che ho subito rassicurato sul funzionamento del motore. Da quel giorno il 27 di ottobre cerco sempre di stare in ferie.