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da Augusto Petrini, Confesso che ho volato, 2005, pp. 160 – 167

Il nome della base militare di Ramstein in Germania, evoca il ricordo della più grave tragedia mai occorsa alla Pattuglia Acrobatica Nazionale. Non voglio, tuttavia, parlare di quell’incidente nel quale ho perso tre cari amici, se ne è parlato anche troppo ed io, comunque, non c’ero avendo già terminata l’anno precedente, la mia avventura con le Frecce Tricolori.

L’episodio che sto per raccontare è successo, invece nel 1987, nel corso del grande Air Show che si svolgeva annualmente su quella base.

Era un evento molto importante al quale erano sempre presenti le maggiori Pattuglie Acrobatiche europee ed in qualche occasione, anche quelle americane.

Quell’anno, pur essendo in agosto, il tempo non era dei migliori, era nuvoloso e c’era una foschia che riduceva di molto la visibilità. Soprattutto, e questo era ciò che condizionava maggiormente lo svolgersi delle esibizioni, l’altezza della base delle nubi era molto ridotta, inoltre variava continuamente ed in certi momenti non era più di 5 o 600 metri.

Molti partecipanti rinunciarono ad esibirsi. In particolare la Pattuglia Acrobatica francese, in programma prima di noi, non volò, mentre quella inglese, che invece chiudeva, dopo di noi, la manifestazione, fece solo dei passaggi in volo livellato, senza effettuare alcuna manovra acrobatica.

Noi salvammo l’Air Show effettuando un programma acrobatico completo, pur se con qualche limitazione per adattarlo alla situazione meteorologica.
Fu proprio quell’adattamento alla situazione meteo che rese quel volo, per me, memorabile, facendomi girare il tonneau più basso della mia carriera, perfino più basso di quelli del solista.

Noi fummo in grado di volare ed eseguire un programma acrobatico, non perché fossimo più bravi o più incoscienti degli altri. Perché l’incoscienza e la spericolatezza non fanno certo parte del bagaglio dei piloti della Pattuglia Acrobatica, anche se ciò potrebbe sembrare agli occhi di uno spettatore inesperto. Quello che invece ci consente di eseguire quelle incredibili evoluzioni è solo una grande professionalità ed un costante addestramento.

Quindi ciò che ci consentì di volare anche con quelle condizioni meteo marginali, furono soprattutto le caratteristiche di manovrabilità del nostro velivolo MB 339, che permettono di evoluire in spazi molto stretti.

La PAN ha tre tipi di programma in base alle condizioni meteo, in particolare, in base allo spazio verticale tra il terreno e la base delle nubi: il programma “alto”, che è quello normale senza limitazioni ed ha bisogno di almeno 4000 piedi, circa 1200 metri di spazio disponibile; il programma “basso” che non ha le manovre verticali, i loopings per intenderci, ma ha i tonneau in formazione ed ha bisogno di 3000 piedi, circa 900 metri; infine il programma “piatto”, che è quello abbiamo eseguito in quella occasione. Ha solo le manovre di rotazione dei singoli velivoli, che sono il “ventaglio”, il “4 e 5 a posto” ed il “doppio tonneau”, oltre alle virate “schneider” in linea di volo dell’intera formazione nelle varie figure. I tonneau con la formazione completa, invece, non si possono fare perché essendo a botte hanno un discreto sviluppo verticale. Per il programma piatto ci vogliono almeno 2000 piedi, cioè 600 metri.
Se vogliamo c’è anche un quarto tipo di programma, se le nubi sono ancora più basse, ed è quello eseguito in quella occasione dagli inglesi, cioè solo passaggi in volo livellato.

C’è inoltre da dire che le condizioni meteo, in genere, non sono così nette e costanti così da rendere facile la decisione tra un programma od un altro. Sono invece spesso mutevoli ed anche diverse da punto a punto dell’area interessata dal volo. Ricordo infatti, molti voli iniziati con condizioni sufficienti per un programma alto e terminati con la formazione che spariva nelle nubi alla sommità dei loopings per poi riapparire qualche secondo dopo nella fase discendente. C’era da parte nostra una grande motivazione a non deludere le migliaia di spettatori, che erano li da ore in attesa del nostro volo e, nei limiti del possibile, cercavamo sempre di eseguire il programma più spettacolare.

