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Lavoro di gruppo e trasformazione

Fiducia, rispetto e gestione del cambiamento

da Massimo Tammaro, Sogno, dunque rischio, 2019, Historica, pp. 75 e segg.

Martedi 21 novembre 2006. Base di Rivolto. Sala Briefing.
Faccio il mio primo discorso da comandante delle Frecce Tricolori.

Solo ieri sera il tenente colonnello Paolo Tarantino, il mio predecessore, mi ha passato le consegne. È stata una cerimonia sobria, ma estremamente emozionante, si è svolta nell’hangar delle Frecce, nell’aeroporto di Rivolto, la nostra casa. Eravamo in alta uniforme, l’uno di fronte all’altro. Ognuno con le sue onorificenze ben in mostra sulla giacca blu. Abbiamo sguainato le spade. Ho prestato giuramento. All’inizio la voce mi tremava leggermente, ma poi sono andato via spedito. Ho finito con un sorriso stampato sulla faccia. Ero felice.

Ora sto parlando alla mia squadra cercando di essere conciso, ma anche con la volontà di trasmettere l’emozione che ho dentro. Bisogna esercitare la trasparenza. Sempre. Non dobbiamo nascondere i nostri sentimenti. Soprattutto non lo deve fare un vero leader.

«Mi conoscete bene. Ci conosciamo bene. Sapete che eserciterò il mio ruolo ascoltando i vostri pareri, anzi facendo tesoro dei vostri contributi di pensiero. Perché voglio che ogni cosa sia affrontata e letta con una pluralità di punti di vista.»

Annuiscono soddisfatti. Hanno la faccia di chi è profondamente consapevole. Sono concentrati, attenti a ogni mia parola. Come a ogni riunione del mattino, del resto. Come facevano anche con Paolo, il mio predecessore.

Sono tutti protessionisti estremamente competenti ma, soprattutto, persone umanamente capaci, come richiede l’appartenenza a un gruppo altamente selezionato come il nostro.
Sono gli uomini del 313° Gruppo dell’Aeronautica Militare Italiana.
Militari d’eccellenza.
Esseri umani cui sono profondamente legato.

Li conosco uno a uno.

Abbiamo condiviso anni e anni di addestramento duro e di grandi soddisfazioni, ma anche periodi difficili, momenti di frustrazione e crisi profonde, qualcuna superata e altre che hanno lasciato il gusto amaro di non essere riusciti nei nostri intenti. Si cresce anche superando quelli che ci sembrano solo dei fallimenti e che, invece, devono diventare opportunità di ulteriore miglioramento.

«Essere un buon comandante significa saper ascoltare. Saper ascoltare significa saper cogliere delle opportunità. Apre la mente. Ho già detto in altre occasioni che quando sono di fronte a qualcuno non penso mai di trovarmi di tronte a un uomo che ne sa meno di me… figuriamoci con voi, uomini che stimo profondamente e con cui condivido praticamente tutte le mie giornate… la nostra è una squadra dove circola la fiducia, quella con la effe maiuseola. La fiducia e il rispetto reciproco. Sapete che non mi offenderò se, portando avanti una vostra convinzione ben motivata, magari un giorno mi direte: “Capo, stai sbagliando!”, perché la fiducia non è pensarla sempre nello stesso modo. Accendere il cervello è un dovere! E io sono sempre pronto ad accendere il mio. Siamo una squadra eccezionale fatta da uomini normali. Questa è la nostra forza!».

Mentre parlo mi passano per la mente tutte le immagini degli anni che ho già trascorso qui a Rivolto.
“Sacco”. Quando viaggiavo come passeggero, die tro uno dei piloti.
Pony 9. Secondo fanalino.
Pony 7. Terzo gregario di sinistra.
Pony 2. Primo gregario di sinistra.
Pony 1. Leader.
Pony 0. Comandante, ora.

Quanto sono cambiato? Quanto sono cresciuto?

È stato un percorso duro, affascinante. Da crisalide a farfalla.

Quando ho volato come “sacco” non potevo ancora vestire la tuta blu della P.A.N. Il primo insegnamento è l’umiltà. Quello è il primo valore, quello fondamentale. La prima cosa che s’impara a fare propria.

È stato un anno cruciale. Ho dovuto apprendere con gli occhi, con la mente, ma soprattutto col cuore cosa significa essere una Freccia Tricolore.

È stato un percorso di formazione e di trastormazione straordinario.

Giornate scandite ritmicamente. Con un rispetto assoluto per gli orari.

Briefing mattutino, per acquisire competenze e avere informazioni su ciò che si farà durante la giornata di lavoro.

Ore di volo acrobatico. Emozioni. Stress psicofisico. Eustress per dirla come gli psicofisiologi. Piacere allo stato puro. Fiotti di endorfine e di adrenalina pompati nel sangue, che vanno ad accarezzare il cervello. Esperienze che ti cambiano il fisico e la mente.

Debriefing. Un confronto di crescita con il Pony con cui hai appena volatoe con il resto della Squadra.

Pranzo. Convivialità calda, condivisione di emozioni, ma anche occasione di conoscenza profonda. Si scherza, si parla di cose serie, si commenta ciò che accade in Italia e nel mondo. Qualcuno che racconta del la propria famiglia. Un altro che mostra le fotografie dei figli. Io che parlo di mio padre. I valori fondamentali del vivere condivisi. Cosi, giorno dopo giorno,si diventa “soci”.

