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da “La meravigliosa avventura” di Renato Locchi – Aviani Ed.

Fumare colorato, stendere in cielo la bandiera del proprio paese, era l’aspirazione e la ‘croce e delizia’ per tutti i “leaders” di una formazione acrobatica italiana e straniera del secondo dopoguerra.

Fortunati ed invidiati i ‘teams’ statunitensi e svedesi – i soli “fumanti” colori a comando – tenendo “top secret” la formula chimica.
E questa ‘chiusura al prossimo tuo’ era dovuta al fatto che ‘il colore’ dava loro in competizione una indiscutibile marcia in più.

Per il ‘bianco’, invece, non c’erano più segreti: si trattava con l’olio bruciato o con la vaselina.
In casa nostra, la ‘smoke’s story’ è stata ancora più sofferta, più tormentata.
Eppure avevamo una tradizione nel campo specifico.

Infatti, nel 1932, in occasione della ‘2^ Giornata dell’Ala’, svoltasi sull’aeroporto di RomaLittorio, un ‘team’ di 5 AC3 – velivoli da ricognizione ad ala alta, di sede a Ciampino – scriveva nel cielo ‘Italia’ e il ‘nodo Savoia’, grazie ad una super-bombola agganciata sotto l’ala, contenente nebbiogeno (materiale e congegno di erogazione copiati e adattati dagli impianti installati sulle navi da guerra).
Nella circostanza il pilota tirava il ‘cordoncino’… si spaccava il vetrino.., e dall’ugello fuoriusciva il nebbiogeno.

Stranamente, principio e bombola, per dare più coreografia alla figura acrobatica, non venivano adottati dai ‘teams’ acrobatici di allora. Un neo per l’italica fantasia.

Con l’era del jet, i fumogeni, seppure con l’erogazione ad esaurimento, venivano d’obbligo, una necessità nella ‘top figure’ del programma di volo. Più ancora a beneficio della sicurezza nell ‘esecuzione della manovra che per la coreografia della figura acrobatica.

Così i ‘Getti Tonanti’ (1953-1955) e le ‘Tigri Bianche’ (1955-1957) impiegavano il fumogeno – un nebbiogeno a base di cloridrina solforosa più acido solforico – nella presentazione della ‘bomba’: dalla ‘salita’ per la sommità, all’apertura, all’incrocio e al ricongiungimento. Il tempo esatto per svuotare il contenitore.
E per il pilota che doveva controllare le separazioni e la posizione degli altri, era tanta manna; per la gente, vivendo momento dopo momento l’esecuzione della figura, ancor più brivido e suspense.

Se poi tirava qualche nodo di vento di più sul fronte del pubblico e il tasso di umidità quel giorno era sù (in tal caso l’erogazione della cloridrina solforosa – trattandosi di una combinazione altamente igroscopica – aumentava la scìa in densità), il capo formazione doveva avere l’accortezza di impostare più ‘al largo’ la manovra, in quanto il fumogeno, a contatto con l'”umano”, irritava gli occhi, era tossico a respirare, bucava e sfilacciava le calze e i vestiti di nailon.
Per il ‘leader’ una preoccupazione in più.

Ma grazie a Dio per lui (leader), a quei tempi non andavano ancora di moda i verdi.

Il Cap. Aldo Melotti – capoformazione del ‘Cavallino Rampante’ – un uomo determinato e ostinato – riuscì a realizzare l’impianto a comando.
Non più, quindi, per il tempo dell’esaurimento, ma a volontà del pilota, per fumare nelle figure acrobatiche che dovevano più essere esaltate.

Per Melotti e i piloti un bel successo e tanto spettacolo in più. Per gli specialisti un lavoro da cani, sotto la minaccia di quel liquido solforoso, tossico e corrosivo. Perchè ‘gli addetti ai lavori’ dovevano trattare la sostanza con estrema attenzione, non venirne a contatto, lavorare con i guanti, portare la mascherina alla bocca; era scontato che respirare i fumogeni durante la lavorazione, provocava una diminuzione della pressione arteriosa.
Il comando, poi, che determinava l’apertura ad intermittenza era in acciaio inossidabile e, dopo ogni intervento, andava smontato completamente e lubrificato con speciali materiali di ingrassaggio; le taniche e i congegni dovevano essere accuratamente lavati con l’acqua dolce.

