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L'ex pilota delle Frecce Tricolori. «Solo esperti ai comandi Ma non si riesce a gestire un problema in decollo»

di Elvira Serra
da Corriere della sera, 17 settembre 2023, p. 5

Simone Pagliani, 50 anni, pilota delle Frecce Tricolori dal 2002 al 2009 nelle posizioni di Pony 8 (terzo gregario destro), Pony 3 (primo gregario destro) e Pony 6 (leader della seconda sezione).
Oggi è un pilota civile.

Cos’ha pensato quando ha letto dell’incidente di Torino?
«Il primo pensiero è stato per la famiglia della vittima: ho un bambino di 6 anni. Poi mi sono sentito vicino al pilota perché so quanto sono delicate queste fasi del volo e so che i piloti mettono al primo posto la sicurezza».

Conosce Oscar Del Dò, al comando del jet schiantato?
«Sì, ci conosciamo tutti, E non esistono piloti di pattuglia inesperti: ce ne sono di più giovani e di più anziani, ma sono tutti giù formati, con almeno mille ore di volo, al massimo della professionalità e prestanza fisica. Prima di esibirsi fanno dieci mesi di addestramento con minimo due voli al giorno».

Si è fatto un’idea delle cause dell’incidente?
«Purtroppo quando c’è un imprevisto in decollo, che sia lo stormo di uccelli o un problema al motore, cambia poco: una perdita di potenza in decollo ti lascia pochissimo tempo, la velocità è bassa, la quota poca. Con un monomotore non resta che eiettarsi».

Non è poco sicuro decollare da un aeroporto civile?
«No, la pattuglia non parte solo da aeroporti militari. Io stesso ho volato con le Frecce per e da Torino Caselle».

Hanno ancora senso queste manifestazioni?
«Le Frecce sono amate perché rappresentano l’eccellenza italiana. Durante il Covid fu deciso di far sorvolare dalle Frecce tutte le regioni per far sentire il Paese unito. L’affetto che le accoglie è la prova del loro valore. Ovunque nel mondo siamo stati accolti con ammirazione e stima».

Torna in mente la tragedia di Ramstein del 1988.
«Mi dispiacerebbe che si facesse questo accostamento, perché da quell’incidente cambiò tutto per rendere le manifestazioni più sicure per il pubblico: sono cambiati i parametri, le distanze, gli angoli di sorvolo. Ovviamente un’attività acrobatica ha un fattore di rischio, ma i piloti studiano per abbassarlo».

Ha mai avuto paura in volo?
«No, Il pilota già prima di iniziare ba una serie di soluzioni per far sì che ogni manovra sia sicura e spettacolare, sempre in quest’ordine».

«Alla Pan ho visto un altro incidente causato da volatili»

Il generale di Brigata aerea Floreani stava volando a Rivolto nel 2002
«È necessario rendere sicuri gli aeroporti anche con l’uso di falchi»

di Luigi Grassia
da Messaggero Veneto, 17 settembre 2023, p. 5

«Sono stato nelle Frecce tricolori e ho assistito anch’io a un incidente provocato da uno stormo di uccelli». Chi parla è il generale di Brigata aerea Urbano Floreani, con una lunga attività di servizio da pilota nell’Aeronautica militare italiana.

È successo a lei in persona o a un suo commilitone?
«Il mio velivolo era il numero 3 della formazione, l’incidente è capitato a Rivolto nel 2002. Ho sentito alla radio l’altro pilota dire “ho preso un uccello e mi sto lanciando” e non ha potuto fare altro. Nonostante le precauzioni è qualcosa che può sempre succedere. Il caso più famoso è l’aereo civile finito nell’Hudson River nel 2009, ne hanno tratto anche un film» (si tratta di “Sully”, 2016, regìa di Clint Eastwood, con Tom Hanks nel ruolo del comandante che ha evitato il disastro con una planata e un impatto morbido sulle acque del fiume di New York).

