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Visita a Rivolto dove si addestrano le « Frecce Tricolori »

È cominciata la preparazione della « pattuglia acrobatica » per il cinquantenario dell'aviazione militare italiana - Previste trenta esibizioni; impossibile esaudire tutte le richieste

di Franco Goy
da Corriere della Sera, 30 ottobre 1972, p. 15

Rivolto, ottobre.
Scrivono: « Siamo rimasti con il cuore in gola e con lo sguardo al cielo ad ammirarvi, si. ma anche a pregare Dio per voi. Vi ammiriamo immensamente e ve lo vorremmo dire forte forte. Viva gli aviatori ». Sono gli scolari della scuola di Reana, un paesino dell’Udinese; sono Stefania, Lidia, Umberto, Marilena, che hanno assistito con i loro compagni di banco e di avventura (le firme, incerte, sano allineate su un foglio a righe di quarta elementare) a una esibizione della pattuglia acrobatica delle « Frecce tricolori », qui. sull’aeroporto di Rivolto.

La Pontebbana corre, a poca distanza, parallelamente alla pista e capita agli automobilisti di fiancheggiare, viaggiando, un jet azzurro in decollo o in atterraggio; gli capita di sentirsi la formazione di nove velivoli che si impenna « a bastone » sulla loro testa, con i motori al massimo dei giri. Sono gli eredi di quella « Squadriglia folle » che diede all’aviazione italiana, negli anni trenta, prestigio e allori. Folli essi stessi?

«Macché — dice il capitano Renato Rocchi, l’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni — è tutto un lavoro di precisione; di naso, come diciamo noi. Si prova e si riprova. D’accordo, ci vuole anche un pizzico di estro e di esuberanza, ma più a terra che in volo, per intenderci ». Dieci anni alla pattuglia, qualche filo grigio sulle tempie, una risata aperta e sonora, puntuali citazioni delle massime del nonno (« Ridi e il mondo riderà con te. Dormi e russerai solo »), un mitico nonno dalle parti di Pola, la città della sua famiglia.

Dalla cartella della posta estrae un’altra lettera, legge una filastrocca firmata « Lucia », una bambina che s’è dimenticata di indicare di dov’è. Anche lei è stata a Rivolto con la sua classe, queste visite si succedono di frequente, i provveditori agli studi, i presidi, gl’insegnanti inviano richieste protocollate, ci piacerebbe, desidereremmo, sarebbe un grande onore. « Se possiamo, mandiamo pure un pullman a prenderli » dice il capitano Rocchi. « Ma la vuol proprio sentire la filastrocca di Lucia? ».

Ma certo. « Prima vanno in fila indiana sulla pista – poi s’innalzano pian piano. – Sopra monti, fiumi e mari – volan lieti gli aeroplani – e continuano a volare – e i bambini li a guardare – a vederli svolazzare ». Lucia, la piccola poetessa di chissà dove, rientra nella cartella della corrispondenza. È un po’ la cartella degli entusiasmi, dove finiscono il compiacimento degli addetti militari stranieri nelle ambasciate romane (sono venuti a Rivolto di recente, c’erano anche quelli cinese e sovietico), i ringraziamenti delle autorità di questo e quel posto che hanno assistito all’esibizione della pattuglia nel cielo di casa, i consensi e le congratulazioni di ministri, alti ufficiali, gente sconosciuta.

La pattuglia è una calamita di commozioni, le suscita con un ‘tonneau’ in quattro tempi, con un ‘looping’ a piramide, te le esaspera con la bomba e i fumi tricolori, con gli incroci a ottocento chilometri all’ora, quando le due coppie di aerei che volano più bassi, una che viene di qua, l’altra di là, passano sfiorando il terreno, forse a due metri, forse a tre metri di altezza. Un lavoro di naso.

Spiega il comandante del 313° gruppo di addestramento acrobatico (è la denominazione ufficiale del reparto di Rivolto, del quale fa parte la pattuglia delle Frecce tricolori): « Il nostro addestramento è quotidiano, tempo permettendo. Una bomba al giorno e tanto ferro in bocca. Stringere i denti, insomma ». Il tenente colonnello Vittorio Zardo, trentatreenne, biondo, occhi azzurri, vicentino, era già stato in pattuglia per quattro anni, faceva il gregario sinistro. È tornato a un gruppo di cacciatori, dai primi di ottobre è di nuovo a Rivolto.

Lo attende l’anno del cinquantenario (l’aviazione militare venne fondata nel 1923), ma nessuno sostiene che l’anno venturo la pattuglia acrobatica supererà se stessa. Che cosa può fare di più? Le novità, poi, si preparano in segreto. C’è tutto l’inverno davanti.

« Faremo – calcola il comandante – una trentina di esibizioni in Italia e all’estero. Ma se dovessimo esaudire le richieste che ci sono già pervenute, non ci basterebbe l’abituale stagione da aprile a ottobre. E non ci si dimentichi che la pattuglia non sfugge agli impegni dell’attività operativa, tiri, navigazione, voli notturni, missioni. I nostri velivoli, del resto, non differiscono gran che da quelli in dotazione alle unità combattenti».

La nostra pattuglia acrobatica (anche quella americana, per la verità, che impiega i Phantom) vola su jet militari, i G 91 nella versione PAN. Si tratta, addirittura, degli apparecchi di preserie di questo fortunato, caccia tattico leggero, costruito dalla Fiat e vincitore di un concorso NATO, del quale esalta le doti di maneggevolezza e di docilità ai comandi. È stato un tantino alleggerito, svuotando il vano delle armi (nel quale, durante i trasferimenti, i piloti stivano le loro valigie), ed è stato dotato dell’impianto per i fumi.

Per le Frecce Tricolori, si prevede, il 1973 sarà l’anno di tanto « ferro in bocca » per via della ricorrenza, in forza della tradizione. Per la prima volta, i piloti sono tutti ufficiali, con almeno millecinquecento ore di volo; ma c’è chi ne vanta duemila e anche più di tremila: conte il tenente Giancarlo Bonollo, per dirne uno, veneziano, primo fanalino (quello che sta dietro il comandante); come il solista della compagnia. il capitano Renato Ferrazzutti.

Come esempio del « ferro in bocca » si cita, a Rivolto, il tenente Tito Falconi. Per allenarsi al volo rovesciato, aveva fatto fissare al soffitto della sua stanza una sedia e vi trascorreva, legato a testa in giù, quanto più tempo potesse. Andò ai campionati di alta acrobazia individuale, a Cleveland, e per l’occasione volò da Saint-Louis, nel Michigan, a Chicago sempre capovolto. Il suo record. che si ritiene imbattuto, fu di tre ore e sei minuti. Grandi feste, all’arrivo. Poi, in albergo, uno spettacolo allucinante: il lampadario spuntava dal pavimento, il cassettone e l’armadio si protendevano dalle pareti, il letto, il comodino e la poltrona erano appesi al soffitto. Uno scherzo dei colleghi.

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