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Frobisher Bay, 13 luglio 1986

da Carlo Baron, Con le Frecce sempre in testa, Udine, 2013, p. 28 e segg.

Partiti di buon mattino da Sondrestrom, dove siamo stati ospitati in una base USAF ricavata tra i fiordi della Groenlandia, siamo appena arrivati a Frobisher Bay, una caotica e sperduta cittadina situata nell’isola di Baffin, isola canadese con popolazione a maggioranza eschimese o inuit comme preferisce essere definita.

Domani, arrivando a Goose Bay nel Labrador, completeremo il “salto del fosso” per iniziare a vivere il nostro sogno americano che auspichiamo possa rivelarsi ricco di successi e di soddistazioni. Sarà in ogni modo un’avventura che avrà sempre e comunque un posto privilegiato nel bagaglio dei ricordi di chi avrà avuto la fortuna di eserne stato protagonista.

A bordo del primo dei due C130 di supporto io e la parte del personale tecnico di cui sono responsabile siamo atterrati con un anticipo di un paio d’ore rispetto alla formazione. Come previsto dalla strategia della missione dobbiamo curare la predisposizione dei parcheggi, la scelta di un’area idonea per eventuali interventi manutentivi e reperire i mezzi per il rifornimento di carburante ed ossigeno. lgnazio Vania ed il rimanente personale provvederanno a far decollare i velivoli dalla base dell’ultimo rischieramento per poi raggiungerci con il secondo C130.

Facciamo subito conoscenza con la persona designata dalla direzione dell’aeroporto a soddistare le nostre esigenze sollecitando l’arrivo dell’autobotte con il carburante necessario per i velivoli che di li a poco arriveranno. Questi, un piccoletto dalla faccia simpatica e con gli occhi che sembrano due fessure, sentendo quella richiesta ci guarda sorpreso neanche fossimo degli extraterrestri giunti clandestinamente sulla terra aggrappati all’Apollo 11 di rientro dalla Luna. Pensando di non esserci espressi correttamente utilizziamo il linguaggio nel quale noi italiani non abbiamo concorrenti, quello delle mani. Simulando con le braccia lo sbattere delle ali e mostrandogli il pugno chiuso con il pollice esteso rivolto verso la bocca, una specie di OK americano ruotato di 90° gradi, tentiamo di comunicare che qualcosa che vola ha bisogno di bere. Lui annuisce e indicandoci una colonnina di rifornimento, del tutto simile a quelle delle nostre stazioni di servizio, ci fa capire che se vogliamo riempire i serbatoi dei dodici velivoli dovremo utiizzare la pistola erogatrice collegata alla stessa. Sulla base non esiste ombra di un’autorifornitore!

Ci guardiamo smarriti, indecisi a chi indirizzare le nostre imprecazioni e in questa “trance da disperazione” c’è chi la butta sul ridere immaginando il pilota che si ferma alla colonnina, chiede 1000 ibbre di JP8, una controllata alle gomme e una pulitina al tettuccio per poi entrare al bar a farsi una birretta con un “rustico” o un “camogli”.

Passato lo sgomento, decidiamo che per porre rimedio a quell’assurda e penalizzante situazione dovremo fermare i primi tre velivoli affiancati accanto alla colonnina. Gli altri, sempre a gruppi di tre si posizioneranno scalati “in coda”. In termini calcistici uno schema ” tre, tre, tre, tre”.

Nell’ attesa del loro arrivo, andiamo a verificare lo stato di pulizia di quell’area di sosta provvisoria allo scopo di eliminare l’eventuale presenza di pietrisco o piccole parti metalliche che potrebbero danneggiare le palette del compressore. Se un tal evento dovesse verificarsi in un posto come questo saremmo veramente nei guai!

Si dà il caso che qui operino aerei che sia per le dimensioni sia per il tipo di propulsione, non soffrano quanto i nostri per questi problemi e pertanto ci sorge il dubbio che per il personale del posto la cura nella pulizia della pavimentazione di parcheggi e vie di rullaggio non sia una delle principali priorità nello svolgimento delle attività quotidiane.

Scopriamo subito di essere stati tacili profeti perché la zona dove dobbiamo far ar rivare i velivoli è, infatti, disseminata di sassi e pietrisco. Chiediamo al nostro “amico” l’intervento di una spazzatrice ma dal modo in cui ci guarda ci rendiamo subito conto dhe tale parola si trova probabilmente nella pagina mancante del suo vocabolario.