Un passo avanti. Ma a quale sacrificio!

I ‘Diavoli Rossi’ (1957-1958) ed i ‘Lanceri Neri’ (1958-1959) adottavano lo stesso impianto a comando, a base, sempre, di nebbiogeno chimico. Al Col. G.A.r.i. Vittorio Valletta della 5^ Aerobrigata – per i ‘Getti Tonanti’ (1959-1960) – l’invenzione rivoluzionaria: erogare fumogeno dall’olio motore bruciato, anziché dal liquido gassoso.
Era l’uovo di Colombo che valeva un Oscar.

Adesso la difficoltà era la raccolta del “bruciato”. Non bastava mai. Nel 1960 il ‘Cavallino Rampante’ era di riserva ai ‘Getti Tonanti’.

L’impianto ereditato dalla 5^ Aerobrigata ci risollevava il morale. Personalmente non me la sentivo di ricominciare con la cloridrina solforosa. Adesso tutto era più facile – mi racconta il M.llo Luciano Andreatini, un ‘decano’ di quell’impianto nato all’inferno -, con l’olio bruciato ti sporcavi, ti imbrattavi la tuta, quel liquido dannato corrodeva i guanti, ti mangiava la tuta.

Le tanichette sotto le ali – contenenti l’olio bruciato – erano collegate con un tubo che passava lungo i ‘flaps’ ed andava all’interno della fusoliera, per raggiungere, quindi, l’ugello di erogazione.
Montare e smontare le tanichette – in caso di avaria d’un velivolo prima dell’intervento – era come cambiare le gomme ad una Ferrari di Formula Uno.

Con la P.A.N., a Rivolto, l’impianto fumogeno sui velivoli dati in dotazione veniva installato sempre a Pratica di Mare, e, nello stesso tempo, la Sezione Tecnica della 4^ Aerobrigata provvedeva alla verniciatura.
Una bella gatta da pelare!

Io, invece, ero a Rivolto, assegnato al 313° Gruppo, con il compito della manutenzione dell’impianto.

Nel 1962 arrivò a Reparto il Cap. G.A.r.a.t. Domenico Pappalettera, un Ufficiale tecnico con tutti gli… attributi! E modificò ancora l’impianto. Installava sei bombole al posto delle cassette porta-munizioni, opportunamente zavorrate (quando non avevano il contenuto), e, al posto dell’arma inferiore destra, si metteva a puntò ancora un serbatoio di 20 litri.

Era un lavoro di ‘team’ – non era rispettata la categoria – ad ognuno un compito preciso per raggiungere il fine comune: l’impianto di erogazione del fumogeno.
Come avveniva l’erogazione?

Pigiando il pulsante sulla ‘cloche’, lo stesso dello sgancio bombe-razzi, si apriva automaticamente una valvolina… dal 12° stadio arrivava la pressione, regolata da un manometro… cioè: ogni qual volta il pilota comandava l’erogazione, scattava questa valvola che faceva entrare l’aria, regolata, appunto, da un manometro, per non correre il rischio di andare in superpressione… e avevi la fuoriuscita dell ‘olio polverizzato.

Arrivò anche il momento magico per l’erogazione dei “colorati”. Magico per i “Capi”. Per noi tanto lavoro di più e non poca responsabilità.

L’F. 86E era ‘largo’ di fusoliera, perciò Pappalettera pensò bene di installare i contenitori dentro la fusoliera stessa, nella parte posteriore, adattandoli alle centine.

Rimanevano i problemi di zavorra, di baricentro… mancava la sperimentazione… c’erano in ballo delle grosse responsabilità, che andavano a ricadere, se del caso, sulle spalle di Squarcina e di Pappalettera. Eppure si andò imperterriti avanti.

