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Nuove figure, i cerchi olimpici e il "tempo libero" dei piloti

da Renato Rocchi, La meravigliosa avventura – Storia del volo acrobatico, vol. 3, Aviani editore, pp. 127 – 129,  136

Per Giancarlo Sburlati – il Comandante venuto da lontano – un anno che si presentava travagliato fin già da metà dicembre. Dopo quaranta giorni di Comando, Bonollo, durante una ripresa-volo in isolato, a briglie sciolte, – incredibile tanta libertà per lui che ricopriva in Pattuglia la posizione di 1° fanalino – un ruolo piuttosto scomodo, castigato, da lui, Bonollo, definitosi “nel cain dei folpi”, con il suo simpatico accento veneziano -, in un passaggio sul campo, con l’alettone urtava una antenna del la torre di controllo e riusciva a lanciarsi a 100 piedi, quando il jet iniziava l’inevitabile rotazione. Un secondo ancora e sarebbe stato troppo tardi.

Il velivolo andava a schiantarsi in aperta carnpagna. Giancarlo Bonollo prendeva terra nei pressj di un deposito militare.

Un “incivolo” che lasciava l’amaro in bocca non soltanto al Comandante.

La qualifica della “combat-readiness” era di routine. II pensiero, il cruccio era rivolto al “nuovo” programma di volo. “Nuovo”, si fa per dire, perché, senza sognare l’impossibile, era oro colato apportare delle modifiche ad una o due più figure già esistenti; così, il “cardioide” cambiava l’apertura in “5+3+1+1” e l’atterraggio, anziché in due sezioni, si effettuava con la presentazione al “break” in ala di 10. Ancora: veniva inserita una nuova figura acrobatica, discussa, provata e riprovata in volo dal “team”, poi “messa dentro” con il nome di “Apollo” – per ricordare la conquista della luna da parte dell’uomo.

Descrizione della figura: “la formazione si presenta a “diamante”… tonneau dei primi 4 velivoli… stacco della seconda formazione e “looping”…”
Sarà una figura di successo.

Anche Ferrazzutti, nel finale di programma, inseriva due figure d’effetto spettacolare, quali: finale… riattaccata e “tonneau” veloce, e il passaggio rovescio sulla formazione a “diamante” di 9 con carrello fuori.

[…]

Barberis, su sua richiesta, veniva assegnato al Reparto Sperimentale di Volo di Pratica di Mare, dove si presentava per ricevere la comunicazione che il tuo trasferimento alla Sperimentale era “saltato” e che veniva “dirottato” a Grazzanise, quale prossimo che Comandante del 10° Gruppo del 9° Storno.

E per Paolo Barberis. addio sogni di gloria!

Per chiarire il “contrattempo”, posso dire che il posto di Barberis alla Sperimentale era stato preso da un “parente stretto” di un Generale che allora contava.

Del resto, la vita nel clan piloti, almeno nei primi mesi, scorreva abbastanza tranquilla, con Danilo Franzoi che oltre ad essere il “leader” in volo, aveva anche l’incarico di Capo Ufficio Operazioni, con Vittorio Zardo che occupava ogni momento libero nello studio per dare gli ultimi due esami e preparare la tesi di laurea, con Giancarlo Bonollo – detto “Gigio” in famiglia – che di tanto in tanto animava con il buonumore la vita in Pattuglia con le sue battute acute e divertenti, se non passava agli scherzi, non proprio tutti accettati con entusiasmo dalla vittima di turno (tanti e tali da poter scrivere un libercolo), con Valentino Jansa sempre nel l’affanno tra iI corso di Iingua inglese alla Oxford di Udine e la corsa a Trieste per salutare la sua “mamuska”, con Angelo Gays e Claudio Caruso, due siamesi che avevano preferito la “garçonnière” – “in single”, ben s’intende – all’alloggio demaniale di mamma Aeronautica, per vivere una vita degna d’uno scapolo, con Alessandro Pettarin che per soddisfare un suo hobby, si perdeva nel mini-laboratorio di falegnameria, con Renato Ferrazzutti, un emergente in bravura, in professionalità e in solitudine per quel suo temperamento alla carta di vetro.

