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Baden Söllingen - Rivolto, 16 settembre 1986

da Carlo Baron, Con le Frecce sempre in testa, Udine, 2013, p. 62 e segg.

Hopstein, in Germania, era la località in cui avremmo dovuto trascorre la notte precedente il nostro rientro in Italia dal tour in Nord America.

Ad accogierci a Rivolto, oltre ad un folto pubblico, autorità militari e civili ci sarebbe stato anche il Ministro della Difesa, l’onorevole Giovanni Spadolini che avremmo dovuto salutare alla nostra maniera ovvero con la fumata tricolore.

Per le avverse condizioni metereologiche che gravavano sulla destinazione prevista però, eravamo stati costretti ad atterrare a Baden Soellingen, una base NATO che ospitava le Forze armate Canadesi. Eravamo già stati un paio di volte in quell’ aeroporto per partecipare al tradizionale Airshow ed avevamo potuto apprezzare la cortesia e l’ospitalità delle persone che in esso operavano. Sfortunatamente, in quest’occasione non avrebbero potuto seguirci con la consueta premura perché impegnate nell’importante valutazione tattica del Reparto.

Suddividendosi in due, tre per camera la nostra inattesa cinquantina di persone era in ogni caso riuscita ad avere una buona sistemazione.

lo dividevo la stanza con Gianfranco Da Forno ed era la prima volta che mi capitava. Dopo aver a lungo ricordato situazioni, aneddoti e tante altre cose che c’erano capitate in quella missione che ci aveva tenuto per oltre due mesi lontani da casa, avevamo spento la luce. Franco mi aveva rivolto un cordiale “Notte Charlie” e, dopo aver tirato un profondo sospiro, si era subito addorrmentato dando inizio ad un concerto che, considerato il luogo dove stava avvenendo, poteva essere definito senza dubbio “da camera” ma che, a ben sentire, era piü “da segheria”.

A proposito di concerti da camera, mi sono sempre chiesto che genere di musica fosse suo nata in quelle occasioni. Beh, se era simile a quella che io mi ero sorbito quella notte, mi ero ripromesso che non avrei mai fatto a spintorni, davanti ai botteghini di qualche teatro, per accaparrarmi un biglietto allo scopo di risentirla.

Gianfranco, ufficiale serio, puntigioso e professionalmente molto preparato, eccelleva anche in questo tipo d’esibizione notturna contendendo a Franz Pinzano, il capo armiere, la leadership per il numero di disgraziati che, occupando una stanza nello stesso corridoio in cui si affacciava anche la loro, avevano fatto la notte in bianco.

Quella “sonata per seghetto e tronco” oramai famosa in tutti gli alberghi che ci avevano ospitato, un “allegro ma non troppo” come si dice in gerqo musicale, mi aveva tenuo compagnia fino al mattino. Un regolare, profondo “ronf… ronf… ronf…” interrotto ogni tanto da un lungo respiro, quasi che il mitico speaker-P.R. volesse far raffreddare la lama dentata che sembrava avesse in gola, era stato la colonna sonora del ripasso delle tante cose che avrei raccontato a parenti ed amici urna volta tornato a casa.

La mattina dopo la sveglia era stata di buon ora, anche per chi in verità non s’era nemmeno addormentato. In giro occhi assonnati ma dai quali traspariva tanta felicità.

Si sentiva e si vedeva che era proprio una giornata diversa dalle altre, il fatto poi che, per la prima volta da quando eravamo partiti, lgnazio Vania non mi avesse chiesto quanti dollari avrei cambiato e quante cartoline avrei comperato e spedito ne era la conferma.

Pur costretti ad un lavoro non previsto, quello cioè di reinstallare sui velivoli i travetti ed i serbatoi per i liquidi colorati che già da Goose Bay, in Canada, se ne stavano tranquili dentro il C130, nessuno protestava più di tanto. Al massimo si poteva sentire qualche innocuo “Speriamo che a qualcuno non venga qualche altra idea” ma era solo per non perdere il gusto del mugugno.

Il decollo era previsto nel primo pomeriggio.

Non sembrava neanche vero che al prossimo atterraggio avremmo messo le ruote sulla nostra pista. Sensazioni indescrivibili e controverse. Il piacere di rivedere i propri cari ed i propri amici contrastava con il rammarico di dover concludere quella indimenticabile avventura vissuta il luoghi dove tanti di noi non avrebbero nemmeno sognato di poter un giorno mettere piede.