Perché quel sogno era stato troppo a lungo ‘sognato’ per non vederlo realizzato.

Il ‘bianco’ era dato da olio motore bruciato o olio motore bianco scaduto. Olii esausti, privi, quindi, delle caratteristiche originali. Nei magazzini c’era una buona scorta.
In seguito, l’olio bruciato veniva sostituito dalla vaselina, che, all’uscita, polverizzata, dava un bianco più bianco.

Il colorato, invece, era dato da una combinazione chimica – allora fornita dalla CIBA – una azienda elvetica, specializzata nel settore, presente per lungo tempo in linea di volo con i suoi tecnici.

Con l’evento del G.91 PAN (1963), la FIAT-Aviazione ‘studiò’ l’impianto di erogazione fumogeni installato sull’F86E per adattarlo sul G.91, apportando le opportune modifiche e rendendolo più sofisticato.

I contenitori del ‘bianco’ e del ‘colorato’ ritornavano sulle tanichette alari, in quanto il G.91 PAN non aveva spazio nella fusoliera’. [parentesi: Rocchi fa notare, parlando di spese, che nel 1973, ‘… dovendo sostituire le taniche dei fumogeni – ormai in esaurimento – sempre la nota Casa di Costruzioni Aeronautiche chiedeva 25 milioni per tanica mentre un nostro Ufficiale Tecnico aveva trovato “su piazza”, in Friuli, una piccola ditta che eseguiva il lavoro “a opera d’arte” per tre milioni e mezzo per tanica. Ebbene: Costarmareo decise comunque per la “Casa”, in quanto la Ditta friulana era sconosciuta, doveva sottostare, nel caso, al collaudo da parte della “Casa” e non aveva la capacità di produrre tutta la documentazione tecnica voluta per l’offerta’.

Oggi, sull’MB 339, l’impianto di erogazione può aver sopportato tutt’al più qualche lieve modifica, se non è stato riportato pari pari l’installato dal predecessore.

Questa è la ‘smoke’s story’, goduta dal pilota, che pigiava il piolino sulla ‘cloche’ ed erogava, vissuta dallo specialista che, per la sua realizzazione, ha venduto l’anima al diavolo.
Brava, generosa gente, questi specialisti, che hanno dato tutto al loro Reparto, senza sperare in un ritorno.
Infatti, per la più parte di loro, è toccato il dimenticatoio.
E’ la vita!.

Fumi tricolori

da “Aerofan”, anno 1, n° 2, mar./apr. 2019, p. 81

Se vivessimo ancora nell’era della fotografia “analogica” qualcuno, osservando la disposizione dei fumi tricolori nelle foto di questa pagina, potrebbe pensare che il redattore abbia fatto un bel pasticcio con le diapositive girando e rigirando gli originali fino a confondere la destra con la sinistra. Dall’alto in basso possiamo osservate un’immagine delle Frecce quando volavano sui mitici G.91 e due immagini più recenti della pattuglia sugli Aermacchi MB.339, nelle quali qualcosa non torna; i fumi colorati appaiono infatti con il verde a destra nelle prime due immagini e a sinistra nell’ultima.

Dopo l’uscita del primo numero di Aerofan abbiamo ricevuto diverse segnalazioni dai lettori che, con un misto tra preoccupazione e divertimento, ci chiedevano come mai avessimo pubblicato “invertita” la foto di copertina dedicata alle Frecce Tricolori. Nessun errore, in realtà. Le Frecce Tricolori volarono inizialmente sui G.91 con i fumi disposti secondo la convenzione che vuole la bandiera con l’asta a sinistra rispetto all’osservatore, dal punto di vista dei piloti. Il verde era quindi appannaggio dei gregari sinistri nella formazione, mentre il rosso di quelli destri. L’adozione nel 1982 dei nuovi aviogetti MB.339 non mutò questa disposizione fino a quando nel 1986 l’allora comandante delle Frecce Ten. Col. Giuseppe Bernardis decise di invertire i colori per far sì che il pubblico vedesse il giusto ordine, verde, bianco e rosso, quando i velivoli si disponevano “in linea di fronte” al pubblico per realizzare la figura denominata “Arizona”.

