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da Renato Rocchi, La meravigliosa avventura – La storia del volo acrobatico, vol 3°, 1990, pp. 46 – 49

Arrivava dallo Stato Maggiore l’autorizzazione per la partecipazione al Salone dell’Aeronautica e dello Spazio di Parigi.

Squarcina aveva ben poco tempo per “ritornare” a “9”, con nove piloti contati a disposizione, e dei nove, Anticoli, ancora sotto “shock” per I’incivolo di Forlì.

Non bastasse, gli organizzatori del Salone pretendevano una prova-volo a le Bourget, per poter controllare i tempi e l’esecuzione delle figure inserite nel programma.
Una preoccupazione voluta per “effetto sindrome da Forlì”. O mangia questo osso… ed era troppo importante Parigi per rinunciarvi.

Per martedì 4 giugno era fissato dagli organizzatori francesi la prova sul cielo campo dell’aeroporto parigino. Squarcina si trasferiva da Rivolto – con scalo tecnico a Cameri – a Parigi le Bourget con 12 velivoli. Squarcina più “9” nazionali più due “guide indiane”: il Cap. Cuneo e il Cap. Orlandi della 2a Aerobrigata.

La prova in serata, dopo le 18.20. Le nubi erano a 3.000 piedi e Squarcina approfittava per ridurre il programma a poche figure e renderlo piatto, senza “bomba” e “doppio tonneau”.
Era bastato per avere l’autorizzazione ufficiale a partecipare con quattro altre pattuglie acrobatiche alla giornata conclusiva del Salone, domenica 16 giugno.

In calendario due ”air-shows” nazionali: a Perugia e a Siena, per poi ritornare a Le Bourget.

La contraddizione non aveva fine. Squarcina doveva intervenire a Perugia e a Siena con il programma di “6” per poi andare a Parigi e presentare il programma di “9”, sempre con Anticoli in crisi assicurativa. Un ”tour de force” anche psicologico.

Trasferimento della “troupe” con 12 velivoli e 1 C.119 – quale vettore – a Grosseto, campo-base per i cinque giorni, con due allenamenti al giorno in formazione di “7” e di “9”, dapprima senza ”bomba”, poi con “bomba” ed incrocio.

A Perugia la Pattuglia era presente per I’Aero Club in occasione del 5° Giro Aereo dell’Umbria.
A “Giro” concluso, intervenivano:
• il Col. A. Mantelli con il “Canguro”;
• il Cap. G. Sburlati con il “G.91 “;
• il Com.te E. Mascellani con il “Picchio” F 15;
• e le “Frecce Tricolori” che presentavano il programma “Alto di 6 F.86E”, e, dopo la “bomba”, si aggregavano gli altri 3 velivoli che circuitavano in quota e la “formazione pesante” di “9” effettuava una serie di passaggi.

Anche a Siena – giovedì 13 giugno – Corpus Domini – le “Frecce Tricolori” chiudevano la manifestazione aerea organizzata dal locale Aero Club con il programma completo di “9”, fino all’apertura della “bomba”; si staccavano, quindi, il 2° fanalino ed i 2 laterali; seguiva l’apertura e l’incrocio in “6”, altro ricongiungimento, per effettuare il passaggio alla minima in “9”.

Squarcina ne approfittava dell’attimo per poter preparare anche psicologicamente i piloti nel programma di “9”.
L’esigenza le Bourget lo giustificava. Il caso “Anticoli-assicurazioni” lo assillava sempre più, in quanto non poteva, in quel momento, rinunciare ad Anticoli, un punto di forza nella formazione. “Saltava” il programma di “9”, con Parigi alla prossima.

Poi, per la formazione di “9” aveva a disposizione nove piloti, non una riserva. Doveva già guardarli da un raffreddore.

Era pianificato un “diretto” Grosseto – Le Bourget ma le avverse condizioni meteo consigliavano Squarcina a dirottare su Cameri, in attesa che il tempo in rotta migliorasse. Aveva ventiquattro ore di tempo per raggiungere Parigi o rientrare a Rivolto.

Ma il tempo non migliorava. E c’era ben poca speranza perché una serie di “cumuli nembi” infestavano la Francia e l’Italia.

Nel tardo pomeriggio di sabato, la decisione di far decollare per le Bourget il C.119 con gli specialisti e il materiale.

A Parigi mi portavo con Pappalettera nell’Ufficio dell’Attaché – all”Ambasciata d’Italia – per comunicare ogni ora le condizioni meteo su le Bourget ed allertare la catena radar. perché I’uItimo “delay” per atterrare a le Bourget era improrogabilmente fissato alle ore 08.30 locali di domenica.

