(Ultimo aggiornamento: 17 Settembre 2021)

di Jan Slangen, Volare alto, La Nave di Teseo, 2019, pp. 101 – 106

La consapevolezza di ruoli diversi e il rispetto delle gerarchie è fondamentale nelle Frecce Tricolori. Anche perché l’insieme è molto di più della semplice somma delle sue parti e l’interdipendenza fra tutti i componenti fa sì che si vince, o si perde, tutti insieme. Nessuno è interscambiabile, ma, allo stesso tempo, nessuno è indispensabile. O per lo meno, così è come dovrebbe essere.

Il primo anno vieni addestrato per una delle posizioni di ingresso (pony 7, 8 o 9) che si trovano in coda alla Formazione. Tra le altre cose, il termine pony, che precede il numero di posizione, deriva dal fatto che i primi piloti delle neo-costituite Frecce Tricolori (parliamo del Primo marzo 1961) provenivano dall’allora pattuglia acrobatica del Cavallino Rampante; la cui insegna raffigurava appunto il cavallino di Francesco Baracca (asso dell’aviazione italiana).

Fatto sta, che neanche a farlo apposta, a me spettò la posizione di pony 7, mentre a Dario quella di pony 9. Ricordo il periodo dell’addestramento come se fosse ieri. Un paio di voli al giorno per tutta la settimana, alternati da esercizi in palestra per irrobustire i muscoli, soprattutto quelli delle gambe. La sera ero così esausto che difficilmente riuscivo a tenere gli occhi aperti durante Striscia a notizia.

Si inizia volando in ala ad un solo aereo, poi, giorno dopo giorno, volo dopo volo, nei sei mesi successivi si arriva a chiudere la Formazione dei dieci. Solitamente, questo accade solo qualche giorno prima del “1° maggio”: una giornata dedicata ai numerosi appassionati degli oltre centotrenta fanclub delle Frecce. Un’oc-casione festosa e dal sapore speciale, in particolare per i piloti esordienti e le loro famiglie. Una magia, che si rinnova anno dopo anno e che sancisce l’inizio di una nuova stagione acrobatica, con i suoi ritmi e le sue peculiarità.

Ancora oggi, mi appare così nitida l’immagine di quando eravamo allineati in pista, pronti a decollare. Nonostante l’ammonimento dei piloti più anziani, il mio sguardo, seppur solo per un attimo, andò alle migliaia di persone (ben oltre diecimila) sparse sul prato di Rivolto. Un richiamo troppo forte, al quale fu impossibile resistere. Le gambe iniziarono a vacillare e il respiro a farsi più intenso. “Jan, fagli vedere chi sei!” gridai a me stesso. Poi un urlo liberatorio. “Tettuccio chiuso e bloccato, spina tolta, maniglia in sede, cinghie strette e bloccate, comandi liberi… ” era iniziata la sequenza dei controlli, e di lì a poco: “Pronti con i freni, Via!” Partiti. Finalmente era arrivato il momento tanto atteso e l’emozione di quegli attimi mi accompagnerà per il resto dei miei giorni.

Negli anni a venire ho collezionato una serie di voli memorabili, così come ho dovuto affrontare sfide impegnative, ma mai come quel giorno. “La prima volta non si scorda mai” mi disse il Comandante di allora, Paolo Tarantino. Toccata terra e terminati i saluti di rito, mi spinsi tra la folla e corsi ad abbracciare la mia famiglia: c’erano dawero tutti, nonni compresi.

Ha proprio ragione Paulo Coelho, quando scrive che “l’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni”.

Per i tre anni successivi volai come pony 2, ovvero primo gregario di sinistra – fumo rosso per intenderci – per poi tornare alla posizione di terzo gregario di sinistra (pony 7). Personalmente ritengo che le posizioni di coda siano molto difficili, se non altro per la maggiore distanza rispetto al velivolo “alla guida”: i movimenti, infatti, sono più ampi e di conseguenza anche le correzioni.

Idealmente è proprio il Capo Formazione (pony 1) che devi seguire e questo risulta tanto più agevole, quanto più lo sguardo è proiettato lontano, in modo da “filtrare” i movimenti relativi dei velivoli più vicini. D’altro canto, però, c’è la tranquillità di non aver nessun altro “in ala”. Nessuno che sia “interessato” dai tuoi spostamenti. Immaginate, invece, di trovarvi nella posizione di pony 6 (al centro del rombo), non credete forse che con tutti quegli aerei che volano a qualche metro di distanza tutt’intorno, vi sentireste quantomeno incastrati? Non a caso è un ruolo estremamente delicato che, insieme a quello del Capo Formazione e del Solista (pony 10), richiede tanta esperienza e competenza.

Ma non c’è da preoccuparsi, il passaggio da una posizione all’altra è graduale e l’addestramento è la chiave del successo. Infatti, nel momento in cui si acquisisce un po’ di confidenza, i tempi sono maturi per progredire e cambiare posizione, sempre lungo lo stesso lato della Formazione però: non c’è mai un passaggio da destra a sinistra o viceversa. L’essenziale è non abbassare mai la guardia e rifuggire quella sensazione di sentirsi assolutamente a proprio agio. Si rischierebbe di sottostimare ciò che stai facendo.