E già che ci siamo, a proposito di fumogeni, ricordiamo che, fatto salvo un esperimento svolto nel 1932, in occasione della 2′ Giornata dell’Ala, in Italia i primi ad usare i fumogeni furono i Getti Tonanti (1953-1955) e le Tigri Bianche (1955-1957), seppur soltanto nella presentazione della “bomba”: dalla salita in verticale, all’apertura, all’incrocio e al ricongiungimento. Il composto chimico iniziale, un nebbiogeno a base di cloridrina solforosa più acido solforico, irritava enormemente gli occhi, era tossico da respirare, bucava e sfilacciava le calze e i vestiti di nylon. Al Col. Vittorio Valletta della 5a Aerobrigata (Getti Tonanti, 1959-1960) si deve l’invenzione rivoluzionaria: ottenere il fumogeno dall’olio motore bruciato. Ora la formazione poteva comandare a discrezione l’emissione dei fumi evitando inoltre le controindicazioni date dal nebbiogeno chimico. Con l’arrivo prima degli F-86 e poi dei G.91, dotati di un apposito impianto interno che permetteva l’erogazione dei fumi, la PAN usci definitivamente dal periodo sperimentale e oggi, ormai, consideriamo le fumate colorate dei “339” naturali e per nulla straordinarie.

Mistero della copertina di Aerofan numero I risolto, dunque. Tutta questa storia, però, ci suggerisce una riflessione su Aerofan, sulla divulgazione storica in generale e sul pericolo dell’oblio; se molti lettori non erano a conoscenza di questa storia, oltre ad essere stato un piacevole caso fortuito poter colmare un vuoto nella “cultura aeronautica” di molti, abbiamo rispettato quella che è la missione principale di Aerofan: ricordare per non dimenticare. Se è vero che ogni fotografia non scattata è un instante della nostra vita perso per sempre, ciò è altrettanto vero per ogni storia non raccontata.

Perché ciò che oggi sappiamo noi e sembra a noi ovvio, lo sarà sempre meno per chi verrà dopo, se nessuno lo appunterà da qualche parte.
L.P.

Fumi colorati

di Gianfranco da Forno
da “55 anni di emozioni..”, a cura di Alessandro Cornacchini, 2015, p. 98

A proposito dei fumi sono stato da sempre curioso di conoscerne la storia e un giorno uno specialista “anziano”, che proveniva dal 4° Stormo, me la raccontò. Di mio aggiungo una nota storica che risale al 1932, quando cinque velivoli AC.3 che partecipavano alla storica Giornata dell’Ala a Roma Littorio, disegnarono nel cielo la scritta “ITALIA” e il “nodo Savoia”, utilizando il “nebbiogeno” in uso presso la Regia Marina, erogandolo da una bombola montata sotto le ali. Il pilota aveva tirato un cordoncino che aveva spaccato un vetrino e fatto uscire il fumogeno.

Tuttavia nessuna delle pattuglie acrobatiche italiane dell’epoca aveva utilivato quel “fumo”, mentre in casa britannica era stato utilizzato come elemento di coreografia. Ma torniamo alla storia “recente”, per raggiungere gli anni 1953-1955 con i “Getti Tonanti” e 1955-1957 con le “Tigri bianche“, che usarono un fumogeno a base di cloridrina solforosa e acido solforico. Anche qui il prodotto era contenuto in bombole e, una volta azionato il meccanismo di apertura, non c’era modo di interrompere la fuoriuscita del liquido. Il tempo di erogazione era limitatissimo e consentiva alla formazione di salire per la “Bomba”, aprire la figura stessa, fare l’incrocio e il ricongiungimento. Non solo ma il capoformazione doveva avere l’accortezza di impostare la manovra distante dal pubblico perché il fumogeno era “tossico”, faceva lacrimare gli occhi e bucava e sfilacciava calze e vestiti di nylon.

