Ultimo aggiornamento: 15 Maggio 2019
da “Volare” – settembre 2010 (?)
Sono entrato in Pattuglia in seguito a una malinconica telefonata di condoglianze fatta a “ Pino” Bernardis, dopo l’incidente di Piergianni Petri in Inghilterra.
Nell’intercalare della comunicazione, la mia disponibilità a rendermi utile in qualche modo è stata interpretata, forse, come una specie di candidatura.
Sto volando, contemporaneamente, sul 104G e sull’S a Decimomannu. Sgancio armamento reale sul poligono di Capo Teulada, per poter essere impiegato come istruttore di tiro e tattiche sul Tornado, velivolo sul quale sono iniziate le transizioni dei primi piloti del Gruppo a Cottesmore, in Inghilterra. Non sono entusiasta, so che le ore di volo disponibili non sono molte e all’inizio c’e sempre molto da fare, a terra.
Qualche giorno dopo, ricevo una telefonata del comandante di Stormo, che mi prende a male parole per non averlo informato sulle mie decisioni. Ha tra le mani il telegramma del mio trasferimento dal 154° al 313°, il Gruppo delle Frecce. La Pattuglia vola in 7 più il solista, per ragioni anche politiche: la cnsi dei piloti, che fuggono verso l’Alitalia.
La mia ripresa sul G 91 consiste in un volo con Toni Gallus (il capoformazione) sul T in dotazione: uno per me e uno per Gabriele De Podestà, assegnato al 313° lo stesso giorno. Viene dal 28° di Villafranca.
Un’oretta di ginnastica senza particolari manovre. Stalli, affondate fino al Mach critico, a rivedere quelle caratteristiche di manovrabilità che rendono il biposto più scorbutico del monoposto in un campo di velocità caratteristico in cui, sotto g, il velivolo esibisce un comportamento particolare, associato a un innesco di buffeting anche violento, che scompare al di sopra e al disotto di quei valori.
L’impiego dell’aerofreno produce um momento picchiante notevole soprattutto ad alta velocità, sconosciuto sul 104. Dopo il volo, riceviamo una copia del manuale del monoposto, su cui passiamo la serata, seduti a un tavolo del ristorante da Aldo, a Gradiscutta, interrogandoci a vicenda e cercando di memorizzarne i pochi valori essenziali e le caratteristiche principali degli impianti.
Il giorno successivo, passaggio sul monoposto, con ” Massimino” Montanari in ala come chase. L’abitacolo del ’91 è decisamente più confortevole di quello del ‘104 col Martin Baker, e risente di una progettazione di ”scuola inglese”, con una disposizione degli strumenti non particolarmente pulita, ma allo stato dell’arte del periodo. L’Adf è lo strumento di navigazione originario, rinforzato dal Tacan anni dopo. L’orizzonte era il vecchio J8, ancora senza riferimenti cromatici per indicare cielo e terra.
Le procedure sono cosi semplici da richiedere non più di un colpo d’occhio e portano alla messa in moto con una delle due cartucce che, letteralmente, sparano il motore al minimo dei giri: ma in agguato c’è spesso una cilecca, che costringe lo specialista a correre e a sostituirle. La puzza di cordite e il sibilo stridente sono l’antifona al più bel giocare del mondo.
Dopo il decollo e una salita sul cielo del campo a una quota che giudico adeguata, un paio di stalli e due sfogate, mi sento rivolgere, per radio, una domanda: “sei destro o sinistro?”. Rispondo con una certa suffìcienza che per me è lo stesso.Massimino mi sfila davanti sulla mia destra e mettendosi, lui, in posizione di leader, mi controlla la posizione, ricordandomi quei famosi esoterici parametri di allineamento, di cui avevo sentito parlare al circolo ufficiali dagli altri piloti.
Da quel momento e per centinaia di ore di volo a venire, né io da 7 né De Podestà (il “Rosso”) dall’altra parte, come 8, abbiamo visto altro che quel bollino sulla fusoliera. Non ho più proferito parola in volo, se non rispondendo in sequenza, pronunciando solo il mio numero, a ogni ordine del capo formazione. Mai piu, per anni di allenamento e di manifestazione.
I voli di allenamento durano una quarantina di minuti, anche meno, sempre sotto g, normalmente fino a 5, frequentemente 6, e quando c’è qualche traiettoria da correggere anche tutto il consentito. Due voli al giomo, tutti i giorni, raramente tre.Ogni settimana qualcuno si aggiunge, fino a 9 tutti assieme. Ognuno col “suo” aeroplano, il ”suo” numero, il suo nome sul casco e sulla fusoliera.
