Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio 2020

A colloquio con il generale Franzoi che è stato l'anima della pattuglia acrobatica nazionale

«Dopo la sciagura di Rivolto c'è solo da stringere i denti»

di Gian Antonio Stella
da Corriere della sera, 14 dicembre 1988, p. 7

DAL NOSTRO INVIATO
UDINE — E adesso? «Adesso è dura. I ragazzi si erano ripresi bene, dopo la sciagura di Ramstein. Un mese e mezzo dopo erano già sereni, lucidi, a posto. Questa botta non ci voleva. Paolo Scoponi, poi, era proprio l’uomo giusto per la ripresa a pieno ritmo. L’avevano chiamato apposta. Perderlo cosi…Povero Cristo, era entusiasta del nuovo incarico. Capirà, dirigere le Frecce tricolori: cosa può volere di più, un pilota dl 38 anni? Non ci voleva, questa tragedia. Adesso niente, c’è solo da stringere i denti e andare avanti. Dubbi? No, stia tranquillo: questi ragazzi andranno dritti per la loro strada».

Il generale Danilo Franzoi, 58 anni, trentino, è stato per dieci anni l’anima della pattuglia acrobatica nazionale. Prima come «solista», poi come «capo formazione», infine come comandante del 313° gruppo, da cui dipendono le «Frecce». È andato in pensione esattamente quattro giorni prima del disastroso schianto sulla base Nato tedesca. Ora vive in un villino a quattro chilometri dalla base di Rivolto, con la moglie, le due figlie, un cane di razza Collie e un gatto persiano nero. Delle «figure aeree» e degli spericolati «artisti» sa tutto.

«Spericolati? Ma no, non è vero. È solo un luogo comune. Non ci vuole un gran fegato a far parte della pattuglia. È solo questione di tecnica, dl addestramento, di concentrazione. Certo, un po’ di rischio c’è, ma anche chi si mette in macchina per un viaggio qualche pericolo lo corre».

— Dopo quanto è successo è difficile crederle…

«Si sbaglia. Lo chieda a mia moglie: non ha mal avuto paura. Mai. I piloti delle Frecce tricolori non sono dei matti che vanno su a rischiare la pelle. Se c’è qualcuno che ama il rischio viene messo fuori».

— Ma quegli esercizi…

«È chiaro: qualche difficoltà tecnica la comportano. Magari il doppio «tonneau», una rotazione sull’asse un po’ complicata, richiede un po’ di concentrazione in più, ma l’effetto ottico è una cosa, la tecnica un’altra. Prenda la «bomba». A vedere gli aerei che si incrociano rombando in una nuvola di fumo la gente resta col fiato mozzo, ma lo giuro che si tratta di un esercizio tranquillo. Tu vedi gli aerei «schiacciati» sullo sfondo del cielo e ti sembrano quasi appiccicati, ma tra uno e l’altro possono esserci anche duecento metri».

— E gli «incontri ravvicinati»?

«Si può volare in parallelo con un metro e mezzo tra un’ala e l’altra. Ma vale lo stesso discorso: tra i due aerei c’è uno «scalino» di un paio di metri. Da sotto ti sembrano allineati. In realtà uno vola più in alto, l’altro più in basso».

— Ma se è tutto cosi semplice, come mal tanti Incidenti? Tredici morti…

«I morti sono sempre troppi, sempre. Ma tredici morti in ventisette anni di attività, se vogliamo guardare alle statistiche, sono un numero ridotto, rispetto alla media. Per carità, è un discorso che non vale niente, intendiamoci. Però voglio dire che i piloti delle Frecce tricolori non sono affatto dei suicidi».

— Se è vero che la cosa fondamentale è mantenere la concentrazione, essere lucidi, aver fiducia assoluta negli altri, cosa può accadere dopo Ramstein e la morte del nuovo comandante?

«Certo, un problema psicologico potrebbe esserci. Tanto più che, in un gruppo come questo, si forma uno spirito di solidarietà, di stima, dl affetto molto forte. Insomma: se voli con un altro facendo certi esercizi diventi anche amico suo a terra. Le mogli si frequentano, i figli giocano insieme… Cosl che quando succede una disgrazia non perdi solo un collega. Perdi un amico. Ed è dura riprendersi, quando perdi un amico. Ma questi giovani della pattuglia acrobatica sono forti».

— D’accordo, ma quando una squadra di calcio perde due partite di fila subentra l’insicurezza ed è più facile che perda anche la terza. O no?

«Si, è vero. Ma il problema, casomai, sarebbe affiorato dopo Ramstein. Lì è accaduta una cosa orriblie, difficile da dimenticare. Ancora inspiegabile. Eppure i piloti, e soprattutto i più giovani, si sono ripresi benissimo. La morte del tenente colonnello Scoponi è un’altra cosa. E sono sicurissimo che lascerà dolore, amarezza, rimpianto. Ma paura dl volare no. Chi entra nella pattuglia acrobatica fa una scelta netta. E non ho mai conosciuto uno che se ne sta pentito».

È stata una manovra sbagliata

UDINE — Sarebbe stata una manovra errata a costare la vita al tenente colonnello Paolo Scoponl. Secondo alcune indiscrezioni, che dovranno essere confermate delle due inchieste della magistratura e dell’Aeronautica militare, pare che l’ufficiale, a bordo di un «Aermacchi MB 339», In dotazione alla pattuglia acrobatica dl Rivolto, (Udine), si sia schiantato durante una «tonneau» orizzontale. Vale a dire un avvitamento dell’aereo. Accortosi di essere sceso troppo, Paolo Scoponi avrebbe tentato disperatamente di riprendere quota, ma avrebbe battuto al suolo con un’ala.

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