(Ultimo aggiornamento: 18 Giugno 2020)

di Jan Slangen, Volare alto, La Nave di Teseo, 2019, pp. 89 – 95

Chi non sa pilotare se stesso, difficilmente saprà pilotare un aereo. È una regola base, che vale in ogni ambito a ogni livello, ma che, più si sale in alto – sia in senso figurato che reale – più conta. Chi è l’essere umano che volerà con te? È adatto a farlo? Sotto pressione, regge o cede? Risolve o complica? Diventa parte della soluzione o parte del problema?

Nei pochi giorni del periodo di selezione delle “aspiranti Frecce”, ad esempio, è fondamentale imparare a conoscere bene le persone che hai di fronte. La prima cosa da capire è se sono aperte da un punto di vista relazionale. Non è solo questione di disponibilità verso gli altri, ma anche di serenità. In volo, la serenità è un fattore determinante. Chi è sereno porta serenità; chi vive nelle nubi, porta nuvolosità. Un conto è essere concentrati e stare “sul pezzo”, altro conto è essere tesi in quanto privi di serenità.

Anima e cielo si somigliano: si vive (e si vola) meglio quando sono sgombri. Volare significa non pensare. Non pensare, sì, nello stesso modo nel quale recitare significa non pensare al copione. Un attore recita davvero quando non ha più bisogno di ricordare le battute. Quando ha raggiunto un tale livello di padronanza del testo che le parole scorrono come acqua di un fiume e lui è libero di concentrarsi sull’interpretazione. È allora che dà il meglio di sé e la recitazione diventa arte.

Allo stesso modo il pilota – soprattutto quando fa parte di una pattuglia acrobatica – deve conoscere così bene volo, aereo e programma, che può concentrarsi sull’esecuzione, dedicando energie, attenzione e riflessi a tutti quegli elementi che – malgrado tutta la preparazione, le ore di volo e l’esperienza accumulata – non possono diventare automatismi. Tutto il resto, invece, deve sparire.

Solo tu, l’aereo e il cielo.

Non lasciatevi ingannare da questa frase, però: gli elementi sono due, non tre. Tu e il tuo aereo, infatti, siete un tutt’uno. Lo conosci talmente a fondo che diventa parte di te: una sorta di “esoscheletro”, come si dice in cibernetica o nel linguaggio dei supereroi. Tu anima, lui corpo.· È come se fosse tuo. Anzi: come se fossi tuo.

Ho sempre cercato di non affezionarmi troppo al “mio pony”, ma è inevitabile. Il fatto è che non è detto che uno possa volare sempre con lo stesso aereo. Di solito è così almeno per tutta una stagione, ma può anche succedere che venga cambiato. E, se ci sei troppo affezionato, può essere un problema. È un po’ come quando sei bambino e i tuoi genitori ti tolgono l’orsacchiotto al quale sei affezionato e te ne regalano uno nuovo. “Era tutto rovinato! ” spiegano, quasi per giustificarsi. E anche se a tutti sembra tale e quale al tuo, tu sai che quell’orsacchiotto non è il tuo … e lo sanno bene anche loro: se fosse davvero lo stesso, infatti, che bisogno avrebbero di cercare di convincerti?

La stessa cosa vale per il tuo aereo: lo riconosceresti fra mille, anche a occhi chiusi. Lo senti dal rombo, da come risponde ai comandi, dal fatto che alcune parti sono consumate, da certe vibrazioni o rumorini che ha soltanto lui… dall’odore, persino. Per me è una cosa viva: gli parli, gli accarezzi il muso, come faresti con un cavallo, e lui ti risponde. Gli altri non lo sentono: tu sì. Ha un’anima. Anche perché, dentro, c’è una meccanica che vola. Veramente. E poi lo curi, lo ripitturi, lo risistemi: quante volte abbiamo dovuto riparare dei pezzi di lamiera … una volta, durante un’esibizione nelle Marche, un uccello mi ha fatto uno squarcio così brutto che i meccanici hanno dovuto lavorare tutta la notte per adattare la lamiera di un comune cartello stradale e “rattopparlo” così da farci volare l’indomani… Desperate times, de sperate measures.

Per tornare al valore della persona, è chiaro che chi è davvero padrone di sé stesso e del mezzo è attento, certo, ma mai teso. Soprattutto quando la situazione si fa critica. E proprio nelle criticità che calma, lucidità ed equilibrio fanno la differenza.

Teso, invece, è chi, dentro di sé, sa di non essere completamente padrone della situazione; di non essere all’altezza del ruolo al quale punta o che gli è stato affidato. Una inadeguatezza che è l’anticamera dell’errore. Perché la paura di sbagliare è già errore. Errore che, quando voli in squadriglia, magari durante un’esibizione, qualcun altro, in cielo o in terra, potrebbe pagare. E pagare molto caro. E questo è inaccettabile.

Essere aperti è importantissimo perché, lavorando in gruppo (le Frecce, con dieci aerei, sono la pattuglia acrobatica più numerosa al mondo) oltre alle competenze e alle conoscenze legate alla professione, contano le qualità umane.

Il selezionatore dev’essere certo di non inserire nei dieci qualcuno che potrebbe rischiare di incrinare, o anche solo sporcare, lo spirito di squadra.

Non basta essere determinati a raggiungere un certo obiettivo. Occorre soprattutto essere consapevoli del fatto che non si tratta di un obiettivo individuale e che il gioco di squadra conta più della performance di un singolo elemento. Per questo è fondamentale individuare un punto di equilibrio tra quanto uno tiene al raggiungimento di un obiettivo e quanto è disposto a fare per dar vita a quel clima relazionale ideale, senza il quale raggiungere quell’obiettivo diventa praticamente impossibile.

