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di Luciana Aitollo
da “Aeronautica & Difesa” – n° 4, feb. 1987

D’inverno la PAN, ovvero la Pattuglia Acrobatica Nazionale, si dedica all’addestramento ed alla sostituzione dei piloti che hanno concluso il loro ciclo di servizio con le “Frecce”. Tra questi abbiamo avuto la fortuna di “catturare” il N. 10 ovvero Gian Battista Molinaro, meglio conosciuto come G.B. o il Pony 10 (Cavallino), il solista, appunto, uscente delle “Frecce Tricolori” (nato a Pietra Ligure, Savona, nel 1949).
Per il mio lavoro certo non mi sono mancate le occasioni per poter vedere esibizioni delle diverse pattuglie acrobatiche ma, non per fare del campanilismo, la PAN è quella che sempre più mi entusiasma ed ogni volta che la vedo si rinnova in me l’emozione della prima volta.
Senza togliere alcun merito ai piloti della formazione azzurra che, con precisione e sincronismo, sanno trarre il massimo dai loro MB.339, il programma nella stagione 1986 ha messo particolarmente in luce l’esibizione del solista, appunto il cap. Molinaro.
Trovandomi spesso in mezzo alla gente durante le manifestazioni, devo dire che è diventata ormai una consuetudine sentire commenti tipo “…non credevo che un uomo potesse avere tanto coraggio…” oppure “ecco che arriva il matto!…” oppure ancora, ed è la frase che più mi ha fatto sorridere, “ma sarà un uomo normale?…”.
Potrei raccontarvi tanti altri commenti ma mi limito semplicemente a questi che ho citato e concludo assicurandovi che “GB.” è una persona normalissima anzi un uomo estremamente simpatico e cordiale. Questa almeno è l’impressione che ho avuto, durante questo occasionale ed amichevole colloquio durante il quale ho “bombardato” l’amico Gian Battista con una raffica di domande.

D. Un rapidissimo e conciso curriculum della tua carriera di pilota.
R. Ho iniziato in aeroclub, Aero Club Savona, per la precisione, 1° e 2° grado, poi Politecnico. Quindi ingresso nelle Forze Armate, concorso per ufficiale di complemento, quattro mesi a Pozzuoli, un mese e mezzo ad Alghero sul P.148 e sul T-6, MB.326 a Lecce per nove mesi, sei mesi ad Amendola sul G.91, “gunnery” al poligono in Sardegna per due mesi, F-104 a Grosseto per tre mesi, sette anni a Ghedi sui ‘104 e poi la pattuglia acrobatica.

D. Come è nata la tua passione per il volo?
A. È una cosa che non è mai nata: c’è sempre stata; è una cosa che ho sempre avuto negli occhi, nella testa o meglio nel cuore.

D. Quando si parla del solista delle “Frecce Tricolori” si parla del pilota che più ha padronanza della macchina che gli è affidata. Tu condividi questo giudizio? E come ce lo spieghi?
R. E abbastanza vero, non è un problema di padronanza, ma è la possibilità di esplorare la macchina nel suo completo inviluppo, forse anche più di quello che possono fare i piloti collaudatori.

D. Nella tua carriera di pilota militare ci saranno stati momenti in cui avrai avuto paura. Ne ricordi uno in particolare? Descrivicelo.
R. lo non credo che esista un problema di paura. Non c’è un reale raffronto tra quella che potrebbe essere la paura del momento “normale”, delle persone non addestrate ad avere paura; devi tener presente che il pilota nel suo ambiente di lavoro, nel suo “ufficio”, come dicono gli americani, è messo in una situazione così anomala, così al di fuori dell’umanità del pilota che le sensazioni non sono riferibili a quelle dell’uomo comune, cioè la paura non ha lo stesso significato, per il pilota, che può avere per una persona normale per cui le sensazioni sono assolutamente diverse e poi c’è anche un’altra cosa da dire, che la paura è spesso riferita a qualcosa che è avvenuto prima; spesso c’è la necessità di muoversi secondo un addestramento ben preciso: quelli che potrebbero essere dei riflessi condizionati ti portano ad agire “bypassando” questo momento di fremito per cui spesso, ripensandoci, uno si accorge di avere avuto paura… ma è già passato, se uno ha avuto la fortuna di avere un dopo. Mi riesce comunque difficile dirti quando ho avuto paura perché è una cosa che non è traducibile.
Potrei raccontarti degli episodi che hanno dei lati spaventosi, che ti impressionano, ma al di là di questo non c’è niente e poi soprattutto la paura in aeroplano è un attimo, ed è un attimo che appartiene al pilota e descriverlo è una cosa impossibile.

