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di Renato Romanelli
da I Mesi. Bimestrale di attualità economiche e culturali dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino, anno 3, n. 04, luglio – agosto 1975, pp. 41 e segg.

Ottant’anni, mente sveglia e parola pronta. Accompagna il nipote quindicenne alla scoperta del Friuli. Amalia Canciani partita per il Belgio da Udine poco più che bambina. La sua storia assomiglia a quella di migliaia d’emigranti, che vanno per il mondo. Obiettivo, un po’ di fortuna. Adesso è ritornata, come altre volte in passato, ma per fermarsi più a lungo. « Forse per sempre ».

Vuole rivedere la terra dei suoi genitori. Quasi un pellegrinaggio d’affetto nei luoghi che la madre e il padre rievocavano nei momenti di nostalgia e nei quali — ormai molto tempo fa — hanno voluto addormentarsi per sempre. Nel suo programma però c’è una tappa impensabile nei giorni della sua infanzia. L’ha inserita con giovanile prepotenza il nipote. E la nonna ne è rimasta entusiasta. Adesso sa tutto della Pattuglia acrobatica nazionale. Sa tutto delle Frecce tricolori, dei piloti che disegnano nel cielo la « bomba », degli aerei che si sfiorano a filo di terra o che giostrano, ala contro ala, ad altezze vertiginose. Nelle competizioni internazionali — l’ha aggiornata il nipote — da sempre figurano ai primi posti. È la pattuglia fra le più applaudite, se non proprio la più applaudita.

La testimonianza di Amalia Canciani è una delle tante che la « pattuglia » — come la chiama il pubblico confidenzialmente — sta ricevendo da qualche mese a questa parte. Era corsa voce che le Frecce tricolori dovessero essere sacrificate all’altare della ristrutturazione e della crisi economica.

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Un moto di delusione ha accolto l’annuncio dato il 2 giugno dallo speaker della televisione. Si svolgeva la sfilata per la festa della Repubblica. Sopra i fori imperiali i jet delle Frecce disegnavano i colori della bandiera. Poteva essere quella una delle ultime esibizioni della « pattuglia ». Le telefonate, le lettere e le sollecitazioni perché ciò non fosse, sono state numerosissime. La PAN e i comandi dell’aeronautica militare sono stati investiti dagli appelli di gente sconosciuta che chiedeva si potesse scongiurare la soppressione delle Frecce.

Moltissime le testimonianze dal Friuli, dove la « pattuglia » contende popolarità e simpatia addirittura agli alpini della Julia. Ma tantissimi anche i messaggi giunti dall’Italia e dall’estero. Lettere semplici, commoventi; altre piene di orgoglio. « Ci avete salvato la faccia », ha scritto un operaio che lavora in Germania, a lungo deriso dai colleghi tedeschi dopo la disfatta della Nazionale di calcio. Per lui è stato un motivo di rivincita il fatto che le Frecce tricolori si siano dimostrate più brave dei piloti della pattuglia tedesca.

Quest’episodio e le innumerevoli testimonianze giunte da ogni parte del mondo arricchiscono la leggenda della PAN. Una leggenda che pare destinata a continuare. Per ora la notizia si sussurra. La dicono sottovoce per scaramanzia. Pare certo, comunque, che la « pattuglia » continuerà a disegnare arabeschi. Avrà nuovi aerei, ma non morirà. Lo conferma il maggiore Renato Rocchi, l’ufficiale addetto alle pubbliche relazioni, che conosce tutti i segreti della PAN e nelle manifestazioni ufficiali ne illustra dal microfono le acrobazie. Gli aerei della pattuglia acrobatica — afferma — sono vecchi. Saranno sostituiti da jet più moderni. Ma l’importante è che le Frecce restino.

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La Pattuglia acrobatica nazionale è nata a Campoformido, in Friuli. Dopo alterne vicende, 15 anni fa è tornata in Friuli, a Rivolto. I suoi piloti hanno avuto nomi romantici, pieni di fascino: Lancieri neri, Tigri bianche, Getti tonanti, Diavoli rossi; oppure erano « quelli del Cavallino rampante ». Adesso si muovono sotto una sigla, PAN, e viaggiano sui Fiat G 91, gli aerei considerati ideali per dare perfezione geometrica alle figure tracciate a velocità vertiginose.