Non insistiamo, non abbiamo molto tempo a disposizione ed allora, con in testa il Generale Pillinini nostro capo delegazione, diamo sfogo al nostro istinto calcistico più o meno sviluppato e puliamo alla meno peggio l’area calciando più sassi e pietre possibile nel prato a lato “rifinendo il lavoro” con l’uso di alcune ramazze reperite in un hangar.

Le Frecce atterrano. i ploti vengono informati via radio sulle modalità dell’inconsueto tipo di parcheggio che dovranno effettuare e caldamente invitati a mantenere una notevole distanza tra i velivoli durante il rullaggio onde evitare che la sporcizia, sicuramente presente sulla pista, venga aspirata dalle prese d’aria.

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Eccoli al parcheggio. Ora tocca a noi. Cominciamo il nostro lavoro che per ogni aereo prevede il rifornimento alla colonnina, il traino in linea di volo e quindi le previste operazioni di controllo post volo. Tutto procede per il meglio fino a quando… “CRACK!!”. La barra di traino si spezza e noi non ne abbiamo una di riserva!

Ironia della sorte qui di attrezzature di questo tipo ne hanno a iosa ma nessuna è compatibile con le nostre esigenze. Come spostare allora gli otto velivoli che, ancora fermi nella improvvisata stazione di servizio, attendono di essere spostati accanto a quelli già parcheggiati a quasi duecento metri di distanza?

Non ci mettiamo molto a trovare la soluzione migliore del problema forse anche perché… è l’unica possibile. Una strap, una di quelle robuste cinghie che assicurano il materiale alle pallets del C130 verrà agganciata da una parte al carrello anteriore del MB339 e dall’altra al trattore che Soravito, promosso da segretario ad autista, condurrà.

ll traino dovrà avvenire avendo cura di mantenere quella cinghia sempre in tensione. Il suo allentamento favorirebbe, di fatto, un pericoloso avvicinamento tra i due mezzi. Se ciò dovesse succedere però, io, sistemato di spalle all’autista e rivolto verso il velivolo, dovrò puntare immediatamente i piedi sul muso dello stesso per cercare di allontanarlo con una graduale distensione delle gambe. Un’ulteriore sicurezza sarà fornita da due specialisti che, camminando a lato del carrello, interverranno al bisogno piazzando due grossi tacchi di legno davanti alla ruote per bloccarne la rotazione.

La soluzione adottata ha successo e quell’improvvisato “trasloco” avvierne senza ulteriori intoppi.

È l’inventiva, lo spirito d’adattamento, la concretezza ma soprattutto quella gran voglia di America che tutti abbiamo che ci spinge a cercare di risolvere emergenze impreviste prendendo decisioni originai anche se un po’ azzardate. Sono soluzioni che, certamente e a buona ragione, non troveranno spazio nella rubrica “Ben fatto” della pubblicazione mensile della Sicurezza Volo ma questo, almeno per ora, è l’ultimo dei nostri problemi. D’altronde che il fine giustifichi i mezzi era anche il pensiero di Macchiavelli non di un cucù qualsiasi che oltretutto, quando pensava a ciò, non doveva districarsi come noi in una base dove c’è tutto quello che non ci serve.

La cappotta impermeabile di protezione viene distesa sull’ultimo velivolo. Una lunghissima giornata di lavoro iniziata all’alba in Groenlandia volge al termine. Comincia a fare buio ed un silenzio quasi irreale viene rotto dal gracchiare di grossi uccelli e dalle sollecitazioni di Silvano Cargnelutti agli specialisti a spicciarsi, o meglio “a muovere il sedere”.

Le loro colorite risposte all’invito del mitico capo hangar non tardano ad arrivare mentre stanchi, ma felici, si radunano per avviarsi verso l’albergo dove ceneranno per poi buttarsi sul letto solamente per poche ore. L’inizio lavori per adomani mattina, infatti, è program- mato per la mattina presto.

lgnazio ed io attendiamo quell’allegra comitiva per tare la strada assieme. Mentre si avvicina, istintivamente ci guardiamo e sorridiamo soddisfatti. Talvolta io e lui possiamo avere idee diverse ma, sul piacere e l’orgoglio che proviamonel lavorare con questa Gente, non abbiamo mai avuto la benché minima divergenza.

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