In due sezioni di 6 velivoli – assistiti dal radar – le “Frecce Tricolori” atterravano a le Bourget. AIle 08.20 l’ultimo F.86E liberava la pista.

Velivoli e personale – piloti e specialisti – venivano dironati nell’area riservata al Reparto Trasporti de l’Armée de l’Air. Era la giornata conclusiva del Salone e si viveva in una completa babilonia, con una successione di presentazioni continua, assordante, senza respiro, da “kermesse”.

Squarcina era poi intrattabile, astioso, per la mancata assistenza da parte dell’Addetto Aeronautico a Parigi all’equipaggio e agli specialisti della Pattuglia, che erano decollati fin da venerdì mattina da Rivolto per Parigi e che, per motivi di traffico aereo erano stati dirottati a Villacoublay.
Non bastasse: per esigenze operative il C.119 veniva fatto parcheggiare nella piazzola più decentrata dell’aerobase militare francese.

Ora di arrivo: 15.30 locali. Pioveva e tirava un vento freddo. Alle 18.00 il personale era ancora in attesa di un automezzo per il trasporto ai Circoli della Base, malgrado i solleciti via radio del Comandante del velivolo.

Più tardi si portavano sotto il C.119 un “bus” e una ventina di autovetture di grossa cilindrata, al servizio dell’Ambasciata d’Italia e, alla richiesta del Capo equipaggio – Ten. Enrico Gandolfi – il responsabile della “colonna” si diceva spiacente, ma quei “mezzi” erano riservati agli Ufficiali dello Stato Maggiore Difesa in arrivo da Roma, per portarli di gran corsa al “party” dato daIl’Air Attaché italiano a Parigi.
Gandolfi ebbe il favore di un passaggio ad una cabina telefonica, da dove contattò personalmente I’Attaché, già alle prese con i suoi ospiti, spiegando situazione e necessità.
La rispnsta fredda e staccata: “Arrangiatevi! Non h0 tempo!”.

Il “no comment” è già impietoso.

Soltanto la comprensione del Comando dell’aerobase francese permise a quei poveri “profughi” di raggiungere un albergo prenotato già da un mese. Erano le 2 di notte.
Dopo tre ore, tutti in piedi, per raggiungere Villacoublay in taxi.
Alle 08.00 locali il C.119 atterrava a le Bourget.

Parigi Le Bourget: il manifesto del Salone – La formazione a “freccia” – Il “doppio tonneau” – Schneider di 9 velivoli in formazione di “diamante”

In quel “pomeriggio di fuoco” erano in programma ben 6 “teams” acrobatici. che venivano inseriti in alternato a presentazioni di prototipi civiIi e militari.

È proprio la presentazione più attesa per un’era nuova nel “pianeta volo”: il decollo verticale, si concludeva con I’insuccesso per I’industria aeronautica inglese della presentazione del prototipo “Hawker” 1127, che, al termine del “display”, a sessanta piedi – fermo sulla verticale – precipitava davanti alle tribune dei VIP, sfasciandosi.
La Général Aéronautique Marcel Dassault, quel giorno, trionfò con il suo prototipo a decollo verticale: il “Balzac”.

Succedeva ieri!

Oggi, con il senno di poi: gli inglesi hanno messo in linea quel gioiello di velivolo a decollo verticale che è l”‘Harrier”, i francesi… “rien”!

A chiudere il Salone l’onore e l’onere alle “Frecce Tricolori”, davanti a 500.000 spettatori. E spettatori di tutto rispetto.

Come mai tanta compiacenza dai cugini francesi? È stato il pensiero espresso dal Gen. Aldo Remondino al suo fraterno amico Capo di Stato Maggiore de l’Armée de l ‘Air, e… detto, fatto.

Le pattuglie acrobatiche presenti:
• la “Patrouille de France” – Francia – con 6 Mystère IV A
• i “Red Pélicans” – Gran Bretagna – con 6 Jet Provost
• la “Hellenic Aerobatic Team” – Grecia – con 6 F.86D
• la “Haglind Aerobatic Team” – Svezia – con 4 SAAB 105
• i “Thunderbirds” – U.S.A. – con 6 F.100 C

Soltanto alle 18.00, come d’incanto, una schiarita sul campo.

Finalmente la mano di Dio.

Alle 18.30 il decollo. II pubblico, che stava sfollando, richiamato dal rumore – ma di rumore chi non era ubriaco a le Bourgel’? – più ancora attratto da quella formazione compalla di 9 velivoli a “rombo”, ritornava alle transenne per non perdersi Io spettacolo.
E spettacolo fu!
II “doppio tonneau”, il ”cardioide” e la “bomba” con l’incrocio dei “9” velivoli – le figure che entusiasmarono il pubblico e impressionarono i tecnici.
In finale di programma, il passaggio “alla minima” con i fumogeni bianco – rosso – verde; una strisciata tricolore che inondava le Bourget. Poi, accostata a sinistra, e l’atterraggio in 2 sezioni: la prima di “5”, la seconda di “4”.

