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Corrado Salvi racconta

da “55 anni di emozioni..”, a cura di Alessandro Cornacchini, 2015, p. 70

Eravamo pronti. Avevamo fatto addestramento a sufficienza per iniziare a utilizzare questo nuovo velivolo. La diffidenza c’era, da parte soprattutto dei piloti e degli specialisti anziani; si sa i cambiamenti portano sempre scompiglio e preoccupazione.

Ma ora, anche se molti non erano concordi, il cambiamento era necessario, seppur a scapito della spettacolarità dell’esibizione vera e propria. Il “91” era ruggente, aveva l’esatta geometria per configurare in cielo un rombo perfetto ed era un aereo da combattimento. Col nuovo velivolo forse perdevamo un po’, soprattutto nelle prestazioni, ad esempio nella fase di rotazione, ma a parere mio ci guadagnavamo in sicurezza, grazie soprattutto alle nuove tecnologie utilizzate dalla Macchi. Comunque, non avevamo possibilità di scelta, dovevamo prendere il “339”!

Beh, in quel periodo, posso dire di essere diventato “uno di casa” alla Macchi. Avevo seguito la realizzazione del nuovo velivolo PAN in tutte le sue fasi e avevo instaurato un buon rapporto anche con l’ingegner Bazzocchi, al quale non esitavo a esprimere le mie perplessità.

Ammetto che le mie insistenti osservazioni erano sfiancanti ma, se ero così pressante nel rappresentargliele, lo facevo nella consapevolezza che lui, da gran professionista, dopo un’attenta valutazione critica, se poteva, e se le riteneva corrette, le accoglieva sempre. Arrivò il momento di andare a ritirare i dieci MB.339PAN. La stagione era alle porte e noi dovevamo velocizzare i tempi. Il primo dei nuovi aerei che poggiò le ruote sulla pista di Rivolto fu il numero 5, non l’1 e neppure il 10, «E lo sapete perché?». Beh in trent’anni nessuno me l’ha mai chiesto, però oggi voglio svelare questo arcano.

Io, da Comandante, volevo che ogni pilota prendesse il proprio aeroplano. Ma sinceramente, dopo l’impegno che avevo profuso, allo stesso modo, ci tenevo che il primo 339 ad atterrare a Rivolto con i colori della PAN fosse pilotato da me. Ma quale? Non mi sembrava giusto ritirare il velivolo di qualcun altro, e per questo accantonai subito la mia velleità scontentare nessuno dei miei ragazzi.

Ma il caso volle che, proprio in quei giorni, il buon De Podestà, che si era allenato come numero 5 per la stagione entrante, era alla Scuola di Guerra a fare il corso per ufficiali superiori e, non potendo assentarsi, qualcuno “si doveva immolare” per lui. E chi lo poteva fare “questo sforzo”, se non il suo Comandante?

E fu così che “Pony 5”, con grande gioia e orgoglio, lo andai a prendere io e, proprio perché pilotato dal “Comandante”, fu il primo ad atterrare a “casa base”.

Qualche tempo prima dell’effettivo ritiro degli aeroplani, fui chiamato dalla Ditta perché partecipassi alla presentazione del primo velivolo. Fu proprio in quell’occasione che mi accorsi di un’anomalia piuttosto visibile nella colorazione della livrea, che conoscevo bene, in quanto l’avevo curata in prima persona. Il tono del blu non era quello che avevamo scelto. Inoltre, da un esame più attento, notai anche una certa diversità nella larghezza del verde, del bianco e del rosso. Rappresentai queste mie perplessità all’ingegner Valdonio che, dopo una verifica, mi diede ragione. Ma cos’era successo? Praticamente in fase di colorazione, si erano sbagliati a dividere la coda, tirando male la riga di separazione tra i tre colori. Avevano fatto il rosso largo 17 cm, il bianco 19 e il verde 15.

Quel giorno, ripartii da Vengono con la promessa che avrebbero messo a posto ogni cosa.

Quando arrivai a Rivolto fui avvisato che avevano chiamato dallo Stato Maggiore. Si era già saputo dell’inconveniente, ma le direttive erano chiare e precise: «Salvi, quei colori vanno bene così!». Si doveva cominciare il prima possibile l’addestramento sulla nuova macchina e non si poteva perdere altro tempo.

Era la fine del 1981 e forse ancora oggi i colori sono gli stessi, ormai un vero e proprio marchio di fabbrica! È stato molto difficile l’addestramento del team con il nuovo velivolo, logicamente le manovre dovevano cambiare, le velocità dovevano diminuire e non solo. Fu duro soprattutto l’addestramento del capoformazione, che all’epoca era Posca. Egli dovette prima di tutto studiare le potenzialità del nuovo mezzo, volando da solo, provando manovra dopo manovra come se fosse la prima volta. Poi, piano piano iniziò a volare con il resto del team, prima due gregari, poi quattro. E infine tutta la squadra. Insomma, non fu una transizione facile, ma ci impegnammo tanto. Cominciammo a lavorare a fine novembre e a maggio del 1982 esordimmo a Marsala. All’inizio ci sentivamo un po’ dei “pirati” dell’aria, ma poi con il tempo facemmo la nostra “bella figura!”. Per quell’anno, sotto il mio comando, proposi di non assegnarci esibizioni fuori dai confini nazionali, anche se dall’esterno, in tal senso, arrivarono mille pressioni. Ma io ero convinto della mia scelta e non volevo che i miei ragazzi, per mettersi in mostra, potessero strafare con una macchina che ancora non “domavano” alla perfezione.

Sono passati ormai più di 30 anni da quella difficile annata, e sono orgoglioso nel constatare che lo sforzo fatto allora, da me e da tutta la mia squadra, ha fruttato grandi risultati e, ancora oggi, il “Macchi 339PAN” porta nei cieli di tutto il mondo i colori della nostra Italia.

2 commenti

  1. E come sempre neanche una parola per gli specialisti.
    Anche loro hanno dovuto convertirsi dal G91 al 339 in brevissimo tempo, immagino non sia stato facile per loro.
    Non ho mai capito questo egoismo dei piloti nel non menzionare mai (o quasi) i loro fedelissimi specialisti.

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