Cinquanta uomini, fra piloti e tecnici, 15 aerei: questa la « forza » della pattuglia. Il comandante è Danilo Franzoi, 4150 ore di volo. Durante gli addestramenti dirige da terra le evoluzioni dei piloti. In cielo, piloti poco più che ragazzi, gli obbediscono e disegnano geometrie piene di fantasia e di precisione nelle linee impalpabili. L’età media di questi uomini è inferiore ai trent’anni. Alcuni sono sposati e hanno figli. Cuore forte e nervi saldi, quasi ogni giorno dànno spettacolo sulle piste che barriere fitte di verde nascondono agli occhi degli automobilisti che percorrono la statale 13, la vecchia direttrice Venezia-Udine soppiantata dall’autostrada. Sul ciglio, le macchine si fermano e i passeggeri seguono le prove. Gli aerei volano vicinissimi, sfiorandosi. I piloti si controllano a vista, seguendo gli ordini che arrivano da terra per non provocare sbavature nei disegni che stanno intessendo fra le nubi. Fanno e rifanno le figure più ardite. Si mettono in formazione a cigno, si allontanano veloci, si riavvicinano, si sfiorano, s’impennano fino quasi a disegnare un punto a migliaia di metri da terra e poi si gettano all’indietro, spalancandosi come petali di fiori.

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Il momento più spettacolare è rappresentato dalla « bomba ». All’ordine del capo-pattuglia, ogni velivolo si stacca dalla formazione e segna il cielo con scie fumogene. A. un tratto gli aerei scompaiono all’orizzonte. Ricompaiono improvvisi, prima che si oda di nuovo il rombo dei jet.

Piombano sul campo a mille chilometri all’ora e si incrociano a bassissima quota, fino a tre metri da terra, a distanza ravvicinata. Anche meno di due metri l’uno dall’altro. Dopo l’allenamento, sfilano davanti agli ufficiali, alle squadre di soccorso, alle persone che ogni giorno chiedono e ottengono numerose di poter assistere agli allenamenti da vicino. I piloti salutano dagli abitacoli. Scendono vicino agli hangar. Gli aerei sono presi in consegna dai meccanici. A questo punto è facile paragonare i piloti agli antichi cavalieri. Gli specialisti che prendono in consegna l’aereo sono gli scudieri. L’incontro con la piccola folla di spettatori è sempre commovente. Sono scolari, rappresentanze di aziende e di istituti, persone qualsiasi che hanno ottenuto il permesso di entrare a Rivolto, paese a due passi da Udine, base del 313° gruppo di addestramento acrobatico.

L’incontro pubblico-piloti è una festa. Superato un attimo di esitazione, bambini e adulti vanno alla ricerca di una stretta di mano, degli autografi; chiedono di vedere da vicino queste macchine che su, in cielo, sembrano giocattolini facili da manovrare. La cabina è invece un intrico di fili, di comandi e di spie. Questo quadro accresce il mistero intorno a un gruppo di ragazzi che si divertono di fronte alla meraviglia d’altri, che spiegano come la loro strana tuta, munita d’una specie di cordone ombelicale che li lega al seggiolino, sia attrezzata contro gli effetti dell’antigravità.

Massimo Montanari, sorriso cordiale a tutti denti, 4100 ore di volo, fanalino della pattuglia, presta il suo casco ai ragazzi che sfilano davanti al fotografo. Graziano Carrer, Angelo Boscolo, Assenzio Gaddoni, Nunzio Ruggiero, poco più che ventenni tutti e quattro, spiegano la funzione dei gregari. Adoperano parole semplici, non si scandalizzano davanti alle eresie involontarie dei profani. La loro affabilità li veste di una natura umana di cui si teme siano privi quando li si vedono appollaiati come marziani in cabina. Invece sono uomini come tutti. Forti, preparati, coraggiosi, ma persone comuni, che rischiano, che hanno temuto di dover dare addio prima del tempo alla « loro pattuglia ». Sono gli eredi di Rino Corso Fougier, pioniere del volo acrobatico. Esaltano il ricordo delle prime pattuglie che disegnavano geometrie ad alta quota. Ma non vogliono essere gli ultimi. Vogliono che le loro imprese siano continuate da altri piloti. Non ci sarà più il Fiat G 91; la « pattuglia » sì.

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Le Frecce tricolori volano sui G 91 dal ’63. Prima avevano in dotazione i Sabre. L’aereo della Fiat, con ali a delta, ha permesso loro di raggiungere quasi la perfezione nelle figure che hanno tracciato in tutti i cieli del mondo. Il Fiat G 91 è un caccia tattico leggero, adottato da diversi paesi della Nato. Il G 91 della PAN ne mantiene inalterate le caratteristiche essenziali, esaltandone le doti di maneggevolezza. Alcune modifiche apportate alle installazioni di bordo lo rendono particolarmente adatto per il volo acrobatico. Le prove di questo sono infinite.

Sarà difficile sostituirlo con un velivolo che ne ripeta la praticità e la maneggevolezza. Molte pattuglie acrobatiche straniere usano aerei più potenti dei G 91, ma non riescono a eguagliare la qualità dello spettacolo che le Frecce tricolori sono in grado di garantire con i loro apparecchi. Forse in questo sta l’unica nota di amarezza che riguarda la ristrutturazione della « pattuglia »: le Frecce restano, ma dovranno rinunciare al fedele protagonista di tante manifestazioni. Il cavallo è invecchiato. Il suo nome resterà nella leggenda delle Frecce. Una storia lunga, che si scrive giorno per giorno.

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