Non ho che una vaga idea della quota a cui voliamo né delle velocità, la nostra maledizione è quel bollino con i suoi allineamenti. Il mondo ci ruota attorno al tettuccio, come proiettato. L’importante è la posizione, mantenuta sempre e comunque, a qualunque costo e a prescindere dal sudore che letteralmente gronda sotto il casco e impregna sottotuta e tuta fino a bagnare l’anti-g. Anche d’inverno.
Il metronomo della voce di Toni Gallus è l’unica dimensione reale, quella che definisce la nostra posizione nello spazio. È sempre compassata e contemporaneamente divertita e divertente, dà l’impressione di essere lui che, da solo, fa volare i nove aeroplani mantenendoli in un rombo perfetto, mentre il nostro compito pare essere sempre e solo quello di agitare freneticamente la mano destra sulla barra e la sinistra sulla manetta. Gli aerei dei gregari più giovani oscillano in continuazione nel tentativo di mantenere la posizione.
Sappiamo della manovra che sta per sviluppare dalla sua voce, che ci anticipa la traiettoria la tirata o la rotazione, modificando col tono i parametri per accelerare una o diminuire l’altra.
Venti minuti di ferro in bocca, sempre sullo stesso binario, mai uguale a quello del volo precedente, frustati in continuazione da una biga indiscutibile per la precisione delle osservazioni. Non si ripete niente, quasi mai. Il volo inizia e finisce: se in maniera più o meno soddisfacente lo sentiamo dalla biga e lo vediamo poi a terra. Se è particolarmente insoddisfacente, si risale a cavallo per un altro giro, dopo un’oretta per smaltire la stanchezza, in formazione ridotta per facilitare le correzioni. I risultati emergono piano piano, i movimenti delle mani diventano sempre meno inconsulti, si riducono in ampiezza e frequenza ottenendo lo stesso effetto di mantenere la posizione, con maggior precisione.
Non esiste la telecamera: arriverà da Roma, proprio in quei giorni. Ogni fase del volo viene bloccata da due fotografi che, con un’esperienza maturata in migliaia di voli, dalla biga, evidenziano con spietata istantaneità l’errore di posizione, o di correzione di prospettiva, molto più efficacemente di qualsiasi ripresa cinematografica in movimento.
In meno di venti minuti la “ fisarmonica”delle foto del volo, rigorosamente in bianco e nero, viene portata nello scantinato del bar del circolo ufficiali, per il debriefing. Non ci sono scuse per gli errori. Non c’e da inventare niente, è sufficiente sudare. Sai di essere sempre, per definizione, con gli occhi addosso. Di tutti: gregari, biga, spettatori. E degli specialisti a terra, che verificano la bontà del loro lavoro e ti pesano col bilancino del farmacista come pilota, di più come uomo.
È la primavera dell ’81, al briefing del mattino, quando Salvi si alza e guardando negli occhi Gallus e tutti noi, presenta i ruoli per i quali ognuno di noi si allenerà nella stagione successiva: Fabio passa da 2 a 6, il ”Rosso” a 9 e io solista, sono la guida di Pierino Purpura. La stretta di mano di tutti che sancisce questa decisione, mi trova stupito e commosso.
Il giorno successivo, sono in programma con Pierino per un volo sul T in dotazione al Reparto. Mi mette dietro e mi mostra il programma: il suo programma! Vola all’altezza delle cime degli alberi, poi si tuffa verso il basso e mi suggerisce la sequenza delle figure iniziando con un volo rovescio, mentre mi spiega i punti di riferimento, o il settaggio del motore, piuttosto che dove guardare da rovescio, per sapere dove ritroverò la formazione all’uscita.
Sono affascinato e impressionato da questa tranquillità e naturalezza, senza realizzare che sto vivendo la parte più bella: sto imparando quello che avrei voluto sapere da sempre, rubandogliene l’essenza.
Al caffè dopo il volo, mi suggerisce di disegnarmi una sequenza di manovre da inserire negli spazi in cui la formazione si allontana dal primo piano del pubblico; lui sarà in biga, per ogni volo.
E cominciamo subito: ogni giorno un volo da solo, ripetendo ogni manovra in sequenza, e un volo insieme con la formazione per “prendere i tempi”. Se Toni Gallus fa volare 9 aerei stando davanti a tutti, Pierino è in grado di far mantenere loro simmetria e sincronia a 10, da terra, solo con la radio.
È implacabilmente preciso e puntuale nell’anticipare le posizioni di ogni gregario facendoli sollevare o abbassare sul piano di linee immaginarie, suggerendo ogni secondo la correzione da impostare sul mantenimento delle posizioni relative, intuendo la difficoltà di ognuno nell’interpretare le traiettorie e le figure in funzione di quello che si vede da terra. Suggerendo il tempismo delle entrate del solista, ne smussa le spigolosità.
