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da Augusto Petrini, Confesso che ho volato, 2005, pp. 16 – 20

Correva l’anno 1984, settembre credo o forse ottobre, ero l’ultimo pilota assegnato alle Frecce Tricolori, eravamo nel finale di stagione ed io, dopo circa un anno di addestramento e molti voli fatti seduto dietro ad Alberto Moretti gli ero da poco subentrato nella posizione di terzo gregario di destra, numero 8. Devo dire che in quei voli ho imparato moltissimo, specialmente come salvare la pelle togliendosi dalle p…. sugli sviluppi di un “4 e 5 a posto” non venuto benissimo. In questa manovra il 4 a sinistra ed il 5 a destra, dalla sezione davanti, con un tonneau scivolano indietro per portarsi nella seconda sezione, in ala rispettivamente al 7 ed all’8.

Quella volta il 5 aveva sbagliato qualcosa nella sua manovra e si stava avvicinando a noi, alla nostra destra, con una velocità troppo elevata per fermarsi in tempo, ma Alberto che, pur guardando a sinistra per mantenere la posizione in ala al 6, lo controllava con la coda dell’occhio, si abbassò togliendosi dalla sua traiettoria e lasciandogli spazio per fermarsi.

Per la precisione era la mia seconda manifestazione da titolare, la prima era stata a Guidonia pochi giorni prima ed era andata bene, uneventful come dicono gli americani.

Questa manifestazione si svolgeva sul lago di Vigna di Valle, davanti al museo dell’Aeronautica Militare. Ora chiunque abbia volato sull’acqua sa benissimo com’è difficile valutare la quota senza buoni riferimenti esterni, in particolare su un lago dove l’acqua è fermissima e senza onde, specialmente se non si è in grado di guardare di lato ed orizzontarsi con i bordi del lago. Infatti io a quel livello di addestramento ero in grado di mantenere la mia posizione ed eseguire tutte le manovre previste dal mio ruolo di numero 8, ma niente di più.

Ciò significa che quando volavo in ala al numero 6 o 9 a seconda della fase del volo, riuscivo a vedere solo la sua ala e poco altro all’interno di uno stretto campo visivo. Quindi, in queste condizioni quando eravamo all’uscita di un looping o di un tonneau io potevo vedere, oltre all’ala del mio leader, solo acqua liscia come uno specchio ed erano attimi di panico perché non sapevo se c’era lo spazio sufficiente per chiudere la manovra oppure se stavo per infilarmi nel lago con tutta la formazione.
Ovviamente, dentro di me, sapevo benissimo che tutto era a posto e non stavamo per infilarci nel lago, anche perché nessuno diceva niente ed il capoformazione “Don” Vito Posca continuava tranquillamente a darci le solite indicazioni e comandi. Allora anch’io continuavo a stare al mio posto fidandomi, è proprio il caso di dire, ciecamente del leader, ma la sensazione di pericolo dovuta alla mancanza di riferimenti visivi era fortissima ed occorreva veramente un grosso sforzo per continuare a volare ignorandola.

In seguito, con il progredire dell’addestramento e con l’aumentare dell’esperienza, il ristretto campo visivo di cui parlavo prima si è via via allargato fino a, come nel piccolo episodio che ho raccontato prima, consentirmi di mantenere la posizione, di eseguire le mie manovre ed allo stesso tempo di vedere con la coda dell’occhio i movimenti di tutti gli altri, compresi quelli alla mia destra (essendo un destro guardavo a sinistra).

Comunque, pur se per me già abbastanza emozionante, quanto raccontato fino ad ora è solo l’antipasto di ciò che stava per succedere e serve a spiegarne la probabile causa.

Arriviamo quindi al “doppio tonneau”, che però allora e fino alla stagione 1986 era triplo, infatti anche il 7 e l’8 partecipavano alla manovra.
Si iniziava con una larga “linea di fronte” (in questa manovra i velivoli partecipanti procedono affiancati tutti sulla stessa linea) nella quale il 7 si inseriva tra il 2 ed il 4 e l’8 tra il 3 ed il 5, la manovra iniziava con il 7 e l’8 che con un tonneau ruotavano intorno al 4 ed al 5 mentre questi stringevano verso la loro posizione, poi mentre il 7 e l’8 completavano la loro rotazione scivolando indietro al loro posto in ala al 6, la prima sezione eseguiva il normale “doppio tonneau” che così diventava appunto “triplo”.

“Don” Vito aveva dato il comando ed io e Gigi Zanovello, il numero 7, avevamo iniziato le nostre rotazioni, a questo punto, però, qualcosa va storto, forse non tiro abbastanza su il muso prima di ruotare verso destra o forse lo tiro troppo giù dopo aver scavalcato il 5, fatto sta che mi ritrovo con un assetto decisamente troppo puntato verso il basso. Avevo già abbandonato con gli occhi il 5 per cercare il 6, che doveva trovarsi dietro di me e più basso, per andargli in ala ma non lo vedevo. Vedevo solo…..niente, solo la superficie liscia del lago e come prima, non sapevo se mi trovavo ad un metro dal lasciare questa valle di lacrime oppure se avrei potuto raccontare ancora qualcuna delle mie famose barzellette. Solo che mentre prima, pur se ingannato dagli occhi, dentro di me sapevo che in realtà tutto era a posto, stavolta potevo veramente essere ad un passo dall’impatto con il lago. Infatti il “triplo tonneau” iniziava già abbastanza basso e con 30 o 40 gradi muso giù si fa presto a perdere quota.

Devo dire che non ho avuto paura….. non ne ho avuto il tempo. Penso che il termine migliore per definire ciò che ho provato in quel momento sia “strizza”, cioè quella scarica di adrenalina che si verifica in noi quando ci troviamo in un pericolo improvviso e ci aiuta a reagire rapidamente.

Ho fatto l’unica cosa che potevo fare, le ali erano già livellate, ho tirato. Quanto non lo so, abbastanza però da vedere la superficie del lago sparire rapidamente sotto il muso del velivolo, sostituita dalla visione della formazione sopra di me con lo spazio vuoto della mia posizione, nella quale mi sono lanciato come attirato da un elastico.

Forse non sono arrivato neanche troppo vicino all’acqua, anche nella registrazione video del volo non si vedeva molto, solo che sparivo verso il basso e poi riapparivo al mio posto. Anzi nella sequenza trasmessa dal telegiornale della sera, che comprendeva anche il “triplo tonneau” la manovra non è venuta neanche male, infatti la prima parte della mia rotazione sembrava abbastanza normale e quando poi il mio aereo spariva dall’inquadratura partivano le rotazioni degli altri.

Ricordo che poi ho terminato il volo senza altri problemi e che durante il volo di rientro verso l’aeroporto di Pratica di Mare io e Gigi Zanovello, che dalla sua posizione simmetrica alla mia a sinistra aveva visto tutto, ci siamo guardati ed, all’unisono come bravi piloti di Pattuglia Acrobatica, ci siamo passati due dita sulla visiera del casco come a togliere del sudore dalla fronte.

Ringrazio l’autore per avermi mandato copia digitale del libro, non più in commercio

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