da Corriere della sera, 17 luglio 2004, p. 43 e 15
Maurizio Guzzetti è il pilota che è riuscito a riportare a terra il Boeing 767 con un motore in fiamme. Varesino, brizzolato, è un colosso che sfiora i due metri. Ha una voce tranquilla, uno sguardo deciso e l’aria di chi ha fatto solo il proprio lavoro, tipica dei militari.
Guzzetti, infatti, ha un passato nell’aeronautica militare dove ha volato per ben sette anni. Ha iniziato la carriera sugli F 104 per poi entrare a far parte della squadra delle Frecce Tricolori. In aria, sui Macchi 339 era considerato tra i migliori. Per questo è stato scelto come «solista»: toccavano a lui le evoluzioni aeree più difficili e pericolose delle Frecce. Era in volo anche a Ramstein, quella maledetta esibizione aerea dove, oltre a decine di civili, semplici spettatori, morirono anche tre ragazzi della squadra, «amici» ricorda commosso.
Poi il passaggio all’aviazione civile. E anche qui le situzioni di pericolo non sono mancate. Come quella di ieri, quando durante il decollo ha preso fuoco il motore destro. li Boeing stava per raggiungere la «velocità decisionale», circa 400 chilometri orari, oltre la quale l’aereo non può più fermarsi. Nell’emergenza, Guzzetti ha deciso di non frenare, valutando in un istante che sarebbe stato meno rischioso per i 273 passeggeri prendere quota. Un volo di tre minuti su Ostia e Fregene, attento che il vento non spingesse le fiamme sul veivolo e poi il rientro sicuro a Fiumicino. Tutto secondo le procedure. E la sua destrezza.


«Pochi istanti per decidere: così sono tornato in pista»
ROMA — «L’indicatore ha segnalato l’incendio al motore a decollo avviato, quando stavamo per raggiungere la velocità decisionale, quella oltre la quale non puoi più fermarti e devi necessariamente proseguire. Saranno stati circa 200 nodi, poco meno di quattrocento chilometri all’ora. Ho preso la decisione in un istante: meglio tirare dritto e staccarsi da terra».
È abituato a pensare velocemente il comandante Maurizio Guzzetti, il pilota ieri alla cloche del Boeing 767 diretto all’Havana, un omaccione alto quasi due metri, volto rubizzo, quarantacinque anni, varesino. Lo ha imparato quando era un top gun militare, addirittura il solista delle «Frecce tricolori», il ruolo affidato al più bravo, dicono gli aviatori.
In una frazione di secondo ha deciso di proseguire il decollo, salvando così la vita di 273 passeggeri, perché «fermarsi sarebbe stato pericolosissimo. Eravamo lanciati, quasi al termine della pista. Con il motore in fiamme poteva accadere qualunque cosa. Vibrazioni incontrollabili, un’esplosione, o chissà che altro».
Ai passeggeri cos’ha detto?
«La verità: cioè che avevamo un’avaria a bordo. Poi di assumere la posizione di sicurezza, chinando la testa tra le gambe e tenendo le caviglie per le mani. A quel punto ho pensato soltanto a riportare l’aereo a terra».
Come ci è riuscito?
«Con una lunga virata a destra, su Ostia, e poi a sinistra, verso Fregene, decidendo così di atterrare in direzione nord in modo che il vento, da ovest, non spingesse le fiamme contro l’aereo. Ma è tutto previsto nei manuali. Una routine che ogni pilota conosce a memoria e che ogni sei mesi ripete durante le esercitazioni al simulatore».
Come si è comportato l’equipaggio?
«Sono stati bravissimi. E coraggiosi Quando l’aereo si è fermato sulla pista, hanno dato le disposizioni per scendere dagli scivoli senza affannarsi. Ma i passeggeri sono stati altrettanto bravi. Calmi, disciplinati. È andata bene».
Qualcuno di loro, appena sbarcato, ha avuto la sensazione di precipitare…
«Comprensibile. È perché subito dopo il decollo abbiamo ridotto drasticamente la velocità ascensionale per rientrare su Fiurnicino. Stavamo ugualmente salendo, solo un po’ più piano. E l’atterraggio è stato normalissimo».
Da pilota, quello di ieri è stato il suo momento più difficile?
«Nell’aviazione civile sicuramente. Ma non è stato niente rispetto a quello che ho vissuto a Ramstein, quando dalla cabina del mio Macchi 339 ho visto morire due miei colleghi delle Frecce Tricolori. Impossibile dimenticare».
Alessandro Fulloni