Ogni posizione richiede uno specifico addestramento. E dopo un paio di stagioni si partecipa attivamente a tutto il processo forrmativo. Ovviamente nei ruoli già ricoperti. E così trovi, contemporaneamente, ad essere sia allievo, sia istruttore. Un passaggio questo, molto illuminante. È come se ti si aprisse un nuovo mondo; un mondo nel quale capisci quanto il lavoro svolto serva a creare per ciascun pilota un “abito su misura”.

L’obiettivo, infatti, non è quello di raggiungere uno standard uguale per tutti, che poi dovrà rimanere sempre lo stesso, ma lavorare per tirar fuori il meglio da ciascuna individualità, attraverso uno studio certosino dei dettagli, che vengono affinati in base alle caratteristiche delle persone che devi addestrare.

Ricoprire un ruolo nelle Frecce è come calciare un rigore, dovendo mandare la palla proprio sotto l’incrocio dei pali. Un conto è sapere che deve essere fatto, altro è riuscire a farlo, altro ancora è sapere che devi continuare a farlo ogni volta che calci. Perché di questo si tratta: calciare la palla in modo che – ogni volta! – finisca esattamente sotto l’incrocio dei pali. Naturalmente, senza sbagliare mai.

Volare da istruttore, dunque, porta con sé anche una forma di maturazione perché, quando vieni addestrato a volare in una certa posizione, hai già interiorizzato le dinamiche legate all’apprendimento, ma soprattutto, fai tesoro di quelle finezze che si possono apprendere solo stando “dietro”.

In particolare, durante il lungo periodo trascorso alle Frecce, ho avuto modo di volare con tanti piloti e con ognuno di loro ho avuto un’esperienza unica. Ti accorgi, a volte, che alcuni hanno davvero un grande manico (si dice così nel nostro mestiere), ovvero sono naturalmente talentuosi. Ipotizzate, ad esempio, di dover insegnare qualcosa a un allievo che è talmente bravo che qualsiasi manovra tu gli faccia vedere, lui la riproduce o esattamente uguale o addirittura meglio.

A quel punto, devi comunque simulare alcuni degli errori più comuni che – nel nostro mestiere, viste le velocità e i margini praticamente inesistenti – possono avere anche delle conseguenze drammatiche. Ovviamente, laddove possibile. Alcune circostanze possono essere talmente complesse che richiedono semplicemente automatismi o margini di sicurezza più ampi, senza farsi troppe domande. Ecco perché imparare implica uscire dalla “zona di comfort” e crescere significa acquisire gli strumenti per gestire situazioni critiche.

Penso, ad esempio, all’incrocio della Bomba: una manovra nella quale ci si aspetta che tutti i nove aeroplani incrocino sul proprio riferimento e alla propria quota, praticamente allo stesso istante. E questo accade nella maggior parte dei casi. Oltre ad essere lì in quell’istante, però, devo arrivarci anche con l’aeroplano a una determinata velocità. Immaginate di essere leggermente in anticipo e di dover fare delle correzioni che vi portino a ridurre la velocità: riuscireste a incrociare insieme a tutti gli altri ma vi trovereste con l’aeroplano che ha meno energia per poter andare su e seguire tutta la Formazione. A volte, quindi, si tratta di accettare quel leggero anticipo o quel leggero ritardo, per poter poi contare sull’energia che serve nell’istante successivo all’incrocio.

Credo che sia affascinante arrivare ad un grado di sensibilità e conoscenza del programma delle Frecce tali da cogliere le minime sfumature interpretative. Non capita a tutti, anzi. Nel mio piccolo, ho anche cercato di introdurre piccoli accorgimenti, invisibili agli occhi dei più, che potessero, in qualche modo aggiungere un quid a qualcosa che di per sé ha già tutto. Infatti contrariamente a quanti sostengono: “Quest’anno le figure sono diverse rispetto agli altri anni” (quante volte l’ho sentito dire!), vi assicuro che la coreografia ha subìto pochissime variazioni, in oltre mezzo secolo di storia. E per mia fortuna, ho partecipato in prima persona (mi auguro non solo grazie al mio lungo trascorso) all’introduzione di due manovre nuove, che peraltro sono state molto apprezzate dal pubblico.

La prima è il Cuore Tricolore. Avete presente? Una manovra che ho vissuto da gregario: al di fuori nella fase di ideazione, quindi, ma in pieno in quella di realizzazione. Una fase molto lunga, che porta a costruire determinate casistiche per poter “validare” la manovra stessa.

La seconda manovra – alla quale ho partecipato come Comandante, da terra quindi, ma con un ruolo da supervisore – è quella della Scintilla, nome scelto dal pubblico attraverso un sondaggio sui media. La parte più complessa è stata proprio studiare il ricongiungimento. Capire, cioè, come gli aeroplani, una volta che si separano, possano “ricompattarsi” in completa sicurezza e nel più breve tempo possibile; tenendo anche conto delle diverse condizioni meteorologiche e degli errori che, come ho detto, in quanto esseri umani possiamo sempre commettere. Va da sé che questo richiede un addestramento particolare, anche per piloti particolarmente portati e dotati: solo le Frecce sono Frecce.

Brano pubblicato con l’autorizzazione dell’autore

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