D. Ma non ricordi un episodio in particolare… per esempio un’espulsione col seggiolino?
R. Ma, vedi, per quanto il lancio con il paracadute sia una cosa traumatica, è consenquenziale, cioè non è avulso dall’episodio che ha portato al lancio. Per quello che mi riguarda in quello specifico frangente, c’era solo quello da fare; avevamo ormai fatto tutto ciò che dovevamo fare e non lanciarsi avrebbe significato soltanto sbagliare; era l’unica cosa da fare. Al di là del valore che si può dare alla vita umana (c’è il pilota che può decidere di lanciarsi qualche minuto prima o qualcuno dopo) io penso che sia una cosa naturale: arriva il momento di Ianciarsi e non è neanche tremendo; certo l’impressione è notevole, se immagini di essere seduta su una carica di dinamite. Rapidamente ti viene in mente tutto l’addestramento che a suo tempo avevi fatto seppure con un pizzico di scaramanzia perché pensi sempre che le disavventure debbano capitare solo agli altri piloti.
Questo è un mezzo per fartene uno scudo: è un sistema per autoproteggerti, pensi e speri che a te non debba mai capitare nulla. Comunque, ti ripeto, non è un discorso di paura, bensì di impressioni: i rumori, il vento, l’imprevisto. E, comunque, sono tutte sensazioni impossibili da spiegare a chi non le ha mai provate. Posso tentare di descriverle paragonando il rumore dell’espulsione del seggiolino allo sparo di un fucile da caccia accompagnato da una sensazione come se ti strappassero i vestiti di dosso. E poi non hai il tempo di avere paura, perché le cose da fare sono tali e tante che non ti danno nemmeno il tempo di pensarci.

D. Senti, GB., tu come pilota acrobatico, come ti definisci?
A. Non lo so, perché come mi giudico è come vorrei che mi giudicassero. Diciamo che sono così entusiasta del mio lavoro che spesso tale entusiasmo mi porta a fare cose che razionalmente non farei.

D. …e come uomo?
A. Questo non lo so, dovrebbero rispondere mia moglie e i miei figli.

D. Se una bacchetta magica annullasse ogni limite, cosa ti piacerebbe fare al comando del tuo aereo?
A. Probabilmente niente, perché far fare all’aeroplano determinate cose è solo un mezzo per poter esprimere la propria personalità. Mi piacerebbe pensare che anche senza avere la bacchetta magica, quello che faccio è quasi il limite massimo di ciò che si può fare con un aeroplano. E posso comunque aggiungere che qualunque pilota generalmente si esprime ai comandi del proprio aereo. Noi della pattuglia riusciamo a distinguerci perché il velivolo viene “volato” in maniera molto personale e quindi, nonostante il casco e la tuta, che rendono tutti uguali, ci riconosciamo perché ognuno pilota in base alla propria personalità.

D. Vorresti inventare qualche nuova figura acrobatica?
A. Devo dire, innanzi tutto, che il lavoro del solista in pattuglia acrobatica è direttamente collegato con quello della pattuglia e a cambiare c’è sempre il rischio di mettere in evidenza una cosa rispetto ad un’altra e non sarebbe giusto. E poi è anche un problema di rispetto di tutto quello che hanno fatto quelli davanti a noi; io penso che l’attuale solista inventi qualche altra figura, ma gli compete come una successione logica.

D. Qual è stata la manifestazione che ti ha dato più soddisfazione?
A. Nel 1981 a Greenham Common col G.91. Era il mio primo anno in questo ruolo, seicentomila persone davanti, un mondo nuovo e devo dire che è stato anche un bel volo. E comunque, la soddisfazione non è stata tanto in quello, quanto nel fatto che alla sera davano un trofeo alla pattuglia acrobatica migliore e Gallus, allora “leader”, era così convinto che avessimo lavorato al limite delle nostre possibilità che mi ha dato una pacca sulle spalle dicendomi “… andiamo a ritirare il trofeo”. Questo, invece, era destinato agli svizzeri perché premiavano le pattuglie con meno di sei elementi e, soprattutto, quelle non professioniste. Per Gallus è stato uno schiaffo morale, mentre per me è stata una grandissima soddisfazione il fatto che lui fosse così sicuro che l’avessimo vinto noi. Questo stava a significare che prima di tutto era convinto di quanto avessimo lavorato bene.