Come dicevo, quel giorno ci trovavamo proprio in una di queste situazioni, la base delle nubi non era ben definita ed in certe zone sicuramente inferiore ai 600 metri. Il Capoformazione [ten. col. Mario Naldini, ndr] decise, d’accordo con il Comandante della PAN [ten. col. Diego Raineri, ndr], di decollare comunque e di valutare, una volta in volo, la possibilità di eseguire almeno il programma piatto.
Dopo alcune virate decise per il si ed iniziammo il programma.

Il Capoformazione teneva la formazione il più basso possibile, ciò nonostante nelle “schneider” i velivoli esterni alla virata spesso finivano nelle nubi, mentre quelli interni sfioravano la pista.
Quindi ci preparammo per il “Ventaglio“, una delle manovre più classiche del repertorio della PAN.

Cercherò di descriverla, anche se tutti hanno sicuramente visto volare le Frecce Tricolori almeno una volta.
La preparazione per la manovra consiste nel trasformare la formazione da “rombo” a “freccia”, spostando i numeri 7 ed 8 dall’ala del 6, il velivolo al centro del rombo, a quella del 9, che invece ne costituisce il vertice inferiore.
Quindi da

1
2 3
4 6 5
7 8
9

a

1
2 3
4 6 5
9
7 8

In questo modo i velivoli 7 ed 8 diventano quelli più in basso.
Quindi, all’ordine: “Esterni via”, il 4 ed il 5 si aprono lateralmente di circa quattro aeroplani; poi all’ordine: “Interni via”, il 2 e 3 ed il 7 e l’8, a loro volta si allargano di 2 aeroplani, ripristinando così la simmetria.
A questo punto, il Capoformazione, non appena vede tutti a posto, da seccamente l’ordine: “Tonneau” e tutti i velivoli, esclusi quelli della linea centrale, eseguono contemporaneamente una rotazione sull’asse longitudinale, i destri a destra ed i sinistri a sinistra. Dopo di che, tutti stringono verso il proprio posto e, mentre la formazione tira su per un looping, il 7 e l’8 superano il 9 e tornano in ala al 6, riformando così il rombo.

Questo nel caso del programma “alto”, mentre nel programma “piatto” il looping non si può fare, quindi, la formazione prosegue in linea di volo in attesa che tutti siano tornati nella loro posizione e, non appena si è ricomposto il rombo, esegue una virata “schneider”.

Ciascuno dei piloti interessati esegue la manovra in questo modo: all’ordine “interni (o esterni) via” il pilota inclina bruscamente le ali e tira leggermente la cloche indietro, in questo modo fa muovere il velivolo lateralmente ed un poco verso l’alto, poi, raggiunto lo spostamento voluto, spinge la cloche decisamente in avanti fino ad avere 0 G. Il velivolo allora si ferma e mantiene la posizione pur avendo ancora le ali inclinate. Infatti a 0 G le ali non producono portanza ed il velivolo prosegue il suo volo seguendo una traiettoria balistica. Il pilota resta per qualche attimo sospeso, trattenuto dalle cinghie del seggiolino, poi all’ordine del tonneau, spinge di scatto la cloche di lato fino a fondo corsa ed il velivolo ruota intorno al suo asse longitudinale con la massima velocità angolare.

È importante mantenere 0 G durante tutta la rotazione, perché questa è proprio la chiave per l’esecuzione di un buon tonneau sull’asse. Infatti, come ho detto prima, a 0 G le ali non spingono ed il velivolo gira solo su se stesso, mentre se tirassimo, anche di poco, la cloche indietro, il velivolo tenderebbe a salire e questo movimento, combinato con la rotazione longitudinale darebbe luogo ad una traiettoria a spirale, cioè un tonneau a botte.

Quel giorno, a causa delle nubi così basse, il Leader impostò la manovra in modo un po’ anomalo, intanto partendo da più basso del solito, e poi, soprattutto, tenendo la formazione in volo livellato. Normalmente, infatti, il “Ventaglio” si sviluppa con una traiettoria leggermente a salire e quindi i velivoli, al momento del tonneau, dopo l’allargamento degli interni e degli esterni, sono già ad una quota abbastanza tranquilla, almeno per un pilota della PAN.

