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di Massimo Massenzio
da corriere.it, 31 maggio 2022 [ fonte ]

«Base qui Ghostrider, chiedo autorizzazione per un volo radente». Era il 1986 e le «spacconate» di Tom Cruise sui caccia F-14 hanno incollato allo schermo un paio di generazioni di adolescenti. Franco Paolo Marocco, 38 anni, maggiore dell’aeronautica militare, nato e cresciuto a Orbassano, quella scena del film «Top Gun» l’ha vista solo qualche anno dopo, ma è rimasto ugualmente stregato ed è riuscito a realizzare il suo sogno di diventare un pilota. Magari non ha mai fatto «la barba alla torre» come Mav e Goose, ma oggi, dopo un lungo percorso di addestramento e selezione, ricopre il ruolo di «Pony 6» nello schieramento delle Frecce Tricolori. Dieci giorni fa ha sorvolato i cieli di Cuneo con la pattuglia acrobatica in occasione del raduno dei bersaglieri, mentre sabato sera è tornato a Orbassano, assieme al maggiore Riccardo Chiapolino, la voce delle Frecce e al maggiore Giuseppe Paradiso, di Collegno, pilota dei C-130 della 46ma brigata aerea di Pisa, per incontrare decine di ragazzi che oggi sperano di riuscire a imitarlo.

Da una settimana al cinema è uscito «Top Gun: Maverick» e tutti i bambini che andranno a vederlo sogneranno di nuovo di pilotare un aereo. Lei come ci è riuscito?
«Tanta volontà e tanta applicazione. Anche io ho visto il primo Top Gun e porterò i miei due figli a vedere il sequel. Ma il punto di partenza sono state le Frecce Tricolori: da piccolo ho assistito a un’esibizione e mi sono innamorato. Dopo il liceo a Orbassano sono entrato all’accademia di Pozzuoli. Poi sono stato assegnato alle basi di Latina e Lecce, poi ho pilotato gli Eurofighter a Grosseto. Nel 2017, dopo 6 anni nel decimo gruppo caccia di Gioia del Colle, sono stato selezionato per le Frecce. E il sogno è diventato realtà».

Cosa vuol dire essere un pilota delle Frecce?
«Ricominciare da zero e fare parte di un gruppo. Per entrare nella pattuglia bisogna avere almeno 800 ore di volo su aerei da caccia, ma gli aspetti caratteriali contano di più. Non siamo “superuomini”, ma piloti disposti a mettersi in gioco e ad affidarsi totalmente ai propri colleghi. Voliamo a una velocità di 650 chilometri all’ora a un metro e mezzo l’uno dall’altro: ognuno deve fare il suo compito alla perfezione e avere la certezza che chi gli sta accanto farà lo stesso».

Lei sta al centro dello schieramento. Qual è il suo ruolo?
«Pony 6 ha un compito di responsabilità, diciamo da “mediano”. Io separo la formazione durante la “figura” e poi la devo ricompattare. I piloti cambiano negli anni, anche se durante una stagione non ci sono sostituti. Per questo è fondamentale il continuo addestramento ed essere sempre al massimo. Se un giorno qualcuno non si sente in grado di pilotare il suo MB-399 Pan non deve assolutamente mettersi ai comandi».

Gli MB-399 compiono 40 anni di servizio. Sarebbe possibile fare le stesse evoluzioni con aerei più moderni?
«Ci sono pattuglie acrobatiche che utilizzano apparecchi molto più aggiornati, ma in formazioni ridotte. Solo le Frecce volano in 10 e nessuno al mondo riesce a fare le nostre manovre. I nostri aerei offrono il giusto compromesso fra prestazioni e maneggevolezza».

Quali sono i suoi obiettivi per il futuro?
«Spero di rimanere ancora un paio di anni in questo gruppo fantastico, dove non ci sono solo i piloti, ma cento persone che lavorano duramente per garantire che lo spettacolo sia possibile. Ho avuto la fortuna di vivere un’esperienza unica e l’obiettivo immediato sono le celebrazioni per il centenario dell’aeronautica militare nel 2023. Poi si vedrà».

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