Il 7 di febbraio un impegno fuori dalla norma: le “Frecce Tricolori” intervenivano in Val Gardena, in occasione dell’apertura del Campionato del Mondo di Sci, per segnare nel cielo di Ortisei i tre cerchi simbolici del Campionato del Mondo e portare il saluto dell’Italia con il passaggio in formazione di 9 a “diamante” con le fumate tricolori. Veramente sudata l’esecuzione dei tre cerchi; da routine il passaggio.

La missione si ripeteva per la chiusura dei Giochi. Intervento limitato al passaggio alla minima con le fumate tricolori sullo Stadio del Ghiaccio, in occasione della cerimonia dell’ammainabandiera.

A metà marzo una missione umanitaria veniva richiesta alla P.A.N. dai familiari di una donna ricoverata in condizioni disperate al Policlinico di Udine, per ritirare un flacone di sangue di un gruppo estremamente raro all’aeroporto di Napoli – Capodichino.

Il Comandante, avuta l’autorizzazione dalla Regione Aerea, faceva decollare il Cap. Vittorio Zardo con il G.91 PAN.

Due ore dopo Zardo atterrava a Rivolto e consegnava ad una staffetta della Polizia Stradale il pacco sigillato.
Più tardi un dottore del nosocomio contattava – offeso – il Comandante della P.A.N., per informarlo che era stato impiegato un velivolo jet dell’Aereonautica – speso, quindi, denaro del contribuente – non per prelevare sangue estremamente raro, ma niente di più che un flacone contenente il “Siero di Bonifacio”, lasciandosi suggestionare dalla povera gente, anziché sentire il pensiero del medico curante.

Sburlati, con quella calma che gli era propria, rispondeva all’indignato medico che quale Comandante di un Reparto di volo si sentiva soddisfatto perché con una missione aveva raggiunto tre obiettivi “di base” per un pilota: il primo di navigazione aerea, il secondo di pronto impiego sui canali di emergenza e il terzo – non ultimo – al servizio del cittadino per una missione di coscienza, che ha permesso ali’ Aeronautica di non rifiutare la speranza a gente disperata.

L’indomani la povera donna moriva.

[…]

Ai primi di luglio, Vittorio Zardo si laureava in Ingegneria Edile. Un avvenimento straordinario nella vita già straordinaria in Pattuglia; un momento da festeggiare in famiglia, con gli amici che avevano saputo sopportare un umore che tentennava tra l’alto e il basso, causa lo strazio d’uno studio che non lasciava respiro. Poi gli esami, poi quell’andare e venire da Padova – spesso accompagnato – e quei professori piuttosto severi, rimasti ossi duri anche dopo il tentativo di addomesticarli in Pattuglia, e Bonollo poi, sopportarlo con i suoi scherzi…

Uscì la “pensata” di una riunione con i “più intimi” per programmare i festeggiamenti.
Appuntamento da Nino – un amico con Hosteria in località Bertiolo.

Un incontro in sordina, un arrivo in punta di piedi. Poi il “gruppo di lavoro” si trasformò in un coro, e si diede fuoco alle micce con quel “presente” fatto dagli amici: una cazzuola d’argento con le firme di tutti i componenti le “Frecce Tricolori”, la data e una dedica che solo Gigio (Bonollo) poteva coniare:
“Pattuglia – sabion e piere
gà fato
Vittorino ingegnere”
una buca scavata nel cortile a prato, due mattoni, un biglietto, tre cazzuole – tutto argento – di malta, preparata sul posto – un impasto di sabbia, vino bianco e niente acqua – sopra la terra per ridare l’anonimato … a ricordo di un momento di vita da non dimenticare.

Seguiva quel “raid” Bertiolo – Udine – Campoformido, un autentico exploit goliardico.

Infatti la cerimonia “ufficiale”, dopo pochi giorni a Torlano, non raggiunse i toni della prova generale, esaltata dall’improvvisazione e dalla spontaneità.
Irripetibile!

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