Come ho detto prima, nella formazione a “freccia”, io nella posizione numero 8, ed il mio simmetrico 7 eravamo quelli più in basso e letteralmente razzolavamo sulle cime degli alberi attorno l’aeroporto. Ricordo che a volte, passando sopra gli alberi più alti, mi veniva l’istinto di sollevare i piedi dal fondo dell’abitacolo.
Poi gli alberi sono finiti e siamo arrivati sulla pista.

“Interni via”, …..” Esterni via”….; a questo punto, in genere, mentre ero sospeso a 0 G in attesa del tonneau, vedevo davanti a me molto più cielo che terra, cioè avevo una traiettoria a salire, stavolta invece vedevo molta più terra di quanto avrei voluto.
….”Tonneau”…..

Se fossi stato da solo in quella situazione, così basso e non in salita, mai e poi mai avrei girato quel tonneau, ma gli anni di addestramento e le diverse centinaia di ventagli volati mi hanno fatto reagire in modo automatico, con un riflesso condizionato come i famosi “Cani di Pavlov”.
La mia mano è scattata verso destra ed ho iniziato il più memorabile tonneau della mia vita.

In questa occasione ho avuto una delle più evidenti dimostrazioni della teoria della relatività del tempo. Quella cioè, che spiega come mai percepiamo lo scorrere del tempo in modo diverso, a seconda della situazione nella quale ci troviamo. L’esempio classico è come sembri breve un minuto passato a baciare una bella ragazza, mentre come sembrino interminabili 3 secondi con la mano poggiata su una stufa rovente.

L’MB339, con le sue ali dritte, non ruota molto velocemente, per un tonneau sull’asse, fatto con la cloche a fondo corsa, ci vogliono circa due secondi e mezzo. Tuttavia, pur non essendo un tempo brevissimo, se si guarda il volo da terra i velivoli sembrano girare abbastanza rapidamente. Per la verità fino a quel volo, anche da dentro l’abitacolo la rotazione mi era sempre sembrata veloce; un colpo alla cloche ed il cielo spariva di lato sostituito dalla terra e poi, subito, riappariva dall’altra parte.

Quel tonneau, invece, mi sembrò di una lentezza esasperante. Specialmente nella fase rovescia, quando a causa della posizione rialzata del seggiolino, mi trovavo ancora più vicino al terreno. Avevo, inoltre, la sensazione, dovuta anch’essa alla posizione nell’abitacolo, di essere in una traiettoria discendente.
Insomma non vedevo l’ora di tornare dritto per poter tirare su il velivolo e, proprio per questo, il momento sembrava non arrivare mai.
La pista ruotava lentamente sopra il mio tettuccio e così grande non l’avevo vista mai.

Questa dilatazione del tempo, tuttavia, ha avuto anche un aspetto positivo, dandomi la possibilità di correggere un poco la mia traiettoria. Infatti, vedendo ruotare il velivolo come al rallentatore, mi sembrava di avere tempo in abbondanza per qualsiasi correzione ed allora, mentre il velivolo passava per la posizione completamente rovescia, ho spinto momentaneamente la cloche in avanti in modo da far andare il muso un poco verso l’alto, con dei G negativi e poi subito di nuovo a 0 G, fino al completamento della rotazione.

Vedendo il filmato di quel volo, che conservo insieme a molti altri, si vede nettamente il colpo di cloche, grazie soprattutto al sussulto della scia di fumo che mi lasciavo dietro. Si vede, inoltre, che quando le ali erano a coltello, c’era sotto il velivolo a malapena lo spazio per un altra apertura alare.

La sera, durante la cena per tutti gli equipaggi, uno dei piloti della Pattuglia inglese Red Arrows, dopo aver bevuto un po’, ci ha confessato che loro non avrebbero voluto volare affatto, ma hanno volato solo perché lo avevamo fatto noi.
Si sa, “In vino veritas”.

Ringrazio l’autore per avermi mandato copia digitale del libro, non più in commercio

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