Non servono dieci Messi o dieci Ronaldo. Né serve coprire ogni ruolo con il migliore giocatore di quel ruolo. Servono, invece, quei dieci elementi che, integrando al meglio qualità professionali e umane, diano vita all’ensemble migliore. Ecco perché umiltà e maturità sono qualità essenziali. E, di solito, vanno a braccetto.

I candidati ideali sono quelli che ti fanno subito capire di essere disponibili a mettersi in gioco. Anche dal punto di vista umano. Sono pronti ad accettare e, soprattutto, ascoltare i giudizi che ricevono, e a lavorare per migliorarsi.

In un puzzle, l’immagine non si crea cercando di incastrare a forza l’una nell’altra dieci copie della stessa identica tessera, solo perché quella è una bella tessera. Si crea cercando le dieci diverse tessere che – messe una accanto all’altra – formano l’immagine.

Aperti, disponibili, sereni, equilibrati, ma anche entusiasti. Volare è un esperienza fantastlca. Farlo all’interno di una delle migliori pattuglie acrobatiche del mondo, poi, è qualcosa di letteralmente indescrivibile. È come disputare la fase finale dei Mondiali o competere, testa a testa, per una medaglia alle Olimpiadi. La domanda è: se nemmeno questo ci entusiasma, cosa ci riuscirà?

La selezione, quindi procede su tre canali: prove di voIo, colloqui con selezionatori e psicologi, incontri e occasioni di convivialità.

Le prove di volo vengono effettuate in coppia, dietro all’istruttore o in squadra, e servono per capire quale rapporto i candidati hanno con l’aeroplano: come Io portano, se e come affrontano situazioni alla quali non sono abituati – il volo rovescio, ad esempio – per capire se il fisico le tollera o se emergono controindicazioni o aspetti problematici.

I colloqui, invece, si svolgono con esperti interni o esterni, che aiutano i selezionatori delle Frecce a delineare al meglio il profilo psicologico del candidato per poter fare le scelte giuste. Tra gli aspetti più sondati, le motivazioni personali, il rapporto con l’autorità, con i propri genitori, con gli amici, il modo nel quale si affrontano e si reagisce alle critiche. È evidente, tanto per fare un esempio, che una persona particolarmente permalosa non potrà mai fare un mestiere di questo tipo.

In generale, poi, i candidati vengono inseriti in tutte le attività delle Frecce, inclusi incontri, cene e momenti conviviali, per far vedere loro come funziona “la macchina” e far sì che i piloti passino più tempo possibile insieme.

Alla fine, c’è il giudizio di ogni Freccia: ognuno è chiamato ad esprimere le sue preferenze, compilando una scheda di valutazione su ciascun candidato. La scheda è un pre-compliato con punteggi che vanno da zero a cinque. Attenzione, però, non è affatto detto che il punteggio più alto sia anche il migliore. Per certe voci, infatti, un voto troppo alto può risultare un elemento negativo. L’eccesso di motivazione, ad esempio, può rappresentare un difetto.

È chiaro che la conoscenza pregressa personale o la valutazione di qualche Comandante che indica un candidato che, in base a a sua esperienza, può essere meritevole di attenzione, può avere il suo peso, soprattutto nel caso, non così infrequente, che si tratti di scegliere tra candidati che hanno dimostrato caratteristiche simili.

Una cosa è certa: quella delle Frecce è una realtà, non un film: vita vera, non Hollywood. Si cercano professionisti, non attori né “personaggi”. Belle teste, non belle facce. Tanto per esser chiari: non il Maverick di Top Gun, né il dandy o lo sbruffone. Ma non bisogna nemmeno cadere nell’eccesso opposto, nella troppa durezza o, addirittura, nel cinismo. La macchina c’è già: è l’aereo. L’uomo deve rimanere umano.

Ricordo benissimo il mio periodo di selezione e addestramento con le Frecce: sono cresciuto tantissimo. Come pilota, ovviamente. Ma, soprattutto, come uomo. Quando sono arrivato ero un po’ troppo duro. Non dico cinico, ma duro sì. Forse perché l’ambiente militare, per sua natura, tende a indurire l’animo. In poco tempo, avevo assistito a ben tre incidenti mortali: ragazzi con i quali, fino a poche ore prima, si parlava, si scherzava e si rideva, come si fa tra ragazzi, e che, poche ore dopo, non c’erano più.

Mi ero chiuso in me stesso. Non ne parlavo mai. Facevo finta di niente e tenevo tutto dentro. Ma era chiaro che non era possibile tenere, tenere, tenere: prima o poi, sarei esploso. E, così, un pomeriggio, durante una festa a casa di amici, io e mio fratello ci eravamo messi a discutere per una stupidaggine e, all’improvviso, ero crollato ed ero scoppiato a piangere. Ancora oggi, ricordo, I’ espressione sorpresa e attonita di mio fratello. Mi guardava, sgranando gli occhi, senza capire.

Il fatto è che avevo accumulato così tanta tensione che non riuscivo più a controllarla. Alla fine, ero esploso,

Quando mi calmai e smisi di singhiozzare gli raccontai quello che era successo e ciò che stavo passando. Mi strinse in un lungo, silenzioso, abbraccio.

Per una manciata di minuti intensi e liberatori, i ruoli si invertirono e, per la prima volta, provai cosa significa poter contare sull’affetto, la comprensione e il sostegno di un fratello più “grande”. Da quel momento capii quanto fossi fortunato perché l’uomo, e l’amico che avevo davanti, era mio fratello.

Brano pubblicato con l’autorizzazione dell’autore

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