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da Renato Rocchi, La splendida avventura – La storia del volo acrobatico, vol. 3°, p. 28 e segg.

Nuovo anno, nuove prospettive con tante speranze di realizzare il “grande sogno”: un “team” acrobatico con 9 velivoli.

Una pianificazione a tempi lunghi, in quanto il periodo di preparazione del “team” – prima a terra, poi in volo – era già ristretto di fronte all’esigenza di studiare e di addestrare ogni singolo elemento, talvolta a cominciare dallo stesso “leader”, anche se sussistevano le premesse.

Intanto il programma poteva esser portato a “6” senza solista, per poi passare gradualmente a “7” ed a “9”.
La condizione “sine qua non”: disporre degli uomini e dei mezzi richiesti. Non c’era altra soluzione.

Bisognava anche dare un nominativo alla P.A.N.. Un nome che desse una “identità nazionale” al “team”.
Un nominativo semplice, accessibile alla mentalità italiana e facilmente comprensibile ali’ estero. Comandante e piloti del 313° Gruppo A.A., collegialmente e democraticamente, proponevano allo Stato Maggiore il nominativo “Frecce Tricolori” – un “derivato” dal distintivo.
Ed era di gradimento anche per i superiori Comandi.

«I velivoli, poi, erano verniciati con colori preparati “in casa” – spiega Squarcina – colori che avevano dimostrato i loro limiti e la loro insufficiente resistenza al calore e alla pioggia. Si era dovuti ricorrere, pertanto, a frequenti operazioni di verniciatura, aggravate dal fatto che venivano effettuale suIl’aeroporlo di Pratica di Mare, dove i velivoli dovevano essere periodicamente trasferiti”.

Sempre collegialmenle e democraticamente – come già accaduto per la prima colorazione – Comandante e piloti studiarono i nuovi colori da dare ai velivoli. Colori che dovevano colpire lo spettatore senza falsare l’assetto del velivolo. Inoltre, la vernice usata doveva essere molto resistente al calore sviluppato dal motore ed alle intemperie in genere.

Il bozzetto e le richieste venivano approvate “tout court” dallo Stato Maggiore Aeronautica.

Ed ecco il “SABRE F.86E” – edizione ’62:
– fondo blu
– superfici inferiori delle ali in bianco – rosso e verde
– sulle fiancate riprodotte le frecce tricolori con a lato il nominativo.

Tra marzo e aprile venivano assegnati al 313° Gruppo:
• Ten. Pil. Vittorio Cumin, provenienza: 6a Aerobrigata
• M.llo Pil. Eddo Turra, provenienza: 4a Aerobrigata
• Ten. G.A.r.a.t. Domenico Pappalettera – Ufficiale Tecnico
• Ten. A.A.r.s. Vincenzo Santulli – Ufficiale alle P.R..

L’effetto Remondino era evidente.

Squarcina era un vulcano. Neanche di notte aveva pace.
Studiava, ideava, creava nuove figure acrobatiche, le inseriva, le cancellava, poi le riproponeva. Sempre sulla carta e in “top secret”, per poter ottenere il massimo in un programma di 6 velivoli, in virtù di una sua più che valida teoria, che diceva: «In relazione alla personalità del “leader”, dei gregari e delle caratteristiche dei velivoli impiegati, ogni formazione ha avuto ed avrà una sua particolare fisionomia.
Un programma di esibizione può essere definito plastico, preciso, coreografico (in genere caratteristico degli anglosassoni e degli USA) oppure fantasioso e aggressivo, come nel caso, in genere, delle Pattuglie italiane.
Devo trovare il programma giusto!»

Però, con la testa era anche su un programma di 9 velivoli. Lo tracciava a grandi linee, con la convinzione che sognare non era proibito. Poi Io rimetteva nel cassetto.

Un sogno anche sollecitato dal fatto che la pattuglia acrobatica della R.A.F. presentava un “team” di 16 Hunter, la “Patrouille de France” di 12 Mystère IV A e la R.H.A.F. greca di 7 SABRE F.86D.
La P.A.N. non poteva accettare il ruolo di cenerentola.

Dall’altra parte della pista si agitava il “ciclone” Pappalettera, l’Ufficiale Tecnico della P.A.N..
In verità era di ché agitarsi: sverniciatura e verniciatura dei velivoli – rivedere l’impianto fumogeno bianco e studiare un nuovo impianto fumogeno colorato, oltre ai normali controlli, revisioni e grane che un velivolo segnato “da demolire” poteva dare, e, con priorità, assicurare l’efficienza in linea di volo. Tra allenamenti acrobatici e transizioni si volava dal primo mattino al tramonto.
Era tale la mole di lavoro che Pappalettera – un trascinatore – non poteva far rispettare ai suoi uomini la specialità della categoria.

Gente meravigliosa, questi specialisti!

Per il ’62, in calendario 20 “air-shows” in Italia e 3 all’estero.
Una stagione di tutto rispetto.

Dei piloti a disposizione – ed erano undici – tre appartenevano alla “vecchia guardia”: Pisano – Vianello e Panario -, tre avevano esperienza di volo acrobatico collettivo: Cumin – Anticoli e Turra -, gli altri: Linguini – Goldoni – Colucci -Barbini e Ferrazzutti – erano nuovi nella specifica attività.
E su questi ultimi Squarcina focalizzava un’attenzione particolare.