Mi assegnano un ”R”, preferirei un “PAN” solo per un fatto estetico, ma l’unico disponibile e il 12, cosi leggero, rispetto agli altri, con i suoi rumori strani la cui origine nessuno si spiega. E il destino è destino. Quando ruota oltre i 350 nodi, a tutta barra, la presa d’aria miagola e nel tonneau in quattro tempi, sembra modulare un ghigno feroce. Da terra si sente più che dal cockpit, come quando nelle richiamate “straccia” l’aria. Forse voliamo troppo bassi.
Agli allenamenti sono presenti alcuni decani della Pattuglia, in biga e dopo il volo, al Circolo Ufficiali. Gli aneddoti di Roberto Di Lollo di Vittorio Cumin e di Danilo Franzoi costituiscono una preziosa fonte di ispirazione e di divertimento.
Ogni solista introduce una piccola modifica al programma di volo o alla sequenza di manovre, giusto per distinguersi, e la tentazione è tanta anche per me. Ma dopo vent’anni, dopo Franzoi, Ferrazzutti, Boscolo, lo stesso Pierino Purpura, che cosa c’è da inventare?
Danilo mi fa una confidenza. Ne approfitto e, sfruttando un volo di verifica funzionale, provo.
È vero: a una certa velocità, senza particolare difficoltà, il 91 vola a coltello e, se la pista non è lunghissima, il carburante è sufficiente a alimentare il motore.
Sarà l’unica variazione al programma degli anni precedenti nella stagione dell’81, che scivola meravigliosamente: a Metz minacciano di mettermi a terra per essere passato troppo basso in prova.
Ad Aalborg incontriamo per la prima volta l’ F 16 e i Red Arrows…
Il tempo è incredibile: piove leggero, la visibilità è buona, ma le nuvole spesse come cotone, si appoggiano sulla coda del C 130. L’aeroporto è pieno all’inverosimile di gente delusa. Non si vola sicuramente. I Red mettono in moto. Noi siamo subito dopo di loro. Toni guarda Salvi, guarda tutti negli occhi e guarda me: se volano loro, voliamo anche noi! Programma basso, bassissimo, anzi, nessuna separazione, mi stacco solo io e riempio con quello che posso, tra un passaggio e l’altro della formazione.
I Red sono in pista e in tre sezioni decollano. Noi rulliamo al punto attesa, sono tesissimo ma felice. Peccato che gl’inglesi dopo il decollo, non riescono o non vogliono ricongiungere. Rinunciano e vanno all’aeroporto alterato. Non c’è sfida. Noi non ci tiriamo indietro, decolliamo quasi tutti assieme per non perderci. Dodici minuti in cui metà dei velivoli della formazione era dentro le nuvole, l’altra meta con le ali per terra. Mi stacco e manovro per non entrare mai in nube. Mantenendoli sempre in vista, riesco a completare le figure del programma basso.
La sfida comunque è rimandata all’Air Tattoo. Tempo inglese: visibilità incredibile, cumulotti sparsi, che si addensano solo durante la nostra slot. Volo incredibile, perfetto sotto tutti i punti di vista, fino all’apertura della bomba, quando la nuvoletta si sposta al centro pista, esattamente dove deve aprire la formazione.
Sono in anticipo, il piramidone dei 7 mi scompare alla vista quando si infila sopra le nuvole e io sono già in dirittura per l’inserimento. So dov’è ma non lo vedo. Non posso rischiare senza vederli: riduco ad idle, non gli dico niente, anticipo i fumi per farmi vedere. È ora di richiamare, aspetto un centesimo di secondo e tiro in verticale, “grattando” per i g, contro la nuvola. So che sono lì sopra, anzi lì dentro. Sento il “…pronti per l’apertura,… Via!” e mi si aprono davanti sbucando da quel bastardo di cumulo. Incredibile tempismo. E buona dose di fortuna!
Toni è sicuro che stasera vinciamo il trofeo per la migliore esibizione. Mi prende e mi porta vicino al palco, assolutamente convinto. Non è cosi: quest’anno il trofeo va alla pattuglia fino a 5 velivoli, vincono gli Svizzeri, anche perché c’e un contrattino che balla per gli Hawkn… “bisnes-is-bisnes”: e per gl’inglesi le sterline contano!
È una delle peggiori delusioni della sua vita,
2 settembre, volo d’allenamento giornaliero: Toni vola col 12, chissà perché? Sono appena in ritardo per il passaggio dopo l’incrocio dell’Arizona, in affondata verso il centro pista. Le due sezioni si incrociano e per terra vedo una strisciata di fuoco, come un fiammifero di legno che sfrega contro la scatola per accendersi. Il “12” ha fatto la sua vittima: Toni Gallus.
Con questo, il 91 esaurisce la sua corsa di vent’anni su Rivolto e in Pattuglia. È tempo per nuovi protagonisti. L’Aermacchi 339 è pronto, l’ingegner Bazzocchi compra la vernice blu sufficiente per 15 aeroplani…