(Ultimo aggiornamento: 8 Marzo 2020)

Giambattista Molinaro racconta

da “55 anni di emozioni..”, a cura di Alessandro Cornacchini, 2015, p. 155

Eravamo passati dal G.91 all’MB.339. I tempi erano stati rapidissimi, perché la decisione di cambiare aeroplano venne presa drasticamente dopo l’incidente di Toni Gallus del settembre 1981. Il trauma fu forte. Finimmo la stagione come potemmo facendo comunque le due o tre manifestazioni che rimanevano in cui il posto di capoformazione fu preso in una circostanza dal Comandante Salvi e poi da “Massimino” Montanari. Chiusa la stagione, siamo andati in licenza e poi a prendere i velivoli a Lecce.

Ricordo che concludemmo l’operazione poco prima di Natale. Non avevamo molto tempo per addestrarci, nessuno aveva certo pensato che si potesse iniziare la stagione ’82 in ritardo, quindi volavamo con una certa intensità “trasferendo” sulla nuova macchina le manovre e il programma del “91”.

Io avevo un problema: mi si spegneva l’aeroplano. Non era una questione da poco. In una manovra che iniziava da rovescio, il motore “andava giù”. Dovevo quindi interrompere il programma ed effettuare la procedura di riaccensione. Avevamo capito che si trattava di un problema di alimentazione del carburante, ma non avevamo individuato bene la causa dell’anomalia. Breve consulto e si concluse: «Sarebbe il caso di andare a parlare con loro», intendendo la ditta costruttrice, l’Aermacchi. Il col. Salvi prende il telefono e chiama Varese. I rapporti con le aziende aeronautiche al tempo erano diretti e molto semplici, il che permetteva di risolvere velocemente i problemi tecnici che si presentavano con l’impiego intensivo del mezzo. Alla Macchi risposero che non c’era alcun problema: «Abbiamo in azienda un aeroplano strumentato, è anche dell’Aeronautica. Venite, ne parliamo e facciamo tutte le prove del caso».

In quegli anni il capo collaudatore era Franco Bonazzi ma noi c’interfacciavarno principalmente con Riccardo Durione. Arrivammo a Venegono il col. Salvi e io. Naturalmente trovammo gli esponenti dell’azienda che comprensibilmente difendevano il prodotto ed erano scettici su quanto rappresentavamo. Un tecnico andò addirittura a prendere in produzione iI pezzo incriminato, il pozzetto del carburante che consente di effettuare il volo rovescio, e tentò di dimostrare come non fosse possibile un malfunzionamento dovuto a problemi costruttivi. Ce l’aveva con me. Noi insistevamo sulle nostre tesi, non ci rimase quindi che andare in volo e provare.

Decollammo Durione e io. Ne facemmo di lutti i colori ma del problema neanche l’ombra. «Vedi che non si spegne!», mi disse Durione con una certa soddisfazione. Naturalmente a me la situazione scottava un bel po’. Ma com’era possibile?

Stavamo rientrando, avevamo fatto le prove in quota dalle parti di Domodossola. Chiesi a Durione di farmi tentare nuovamente. Abbozzo un paio di manovre e “pff” il motore si spegne. «Bene, ora riaccendiamo», ma l’aeroplano non riparte. Non ne vuole proprio sapere. In seguito abbiamo scoperto anche perché. «Riccardo qui c’è poco da fare, bisogna atterrare in emergenza a Vergiate». Poi pensai che saremmo arrivati sull’aeroporto dalla parte del Paese e non ero così sicuro di farcela, quindi dissi: «Non ce la facciamo, dobbiamo lanciarci».

Non feci in tempo a dirlo che ‹pumm!» Durione, che sedeva sul posto posteriore, era già fuori dal velivolo. Imprecando, indirizzai l’aeroplano verso la Palude Barabbia che si trova tra il Lago di Varese e quello di Comabbio, una zona che conosco bene, e mi lanciai anch’io. lo atterrai su di un albero, l’aero-plano, invece, in palude, fu inghiottito dalle sabbie e non ci fu modo di tirarlo fuori. Si trova ancora là.

Era andata complessivamente bene, il problema fu risolto, risiedeva proprio nel pozzetto che si riempiva in modo non costante e quindi poteva accadere di non averlo completamente pieno proprio nel momento del bisogno. Ho continuato a fare così il mio mestiere di solista con maggiore tranquillità e senza limitazioni. Questo mi ha consentito di introdurre nel programma figure di sicuro effetto come la “Scampanata” e il “Lomçovack”.

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