(Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio 2020)

di Paolo Ricci Bitti
da Il Messaggero, 6 agosto 1993 [ fonte ]

MIRAMARE (Rimini, 5 agosto 1993)

Appena l’aereo si inclina sull’ala destra, una gigantesca mano ti schiaccia sempre di più sul seggiolino: la lancetta tocca i 5 G e sono 400 i chilogrammi che premono su tutto il corpo mentre cerchi con ogni forza di stringere i muscoli delle braccia, delle gambe e dell’addome per impedire al sangue di affluire troppo rapidamente ai piedi. Sono in volo con Pony Zero, l’Aermacchi Mb 339 pilotato dal tenente colonnello Gianluigi Zanovello, 37 anni, ligure. E’ lui il comandante delle Frecce tricolori che ieri hanno disegnato ologrammi verde-bianco-rosso sul cielo di Rimini tenendo con il naso all’insù un pubblico record di 500mila persone.

«Tutto bene?» chiede dopo ogni manovra Zanovello. «Tutto bene» rispondo nella maschera che pompa ossigeno. «E allora via con un looping (il giro della morte)».

Il jet blu comincia a puntare il muso verso il cielo, sfila sotto di noi la linea dell’orizzonte insieme al mare: c’è sempre quella “mano” che ti preme verso il seggiolino (ogni G, accelerazione di Gravità, positivo è pari al peso corporeo). Sono a testa in giù, poi il velivolo ruota sull’asse: i piedi provano a staccarsi dalla pedaliera, i G diventano negativi e per un secondo si “galleggia” sfuggendo alla forza di Gravità. Non peso più nulla mentre il sangue corre dai piedi alla testa.

Riappaiono alla rovescia, e poi si raddrizzano piano piano, la rupe scura di San Marino, l’azzurro dell’Adriatico e la macchia bianca del Grand Hotel.

«Tutto bene?». «Sì, tutto bene». Benedetto chi mi aveva detto di tenere lo stomaco vuoto. Allora via con un tonneau a sinistra in formazione con l’Mb 339 del capitano Maurizio Rinaldis, 28 anni, romano, che vola ad appena due metri di distanza, un soffio più in alto: lo vedi bene mentre ti strizza l’occhio. Ancora una capriola: la tuta anti G sulle cosce si gonfia per “bloccare” il sangue. Questa volta sono 3 i secondi a G negativi, sono più leggero di un astronauta sulla Luna, ma il sudore gocciola da sotto il casco.

E’ pazzesco per un passeggero (il “sacco” nell’abitacolo biposto) pensare che gli assi della Pattuglia acrobatica nazionale ripetono queste manovre nella formazione a 9 velivoli in un fazzoletto sul filo dei 700 kmh, mentre il solista, con i suoi “assolo”, incassa più G di tutti gli altri. Nessun’altra pattuglia al mondo vola con tanti aerei.

Mentre Zanovello infila un’altra “Schneider” a 360 gradi (una virata a coltello carica di G) provo di nuovo ad alzare un avambraccio e non ci riesco: è di piombo. E invece il pilota quasi sbadiglia. Non serve un superfisico, servono anni di addestramento alla base di Rivolto (Udine), sede del 313° Gruppo.

Siamo in volo rovescio sul mare: i bagnanti alzano gli occhi, come me, perché sono sottosopra.

L’azzurro è quello del cielo o quello delle onde? Poi, di nuovo livellati, si può tirare il fiato succhiando un po’ più di ossigeno “puro” agendo su una piccola valvola, come hanno insegnato nel briefing prima del decollo: è un inebriante rimedio antinausea, lo ami fin dal decollo.

«Ecco, adesso piloti lei», dice Zanovello. «Come, io?». «Forza, è facile».

La cloche è dolcissima, l’Mb339 si manovra con due dita. Una virata leggera a destra, una sinistra, le ali oscillano docili. Vertiginosa felicità.

«Benissimo, allora andiamo per il gran finale: la “scampanata». E’ quella che fa il solista infilandosi nella “bomba”. Zanovello tira a sé la cloche e mette il muso a 90 gradi sulla pista della base di Miramare, a tutta manetta il motore Viper Mk.

E’ quasi mezzogiorno, puntiamo come un missile verso il sole. Poi la velocità cala, cala, cala fino a quando l’aereo si inchioda al cielo: non ce la fa più a salire. E si ferma anche il cuore che martellava le tempie. Immobili, senza peso, nel blu, per un istante, eterno in te.

Come un pendolo, il muso “scampana” verso il basso: affacciato sull’abisso comincio a cadere come una foglia avvolta nella scia di fumo bianco appena tracciata, poi la picchiata a precipizio della pista dove vedi formichine.

Ricomincio a respirare solo quando il pilota “richiama” e atterra.

Più che stringere le mani dei piloti e degli “specialisti che al suolo mi circondano, mi ci aggrappo perché le gambe non rispondono bene: credono ancora di poter sfuggire alla gravità.

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