Allenamenti in palestra. L’odore unico della palestra. Odore di fatica. Sedute intense di potenziamento muscolare, specialmente degli arti inferiori. Macchine e corpo libero. Finito l’allenamento una doccia bollente, prolungata, per far scivolare via la fatica dal corpo.

Poi c’è anche l’attività esterna di rappresentanza. Scuole. Club delle Frecce. Istituzioni. Associazioni. Perché i piloti delle Frecce Tricolori sono l’eccellenza dell’Italia e tutti vogliono conoscerli, stringergli la mano, ascoltare le loro storie.

E si arriva al 1 maggio. La data d’inizio dell’ attività istituzionale delle Frecce Tricolori. Le esibizioni. La meraviglia. Anche viaggiando solo come passeggero su uno degli Aermacchi MB 339A/P.A.N.

Poi, alla fine del mio percorso di addestramento, finalmente giunge il momento del mio primo volo da Freccia, come Pony 9. Secondo fanalino, collocato nel vertice posteriore della formazione.

Continuo a parlare con la squadra, mentre nella mia mente le immagini scorrono nitide e inarrestabili.

Mi vedo in Sala Equipaggiamenti. La sacrestia del lempio del Cielo. Perché il cielo, nella tradizione biblica, è come un immenso tempio che poggia su invisibili colonne ed è lo spazio del sacro, il luogo dove Dio abita e dal quale guarda la Terra. Volare può essere come pregare.

Mi rivedo durante mia prima vestizione come pilota delle Frecce Tricolori.

Indosso con gesti rapidi la tuta anti G.
Sistemo la giarrettiera.
Prendo il casco bianco con stampato il logo tricolore delle Frecce. Nel farlo sento un brivido che mi attraversa il corpo.

Guardo gli altri che tanno i miei stessi gesti.

Dentro di me riverbera la torza di quel momento.

La ripetizione di movimenti apparentemente banali fa scaturire un’energia di forza straordinaria. Serve a costruire uno spazio sacro.

Come gli antichi samurai, considero.

Samurai, in giapponese arcaico, indica una classe nobiliare di guerrieri medievali. II termine è una variante di saburai, che deriva dal verbo saburau, che significa servire, stare accanto. Ecco, la capacità di starsi accanto.

I piloti delle Frecce sono capaci di stare uno accanto all’altro. Sia in volo che quando sono con i piedi per terra.

E poi l’arma per eccellenza dei samurai non era la spada chiamata katana, come tutti pensano, ma lo shigetou, un arco asimmetrico lungo due metri, capace di lanciare frecce intuocate a oltre cento metri di di stanza. Frecce, appunto. Frecce lanciate nel cielo.

E poi il kabuto, l’elmo dei samurai, e la mempo, la maschera che aveva applicata, in qualche modo possono ricordare il nostro casco. Così come la nostra tuta blu con la tuta anti G applicata sopra, alla tin fine, è come il do, la corazza degli antichi guerrieri giapponesi.

In entrambi i casi la vestizione signitica anche trasformazione. Per noi come per i samurai.

Ritualità. Fare le medesime cose, nello stesso spazio di tempo, tutti insieme. Qualcosa che aiuta a costruire un gruppo, che salda i legami. Qualcosa che definisce il nostro attaccamento l’uno per gli altri, che ci rende membri di una famiglia. Lo ha scritto Cristine Legare, una psicologa americana che dirige il prestigioso Laboratorio di Evoluzione, Variazione e Ontogenesi dell’Apprendimento dell’Università del Texas di Austin: la ritualità ha la capacità di rendere più uniti gli esseri umani.

Una squadra vincente deve avere i suoi riti interni. I riti delle Frecce Tricolori rendono ogni atto che facciamo carico di profondi significati.

Il legame tra i piloti delle Frecce è soprattutto un legame affettivo, capace di costruire un’identità nuova, qualcosa di spirituale, che rende ciascun membro del gruppo migliore di come sia singolarmente.

Vicinanza fisica. Gestualità condivisa. I nostri profumi. Il suono delle nostre voci. II nostro modo di ridere. Quello d’incazzarci. Intimità emotiva.

Le Frecce ti trasformano con la forza della ritualità quotidiana.

In un brano del romanzo Il piccolo principe di Antolne de Saint Exupéry, lo scrittore aviatore più noto al mondo, una volpe segna al protagonista del libro importanza della ritualità nella vita degli esseri umani. II Piccolo Principe domanda alla volpe cosa sia un rito, l’animale gli risponde dicendogli che un rito è un qualcosa che fa di un giorno un giorno differente dagli altri, di un’ora, un’ora difterente da tutte le altre ore. Facendo mio quello che ha scritto Saint de Exupéry penso che la peculiarità del tempo delle Frecce Tricolori sia proprio quella di essere un tempo unico, un tempo diverso da tutti gli altri.

Mi concentro sulle fasi finali del mio discorso.

«leri ho tatto il mio ultimo volo come Pony 1, come leader della nostra pattuglia, volando nel cielo sopra Rivolto. Ora sono Pony 0. Ora sono il comandante delle Frecce Tricolori. Sento la responsabilità, ma vivo con grande soddistazione il risultato che ho raggiunto. Sono orgoglioso ed emozionato di essere qui con voi.»

La squadra applaude. Ringrazio.

Comincia la giornata. Seduta di volo acrobatico.

Ritualmente.

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