(Ultimo aggiornamento: 8 Maggio 2020)

di Gen. S.A. Giampiero Gargini
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale anno 20 – n° 36 – 1/10/2018 – pagg. 2 – 3

I Piloti hanno due periodi addestrativi ben distinti: il primo si svolge presso le Scuole di Volo ed è caratterizzata da una completa “sudditanza” tecnico-psicologica nei confronti dell’Istruttore di volo, che rappresenta un traguardo apparentemente irraggiungibile per un Allievo.

Infine, piano piano, anche l’Allievo impara (ci mancherebbe altro!) e il volo appare più accessibile.

Poi arriva il momento in cui ti appuntano sulla giacca un’aquila turrita di metallo dorato e pensi di essere al topo.

Neanche per sogno: ti assegnano ad un Reparto da combattimento e ritorni nell’ “ignoranza”; sei l’ultimo arrivato e tutti i colleghi Piloti anziani sono espertissimi e capaci di effettuare missioni difficili e complesse e ricominci a pensare che sarà dura!

Tutto questo è successo anche a me, ma con una differenza: il mio Reparto operava nel profondo sud e all’epoca una gran parte dei Piloti anziani aveva una sola aspettativa: farsi trasferire ad un Reparto del nord.

I miei “anziani” erano relativamente giovani sia che provenissero dai corsi dell’Accademia che dal “complemento”, come si definivano quelli che avevano una ferma ridotta e avevano frequentato quasi unicamente le scuole di volo.

La provenienza non costitutiva una significativa differenza tra i Piloti e quello che contava era il livello di addestramento raggiunto e l’esperienza di volo acquisita.

Quando ancora mi dibattevo nelle difficoltà addestrative e cercavo di acquisire le basi per essere un Pilota “pronto al combattimento”, incontrai Mario Naldini.

Il suo accento non ti faceva dubitare della sua provenienza: era un fiorentino doc, con quel che ne consegue e ben sanno coloro che hanno a che fare con i toscani. Battuta pronta, prontissima, sorriso aperto e molto spesso irridente, ma al tempo stesso bonario; con lui si stabiliva subito un rapporto amichevole, ma non si scherzava sul volo: era preparatissimo, coraggioso e determinato, non ci separavano tante ore di volo sull’F-104, ma percepivo ugualmente una competenza solida e indiscutibile.

Feci con lui molti voli di addestramento e mi seguiva nelle funzioni di “capo coppia”, dandomi istruzioni e sottolineando gli errori, con puntualità.

Con il passare del tempo si stabilì un bel rapporto, andammo all’estero insieme, durante le missioni di navigazione a lungo raggio, partecipammo a diverse campagne di addestramento al tiro ariasuolo in Sardegna; mi sorprendo ancora a pensare quanti voli abbiamo fatto insieme e quanto mi risultasse semplice affrontare con lui missioni complesse, voli notturni, missioni di attacco alle navi (per addestramento!).

Quando la mattina, Mario entrava nell’aula briefing, dove i Piloti venivano informati sulle attività programmate, si notava immediatamente il suo sorriso aperto e scanzonato, non ricordo di avere mai notato una sua espressione accigliata.

Durante discussioni tecniche tra Piloti egli non aveva rivali e quando notava che qualche collega eccedeva nella “competenza verbale”, lo apostrofava con l’appellativo di “o’ pallino” e a quel punto si capiva che non c’erano altre discussioni da fare.

Se devo riandare ad alcuni episodi specifici, non posso fare a meno di ricordare come, durante una missione di aerocooperazione con la Marina Militare, dopo aver scorazzato in lungo e in largo per il canale di Sicilia, alla ricerca delle navi obiettivo, mi accorsi che stranamente si vedeva a sud una vicina linea di costa, ma questo mio pensiero fu prontamente interrotto dalla perentoria chiamata radio di Mario: “accelera al massimo, verso nord, che siamo in Tunisia!”.

Se non fosse stato per lui, avrei impiegato chissà quanto per raccapezzarmi sulla nostra posizione e magari saremmo stati intercettati dai velivoli della difesa aerea tunisina, e possiamo immaginare le complicazioni diplomatiche.

In una altra occasione, dovendo fare insieme una missione di navigazione notturna, all’uscita dalla sala piloti mi disse: “stasera c’è una bella luna piena, potremmo fare un po’ di acrobazia

Sento il bisogno di chiarire che l’acrobazia in ala si faceva di giorno ma non ricordo se si fossero preoccupati di vietarla di notte.

Io non battei ciglio, se lo diceva Mario la cosa era fattibile.

All’inizio condussi io la navigazione e, una volta in prossimità del golfo di Taranto, mi ordinò per radio di mettermi sulla sua ala e cominciò ad inanellare manovre acrobatiche sempre più accentuate: tutto era buio intorno e ogni tanto, durante le evoluzioni, mi appariva una luna tonda e luminosa; rimanere in ala a Mario era facile e quasi rilassante, non “strappava” mai l’aereo, ma lo manovrava con progressione leggera e quasi delicata.

Quando giunse per lui il momento di cambiare Reparto e le nostre strade aeronautiche si separarono, non ebbi dubbi sulla sua successiva assegnazione: il Gruppo di addestramento su TF-104 a Grosseto.

Così come mi meravigliai ancora di meno che le “Frecce Tricolori” lo avessero poi richiesto tra le loro fila, fino a diventare il leader di quella straordinaria squadra!

Ci incontrammo solo un paio di altre volte e sempre mi colpiva il suo scanzonato sorriso e il suo entusiasmo per il volo.

… Quando mi giunse la drammatica notizia della tragedia di Ramstein, prestavo servizio a Firenze, alla Scuola di Guerra Aerea, e quando lo accolsi all’aeroporto di Peretola, per il suo ultimo volo, mi parve naturale essere lì anch’io, quel giorno, per un saluto al mio compagno di tante missioni, al mio leader sorridente.

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