Per un impianto “a comando”, bisognerà attendere il 1955-56 quando, presso il 4° Stormo venne realizzato un congegno che consentiva al pilota di erogare il fumo al momento opportuno. Il liquido era sempre lo stesso e dava problemi agli specialisti, che dovevano indossare guanti e mascherine. Inoltre, respirare quel fumo, pare, riducesse la pressione arteriosa. Si deve arrivare al 1959-60 per vedere sostituito quel liquido tossico con olio bruciato o olio esausto e, successivamente, con l’innocuo olio di vasellina. Gli specialisti erano finalmente soddisfatti: l’olio, alla peggio, ti imbrattava la tuta, il liquido te la “mangiava”.

Per i colorati, veniva usata una combinazione chimica prodotta della CIBA in Svizzera. Il colore era contenuto, separato dal bianco, in una tanica a parte. Mentre con l’F-86E vasellina e colori erano contenuti in serbatoi collocati all’interno dell’ampia fusoliera, con il G.91, e successivamente con il “339”, data la scarsità degli spazi interni, olio di vasellina e colori erano collocati nelle taniche subalari, con l’impianto che correva all’interno della fusoliera, fino allo scarico del motore. Al giorno d’oggi il pilota è in grado di erogare “bianchi” da tutti i velivoli e colorati “verdi” dai velivoli dell’ala destra della formazione (3, 5, 8) e “rossi” dall’ala sinistra (2, 4, 7).

Nelle due taniche sotto le ali del “339” è contenuto il liquido fumogeno e anche del carburante, che consente qualche minuto di volo in più per raggiungere la località di manifestazioni più lontane. Per essere più precisi, l’erogazione dei fumi colorati era stata modificata nel 1986 da Bernardis, che voleva mostrare il giusto ordine, verde, bianco e rosso, quando i velivoli si mostravano di fronte al pubblico per realizzare la cosiddetta “linea di fronte” che precede la figura denominata “Arizona”. Prima, infatti, l’ala destra “fumava” rosso e la sinistra verde.

A proposito dell'”Arizona”, il nome della figura era stato dato da Rocchi per ricordare un famoso ritrovo situato appena fuori l’aeroporto di Campoformido, cui nome era appunto “L’Arizona degli aviatori“, un’osteria cara ai piloti del 1° Stormo Caccia. Il “339”, come velivolo, dava comunque altre possibilità: il programma si era ridotto di oltre cinque minuti e il solista, più che riempire gli spazi vuoti tra una manovra e l’altra della formazione, diventava un “presentatore” delle caratteristiche della macchina. Questo si verificò puntualmente con l’incarico di numero 10 dato al cap. “GB” Molinaro.

Naturalmente sono opinioni personali, seppure suffragate da giudizi di tecnici ben più importanti, ma ritengo che l’inventiva, la perfetta conoscenza della macchina e la pregressa esperienza nel mondo acrobatico a elica abbiano reso Molinaro il miglior solista che la PAN abbia mai avuto. È sua l’introduzione della “Scampanata” e l’adattamento del “Lomçovak” al velivolo “339”, manovra fino a quel momento eseguita solo con velivoli ad elica e, non da tutti, dai piloti acrobatici.

Nel tempo è divenuta “la firma” delle “Frecce” in tutte le manifestazioni sia in Italia che all’estero. Il “Lomçovak”, parola céca il cui significato indica la deambulazione incerta di un ubriaco, era stato sperimentato presso la Macchi, per valutarne l’impatto sulla cellula. Le misurazioni parametrali e i risultati dimostrarono che il velivolo, sottoposto alle torsioni tipiche della manovra, non ne avrebbero risentito. Fra l’altro durante una delle prove di valutazione, il motore del “339” si era spento e a nulla erano valsi i tentativi di rimetterlo in moto, costringendo al lancio i due piloti a bordo.

Il cap. Angelo Luca Nardella, progettista dell’impianto fumogeno delle prime Frecce Tricolori – Gli encomi rilasciati nel gennaio del 1962 al cap. Nardella e al m.llo 3a cl. Plinio Mancini, collaboratore della realizzazione dell’impianto

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