Ultimo aggiornamento: 27 Maggio 2020

di Jan Slangen, Volare alto, La Nave di Teseo, 2019, pp. 107 – 109

Quante volte abbiamo sentito esclamare frasi del tipo: “Non tutti sono nati per essere capi” oppure “l’uomo è per natura gregario”.

Certo, possedere una buona leadership non è cosa da tutti i giorni. E allo stesso modo, alcune persone sono fin da piccole, più carismatiche di altre. Mi riferisco a quell’attitudine innata a farsi carico dei problemi altrui, infondere sicurezza, ispirare e trasmettere positività. Ma essere un leader non significa soltanto saper comandare. Secondo me, l’arte di “guidare” gli altri consiste in abitudini e capacità che non si ereditano, ma si acquistano con il tempo, con l’esperienza e con la pratica; che il primo passo per diventare “un capo” è quello di diventare un buon gregario; e che non si può nemmeno diventare buoni “gregari” finché non sono state acquisite le qualità fondamentali che occorrono per guidare gli uomini.

Inoltre, bisogna imparare anche ad osservare. Io ho imparato molte cose osservando attentamente. E fra i tanti episodi che mi tornano alla mente, vorrei raccontare quello che accadde durante l’esibizione delle Frecce Tricolori a Tripoli, in Libia, al tempo di Muammar Gheddafi.

In quel periodo, era il settembre del 2009, volavo come gregario (Pony 7) ma avevo appena iniziato l’addestramento da Capo Formazione.

In piena fase di “ottimi rapporti di amicizia” tra Italia e Libia, il “Colonnello” si preparava a celebrare in grande stile i quarant’anni della RivoIuzione Verde, quella che l’aveva portato al potere. Tra parate di carri armati, cammelli ed elefanti, ospite d’onore sarebbe stata la Pattuglia Acrobatica Nazionale italiana.

Dormivamo a bordo di una nave: normale, non certo una lussuosa nave da crociera, abbastanza grande, nella quale ognuno di noi – piloti, tecnici e anche una rappresentanza degli italiani che avevano vissuto in Libia durante il periodo coloniale – aveva la propria cabina. C’erano anche moltissimi giornalisti.

Ricordo che una mattina il Comandante Massimo Tammaro ci raduna e ci dice che il Raìs in persona ha un “capriccio”: per rendere omaggio al suo Paese, vuole che durante la cerimonia le Frecce Tricolori, invece di stendere dietro di sé il tradizionale fumo con i colori della bandiera italiana, lascino una scia verde (la bandiera della Libia, allora, era completamente verde). Tecnicamente era una cosa che poteva essere fatta. Sarebbe bastato che gli aeroplani, che solitamente fumano bianco e rosso, fumassero anche loro verde.

La decisione, dunque, non era tecnica: era politica. Situazione decisamente delicata.

In attesa di riuscire ad avere un contatto chiarificatore con il governo italiano, il Comandante si vide costretto ad assumersi la responsabilità della decisione. “Non ci alzeremo in volo se le Frecce non potranno stendere il fumo verde, bianco e rosso” annunciò Tammaro alle autorità libiche che da giorni continuavano a chiedere uno strappo alla regola.

Il suo rifiuto rischiò di causare un incidente diplomatico.

La prova generale del giorno precedente fu annullata in extremis ufficialmente per motivi di sicurezza. L’esibizione rimase in bilico fino all’ultimo. Ma dopo le sue prime dichiarazioni, sia il miniistro della difesa La Russa sia il premier Berlusconi ribadirono che le Frecce si sarebbero esibite rispettando lo schema riproposto in tutti i Paesi. Nessuna eccezione per Gheddafi, anche se la querelle coinvolgeva capi di Stato e ambasciatori.

Dunque, volammo la manifestazione secondo la tradizione, disegnando nel cielo libico il tricolore italiano. Al termine, Tammaro venne intervistato dai molti giornalisti presenti e, qualche minuto dopo, amici e parenti cominciarono a chiamarci dall’Italia per chiederci cosa fosse successo. Per la decisione di non sottostare alla richiesta di Gheddafi, il nostro Comandante venne presentato dai media come un eroe e il suo gesto di fermezza e dignità fu apprezzato ovunque. “O lasciamo la scia bianca, rossa e verde oppure torniamo in Italia senza esibirci” questo il titolo apparso sui quotidiani nazionali. Un comportamento che fu per me di grande esempio.

Capii quali fossero le qualità che doveva avere un buon Comandante e che il suo ruolo non aveva a che fare unicamente con la gestione degli uomini, ma riguardava anche aspetti delicati che possono incidere su equilibri politici e diplomatici. Tutto questo, riuscendo sempre a mantenere un clima di affiatamento e serenità all’interno della squadra, che deve rimanere immune da certe pressioni e tensioni, per evitare il rischio che possano incidere in modo negativo sulle performance in volo.

Qualche tempo dopo, quando molti coIleghi piloti si trovarono a volare sui cieli della Libia, per motivi belllcl (marzo 2011 – Operazione Odissey Dawn), non potei non pensare a come, in pochissimo tempo, la situazione fosse preclpltata e al fatto che, se non avessi fatto parte delle Free ce Tricolori, sicuramente mi sarei trovato al fianco di quei piloti.

Brano pubblicato con l’autorizzazione dell’autore

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