D. Avrai sicuramente del tempo libero, come lo impieghi?
A. Il mio è un lavoro straordinario per cui non c’è bisogno di un riempitivo. Ciò nonostante, prima che me lo impedissero, dopo varie cadute, mi piaceva andare a cavallo.

D. Cosa pensi della funzione della stampa specializzata?
A. Secondo me in Italia è un problema. Perché a fronte di persone straordinariamente preparate ce ne sono altrettante, o forse di più, impreparate. Molto spesso quello che scrive la stampa specializzata è funzione di un interesse ben preciso che non sempre è l’interesse del lettore o della verità. E questa, secondo me, è la cosa più sgradevole di qualsiasi stampa, non solo di quella specializzata. ll giornalista crede di avere in mano un “attrezzo” così potente da permettergli quasi di snobbare la realtà; la sua materia finisce per essere un mezzo con il quale raggiungere i suoi fini. lo penso che la funzione della stampa specializzata non sia la divulgazione, quanto quella della precisione; un giornale professionale, per esempio, non va in mano alla casalinga, ma ad una persona che ha un “background” culturale ben preciso, per cui non gli si possono dare delle informazioni d’opinione. A questo tipo di pubblico non servono né la divulgazione né l’opinione ma un aggiornamento dei fatti ed il loro approfondimento, indipendentemente dalle considerazioni personali del giornalista.

D. Gli ingredienti indispensabili, secondo te, per diventare il solista delle “Frecce Tricolori”?
A. Ma guarda, non esiste una ricetta, c’è tutta una serie di combinazioni, ma condensando diciamo semplicemente: la fortuna. Capitare nel momento giusto.

D. Cosa ne pensi tu della paura di volare?
A. E’ un argomento che non conosco e non so di preciso cosa si possa pensare della paura del volo. Non saprei neanche che consigli dare. Indubbiamente è una cosa irrazionale, un problema emotivo, ma penso, comunque, che ad influenzare, in modo negativo, possa essere il fatto di essere sospesi nel vuoto. Sono, decisamente, la persona meno indicata per dare una risposta alla tua domanda, perché per me volare è molto bello e dà delle meravigliose sensazioni (almeno come volo io).

D. Quando fai il volo acrobatico, pensi esclusivamente a quello che devi fare o puoi renderti conto di quello che c’è al di fuori dell’aeroplano?
A. Il lavoro richiede un’attenzione notevole, ma non così esclusiva; ogni tanto abbiamo dei “breaks”, altrimenti la tensione nervosa diventerebbe allucinante; le manovre acrobatiche richiedono soprattutto precisione. Secondo me un buon pilota dovrebbe anticipare la manovra successiva mentre sta ancora terminando la precedente.

D. Quai’è la figura acrobatica che ti impegna di più?
A. Senz’altro il “tonneau” lento. Con l’MB.339 è una figura estremamente difficile. Posso dire che, in genere, le figure più spettacolari sono quelle meno impegnative da eseguire e viceversa. Il “crazy flight”, per esempio, è una figura abbastanza semplice che richiede solo un accurato “timing”. D’altronde, può apparire differente ogni volta che la si esegue, mentre un “roll” lento, o in quattro tempi, non esattamente sincronizzato, può essere immediatamente scoperto da uno spettatore smaliziato.

Le domande che vorrei rivolgere a G.B. sarebbero ancora molte, forse moltissime, ma non voglio abusare oltre della sua cordialità. Mentre mi sto accomiatando da lui, il “pilota folle” mi interrompe e mi fa vedere dei fogli di quaderno disegnati e scritti dagli alunni di una 2a elementare che avevano assistito allo “show” della PAN. lncuriosita, li sfoglio velocemente e vedo che raccontano una favola il cui protagonista era lui, Pony 10, smarritosi in un bosco perché, distratto, era rimasto senza benzina, ed era stato ritrovato dai suoi compagni della Pattuglia Acrobatica. Sorridendo mi dice: “Ecco, vedi, questo sarà uno dei miei ricordi più belli”.
Un pilota che tutti ammirano, un personaggio così invidiato e acclamato, sa anche commuoversi per l’ammirazione di un gruppo di bambini.

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