Siamo sicuri che la stessa cosa, cioè un impatto in volo con degli animali, sia capitata a Caselle? Non è necessario attendere i risultati ufficiali dell’inchiesta?
«In questa occasione non ci sono dubbi. Sia il pilota a bordo sia il capoformazione hanno visto uno o forse più uccelli impattare il velivolo ed entrare nella presa d’aria dell’MB-339. Gli aerei avevano appena retratto il carrello, un momento delicato del volo. Il pilota ha detto che il motore gli si è spento, ha provato a riaccenderlo ma non ci è riuscito, e allora ha diretto l’aereo verso una zona libera, verso l’interno dell’aeroporto, e si è lanciato».

Si resta sorpresi che qualcosa di così tecnologico come gli aerei sia vulnerabile a un evento in apparenza lieve, come l’impatto con un piccolo animale.
«Molto dipende dalle circostanze, dall’altitudine, dalla velocità, e da dove l’aereo viene colpito: la cabina, le ali, gli impennaggi di coda… Il più delle volte non ci sono conseguenze, ma se il volatile viene risucchiato dalla presa d’aria il motore si può bloccare, e così è successo a Caselle».

Come si fa a prevenire questa eventualità?
«Bisogna liberare l’ambiente aeroportuale dagli uccelli, far capire a questi animali che non è un posto dove poter nidificare o volare o cercare cibo. Esiste un apposito Nucleo Avifauna che se ne occupa. In tutti gli aeroporti militari e civili si usano vari espedienti, anche in relazione a specie diverse di uccelli che possono costituire un pericolo per gli aerei».

Per esempio?
«Si può ricorrere a falchi, che sono predatori e spaventano gli uccelli. Oppure si può far rumore con cannoni a gas, o usare sistemi di luci che infastidiscono gli animali. Però è impossibile garantire il risultato al cento per cento. Gli aeroporti non sono gabbie, sono spazi aperti e molto vasti».

Generale, ogni volta che capita un incidente alla Pan c’è qualcuno che solleva questo problema: ne vale davvero la pena?
«Non riesco a credere che qualcuno voglia sollevare una questione del genere proprio adesso. Se succedesse ci sarebbero risposte nelle sedi competenti».

E come risponderebbe alla richiesta di rendere gli air show più sicuri?
«Riguardo alla sicurezza esistono regole stabilite in campo internazionale e applicate rigorosamente. Ricordo che in questo caso non stiamo parlando di un incidente avvenuto durante una manifestazione aerea, perché l’evento con il pubblico era previsto a Vercelli, non a Caselle».

Com’è stata la sua personale esperienza nelle Frecce Tricolori?
«La ricordo come un motivo di orgoglio per aver rappresentato l’Italia nel mondo e aver mostrato il valore e la professionalità delle Forze armate, del sistema-Paese e del Made in Italy».

dal profilo Instagram di Jan Slangen [ fonte ]

A volte le parole non bastano e nulla e nessuno può colmare il vuoto e la sofferenza per una perdita così ingiusta..

Avrei di gran lunga preferito il silenzio, insieme ai più, per esprimere cordoglio e rispetto per la famiglia coinvolta e tutti i colleghi dell’Arma Azzurra. Ma i commenti inappropriati e strumentallizati che trovano così tanto spazio in alcune testate giornalistiche, mi lasciano basito e profondamente amareggiato.

Anziché focalizzare l’attenzione sul dolore ed il senso di colpa che anche una tragica fatalità può comportare, ci si interroga sulla sicurezza delle Manifestazioni e sulla professionalità dei piloti. A tal punto da mettere in discussione l’esistenza stessa delle Frecce Tricolori.

Trovo tutto ciò semplicemente offensivo e fuori luogo. Le Frecce Tricolori sono per la maggioranza degli italiani motivo di orgoglio e di gioia. Non solo perché rappresentano un’eccellenza indiscussa a livello mondiale, ma proprio per la capacità di “essere squadra” e veicolare nel contempo valori e virtù dell’Italia più bella.

Oggi, non è il momento delle polemiche o dei personalismi, ma di unirsi al dolore immenso di una famiglia spezzata e di esprimere con forza vicinanza, affetto e solidarietà a tutti gli attori coinvolti.

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