Sulla pista ristagnava ancora il fumogeno bianco e colorato… toccava “terra” il “cuneo” di 5, quando Squarcina, che a bordo di un SABRE si era posizionato a trequarti pista – su un raccordo – da dove, via radio, aveva guidato, consigliato, corretto la formazione – vedendo tra la nebbia avanzare a velocità sostenuta, da un raccordo della parte opposta della pista, u ‘autobotte – tirò un grido strozzato, disperato, rivolto ai piloti del secondo “cuneo” di 4, sicuro dell’inevitabile impatto.

Un grido che gelò tutti, i piloti e gli operatori della torre di controllo.
Nessun pericolo corso, in quanto l’autobotte attraversava la pista soltanto su autorizzazione del “ground control”.

Più che comprensibile lo stato d’animo di Squarcina, giustificato e complimentato con i piloti dal Gen. Aldo Remondino, commosso, con gli occhi lucidi per quella prestazione di prestigio, per quella reputazione di rispetto acquisita, che onorava l’Italia e l’Aeronautica Militare.

La disposizione dei piloti nella formazione:

Cumin
Giardini – Linguini
Ferrazzutti – Anticoli
Turra
Goldoni – Barbini
Liverani

Programma presentato:

Programma “Alto di 9 F.86E”
– decollo di 5+4
– riunione a rombo
– 1/2 schneider a rombo
– trasformazionc a triplo cuneo
– looping da triplo cuneo a triangolo di cunei
– looping da triangolo di cunei a triplo cuneo e a rombo
– virata a destra e trasformazione a freccia
– tonneau a sinistra – trasformazione da freccia a rombo
– accostata destra-sinistra e trasformazione a dardo – trapezio linea di fronte
– doppio tonneau – looping con trasformazione a rombo
– accostata sinistra-destra e cardioide
– riunione a rombo
– tonneau a rombo girato a destra
– looping frontale da rombo a triangolo rovescio
– uscita a sinistra con trasformazione a rombo
– looping da rombo ad aquilone e uscita a rombo
– looping da rombo a piramide
– bomba – riunione a rombo
– 1/2 schneider con aerofreni
– passaggio con carrello – aerofreni e flaps fuori
– passaggio con carrello fuori a rombo di 9 velivoli
– atterraggio in formazione di 5+4

Lunedì di libertà a Parigi per bruciare la tensione. Mi sono recato di persona nell’ufficio del nostro Air Attaché per ringraziare la Signorina Carmen Tassoni per il suo interessamento, per quanto aveva fatto per noi, per il tormento di quella vigilia divisa con noi tutti. Guai non ci fosse stata lei, amica nostra! Sacrosanta la Verità.

Da Parigi ad Aviano per il tradizionale “Open House”.
Un trasferimento di prototipi militari del mondo aeronautico occidentale da le Bourget alla Base U.S.A.F. in Italia.

La “bomba”: un fiore che si dischiude – Il passaggio alla minima con le fumate tricolori – Il grazie commosso del Gen. Aldo Remondino – Uno dei velivoli (foto da aflyinghistory.com)

da Renato Rocchi, La meravigliosa avventura – La storia del volo acrobatico, vol 3°, 1990, pp. 68 – 69

Il programma, sia di “6” che di “9 G.91” faceva ormai routine. Rimanevano, invece, le preoccupazioni nei trasferimenti, soprattutto all’estero, dovute non all’inesperienza dei piloti, ma alla mancanza di una adeguata apparecchiatura di bordo per il volo strumentale (IFR – Instrument Flight Rules, ndr).

Riviviamo con Vittorio Cumin un volo di trasferimento – prendendo a campione la tratta: Rivolto-Cameri-Parigi le Bourget con la prima sezione di “6 G.91”.

«… si parla di venticinque anni fa e si era ai primordi per quanto riguarda la navigazione… Allora andare a Parigi era un problema di navigazione, legato anche, come in qualsiasi altro aeroporto all’estero, all’autonomia del velivolo. Parigi le Bourget, è vero, può considerarsi la “prova del fuoco”, in quanto aeroporto civile, aeroporto super-trafficato, e noi non eravamo troppo preparati per quanto riguarda la lingua, le procedure in inglese… era, insomma, un problema in più.