Dal gruppo “in cura” emergeva subito Renato Ferrazzutti, che dimostrava, fin dai primi voli, istinto, predisposizione e quella attitudine innata, che gli permetteva di essere impiegato sia in ala destra che in ala sinistra.
Elemento eccellente, da inserire a pieni voti nella formazione di 6 velivoli, anche se, appena arrivato a Reparto, Squarcina aveva dovuto “inquadrarlo” a causa di quel suo comportamento distaccato, freddo, anti-feeling, di quel suo carattere alla carta di vetro.
Elemento difficile da amministrare a terra, quanto docile e posato in volo.

In quei mesi di ripresa, guardando al futuro. Ferrazzutti, anche acrobatico. andava a Squarcina pari al cacio sui maccheroni.

Si susseguivano a ritmo serrato gli allenamenti in formazione di “5”, di “4” e in coppia.

Il “lessico Squarcina”. in proposito, recitava:
“… le ferree leggi della prospettiva impongono ai piloti-gregari un continuo adeguamento di parametri in funzione dell’inclinazione alare e della posizione relativa all’osservatore a terra, onde assicurare la geometria apparentemente perfetta della formazione;
… anche in questa esigenza è fondamentale la presenza di un “coach” a terra, che dia le opportune correzioni via-radio con l’ausilio efficacissimo di una ripresa cinematografica;
… la presentazione dei velivoli e del personale d’assistenza tecnica a terra deve rispondere ad un ordine coreografico prestabilito, fattore non trascurabile di contorno ad una “performance”, in un volo di tutto rispetto;
… il tutto armonico deve essere perseguito a costo anche del sacrificio (in fatto di vanità!) di un pilota maggiormente dotato a favore di un colle-ga in temporanea “défaillance”;
… deve, quindi, essere assimilata da tutti i componenti la formazione l’esigenza del lavoro di “équipe”, o come si usa dire, del “collettivo”;
… niente prime donne, il solista basta e avanza;
… solo a questo punto, adottando dei programmi di volo a difficoltà crescente in rapporto alla capacità professionale dei singoli elementi a disposizione, si può aspirare a ben figurare”.

Una nota.
Nel gergo sportivo “coach” ha il significato di addestratore, di allenatore ed è un termine che calza benissimo nel volo acrobatico, eletto a disciplina sportiva. Più che nell’individuale è nel collettivo che è indispensabile l’opera dell’addestratore, che non porti o porti le stellette, in quanto lavoro d’ assieme, di “équipe” e, di conseguenza, la struttura del “team” si allinea con le sacre regole sportive.

Vado al paragone:
– il Comandante di Gruppo:
è l’addetto all’addestramento
quindi il “coach”
– il Comandante in volo:
il n. 1 della formazione: il “leader”
il “capitano”
– i piloti che compongono l’ala destra e l’ala sinistra
i “gregari” – i “titolari”
– i piloti che fanno panchina e che attendono di entrare nella formazione:
le “riserve”

ancora:
– nel “team”, in volo soprattutto, deve sussistere il gioco d’assieme; vale la norma dell'”uno per tutti e tutti per uno” e quel “feeling” che dà compattezza, serenità, fiducia e responsabilità tra i protagonisti.

Ed è umano che, come in ogni squadra di collettivo, non mancheranno iI mugugno, la frecciata, lo scontento, chi paventa l’ingiusto.
È inevitabile anche in un “team” con le stellette.

Non esiste, invece, – e grazie a Dio! – la competizione con classifica in un campionato per il migliore. Il gioco si farebbe veramente pericoloso.

La storia del volo acrobatico collettivo annovera una sola competizione: il “Campionato Mondiale di Acrobazia Aerea Collettiva” disputatosi a Zurigo nel 1937.
L’Italia si era classificata al secondo posto, quando meritava il primo.
Ma quali e quanti rischi hanno corso le formazioni per fare più punti in classifica?!

In quell’inizio di stagione, ecco i piloti inseriti nella formazione di “6” velivoli:

Pisano
Cumin – Vianello
Ferrazzutti – Anticoli
Panario

a rotazione: Goldoni – Colucci – Linguini e Barbini.

I programmi erano due.
Il primo “Alto di 6”
– da presentare quando il QBB (altezza della base delle nubi, ndr) era di 6000 piedi o più
il secondo “Basso di 6”
– da presentare quando il QBB era di 2000 piedi e non al di sotto.

[…]

In questo inizio di calendario, i velivoli in linea non erano più di 7, al massimo 8, su dodici in carico. Infatti quattro erano a rotazione in hangar per la sverniciatura, la verniciatura e la revisione dell’impianto fumogeno.
Di conseguenza nei trasferimenti Squarcina cedeva il suo posto in formazione ad una riserva; per il pilota era tutto di guadagnato in esperienza e in addestramento. E lui, il “coach” saliva sul C.119 che trasportava gli specialisti e il materiale.
Così, quando qualcuno cercò di fargli capire la necessità del “trasferimento coatto” con il “team”, in quanto era importante avere il Comandante con i piloti fin dal momento dell’arrivo, Squarcina risolse il problema anticipando il decollo del C.119 di quel tanto da essere là, a destinazione, ad aspettarli.

Una forma di altruismo non da tutti compresa.

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