Come si preparava il trasferimento? Tracciavi, preparavi la navigazione con quanto ti passava la “casa”… non avevi a disposizione il Jeppesen, dove bastava leggere la carta… il volo è già preparato… bisognava, invece, prendere la solita carta al milione e su quella si tracciava la rotta, evitando le aerovie. prendendo i punti di riporto sui radiofari in rotta…

Chi preparava la navigazione’? Come al solilo io e Anticoli… Chiedevo la collaborazione di Anticoli perché lo conoscevo bene, perché avevo già volato e navigato con lui ai tempi della 6a… poi lo sapevo un pilota preparato, aveva tutta la mia fiducia…

Quindi. tracciata la rotta, si faceva il piano di volo, inserendo il numero della “dipo-clearance” rilasciata dallo Stato Maggiore Aeronautica (I’autorizzazione a sorvolare un territorio straniero ed atterrare in quell’aeroporto) e la rotta… Si decollava, di solito, in due sezioni di 6+6… Allora non c’erano tanti controlli, in quanto la copertura radar non era totale… poi il nostro “trasponder” era alquanto antiquato: avevamo 2 soli codici, più il codice di emergenza… oggi con il trasponder hai a disposizione un centinaio di canali… Perciò si navigava in IFR, però la navigazione era seguita a vista … e se il tempo era buono guardavamo an-che fuori, trascurando il radiofaro … con la carta al milione sulle ginocchia… e da trentamila piedi, a contatto visivo con il terreno, tagliavi anche i riporti… Oggi? Oggi quando si naviga in IFR il pilota mette il “testone” dentro e, fuori, può anche tempestare… ci si guarda soltanto dai CB (cumuli nembi)…

Quando si naviga “on top” – sopra una copertura totale – il problema era la sintonizzazione dei radiofari, in quanto le nostre apparecchiature di bordo non erano l’ultimo grido della moda… avevamo l’ADF (Automatic Direction Finder, ndr) e dovevi cercare la frequenza con la solita maledetta manovella con l’NDB variabile, e il più delle volte era difficile sintonizzare tra il casco… il paracadute… la maschera… l’apparato poi era sistemato sulla destra, un po’ indietro… la lampadina a volte non funzionava… o il vetrino era sporco… e la frequenza bisognava sempre cercarla a tentoni… dopodiché dovevi cercare di captare il nominativo in “morse”… poi le frequenze erano sempre disturbate, e perdevi il segnale, ti rimaneva il dubbio… allora chiedevi conferma agli altri… “senti il nominativo?… il tuo cosa segna?… il mio gracchia… mi da 20° a destra… quando il mio dava 10° a sinistra”… insomma era sempre un problema … e, magari con una navigazione di gruppo, ma siamo sempre arrivati a destinazione…

Si volava in due sezioni di “6”, e nel “team” trovavi sempre tre ADF che andavano bene… così avevi l’assistenza e la collaborazione del gruppo… poi. essendo capoformazione della prima sezione. passavo tutte le informazioni a Di Lollo, capoformazione della seconda sezione, sul tempo, sulla visibilità, sulle radioassistenze…

Naturalmente si cercava di arrivare sempre con il tempo buono… Sono rimaste famose e segnate le nostre soste, a volte prolungate, prima con I’F86E poi con il G.91 a Torino-Caselle – quale scalo tecnico – nell’attesa del “salto” delle Alpi.

Altro problema il carburante, ovvero l’autonomia. li più delle volte si tagliava, non si rispettavano i riporti perché altrimenti non ce la facevi ad arrivare a destinazione… lo so, era poco professionale, ma non c’era altra soluzione… per andare a Parigi, ad esempio, il controllo ci faceva riportare su Lione… ciò voleva dire allungare, e tanto, la tratta… allora si riportava “abeam” (a traverso) Passerì e Lione… quando attraversavi a circa 100 miglia a Nord di Passerì e di Lione in rotta diretta per Parigi… poi venivi preso dal controllo radar francese, veramente efficiente, che ti portava per mano – dandoti prua e quota fino alle vicinanze di Parigi… e passavi quindi sotto il GCA (Ground Contro! Approach) che ti portava a terra…

Mai avute grosse difficoltà… almeno in Francia e in Inghilterra. In Germania, invece, dal ’66 i tedeschi eliminavano i radiofari e installavano il TACAN… allora diveniva più difficile navigare. Ma una buona rete radar, in verità non mancava.

Certo che nell’andare avevi i tuoi problemi… per ritornare tutto era più facile… Proprio in un rientro da Parigi, il controllo mi dava da riportare Lyon… e noi per arrivare in Italia dovevamo tagliare a Nord, con prua su Ginevra… quando il controllo mi chiese la posizione – era una voce dolcemente femminile… – davo con disinvoltura l”‘abeam” Lyon!; allorché mi redarguì: “Sì, a cento miglia a Nord!… Ci risentiremo!…” Ma quella voce gentile non l’ho mai più sentita. Con tutta probabilità aveva compreso il nostro problema.»

Foto di Robin Walker

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