La giornata era splendida. Durante il volo, i commenti e lo scambio di battute via radio tra i piloti venivano ogni tanto interrotte dalle comunicazioni con gli enti di controllo a terra. Poi, finalmente, il confine, la meravigliosa catena delle Alpi, e quasi in segno di rispetto, nessuno aveva parlato mentre sorvolavamo le montagne per riabbracciare finalmente l’Italia. La palpabile emozione che era dentro di noi era stata improvvisamente interrotta dall’arrivo di quattro velivoli F. 104S del 22° Gruppo di Istrana. “Frecce dai Pluti. Bentornati. Siamo la vostra scorta d’onore” aveva comunicato il leader di quella formazione.

Dividendosi in due coppie gi intercettori si erano posizionate una alla sinistra e l’altra alla nostra destra. l commenti per quella inaspettata quanto gradita dimostrazione di stima e di amicizia non avevano tardato ad arrivare ma erano stati subito interrotti da un… “Ragazzi… occhio che da ora sarete amplificati” pronunciato con una chiara cadenza ligure a me molto familiare. Era, infatti, quella del colonnello Aldo Olivero con il quale avevo diviso i miei dodici anni di permanenza a Ghedi.

Ufficiale responsabile dell’evento legato al nostro arrivo, ci aveva fatto capire che allo scopo di far sentire le nostre comunicazioni radio a tutti coloro che ci stavano aspettando, era stato predisposto sull’aeroporto un impianto d’amplificazione. Da quel momento in poi, avrebbe parlato solamente il Comandante, con buona pace di GB Molinaro e del suo “slogan” con il quale ci aveva tormentato ad ogni volo. Chissà quanti di quei “Arturo, Arturo da spingi bene dieci due” gli erano rimasti in gola.

La scaletta della cerimonia d’arrivo prevedevail nostro atterraggio alcuni minuti dopo quello del velivolo del Ministro che era stato però segnalato in notevole ritardo rispetto all’orario stabilito. Pare non fosse una novità bensi una consuetudine, o quasi. Dovevamo pertanto cercare anche noi di ritardare in qualche modo l’arrivo. Facendo qualche virata o deviando un po’ dalla rotta prevista avremmo potuto certamente dilazionare di un po’ l’atterraggio, di qualche minuto però, non certo di alcune decine come pareva fosse la necessità del “cerimoniale”.

Oltre a ciò, il Comandante, come del testo tutti i piloti, non se la sentiva proprio di vivere un’ esperienza simile a quella accaduta in lslanda due giorni dopo la nostra partenza per l tour. Una tratta, quella da Leuchas, in Scozia, a Keflavik che sarebbe rimasta storica per chi t’aveva vissuta con il cuore in gola buttando continuamente l’occhio sulla” lancetta” dell’indicatore combustibile che continuava a scendere inesorabilmernte verso lo zero. Procedendo con fortissimo vento contrario in condizioni meteorologiche a dir poco inclementi, infatti, i velivoli erano atterrati sotto un’incessante e gelida pioggerellina con solamente 50-60 Kg. di combustibile nei serbatoi, l’autonomia per pochissimi minuti di volo. Ricordo che al parcheggio, nonostante cercassero di dissimularla con sorrisi, gesti scaramantici e pacche sulle spalle, sui volti dei piloti eta ancora visiblle la tensione che li aveva attanagliati durante quel volo. In quella occasione non erano mancate le parole di ammirazione per la calma e la professionalità con cui “Pino” li aveva “portati'” a terra, parole sincere non dettate certamente da piaggeria.

Altra ennesima conferrma che “il noto personaggio”, come in frequenza era definito l’onorevole, era in ritardo sul previsto, il Comandante non aveva pertanto avuto nessuna esitazione a comunicare… “lo ho undici velivoli dietro di me da portare a casa, dite al noto personagqio che vado all’atterraggio“.

Una decina di minuti dopo, con voce calma dalla quale non traspariva la tensione che tutti, e certamente anche lui, in quel momento provavamo aveva poi contattato la torre di controllo:

Rivolto Fecce Ticolori“. “Avanti Frecce… bentornati a casa“.

Un brivido mi aveva attraversato il corpo come una scossa ed a stento ero riuscito a soffocare in gola una specie di singhiozzo. Da lontano si intravedeva la pista e, alla sinistra i vigneti e la cantina di Piero Pittaro. Ora non c’erano più dubbi, eravamo proprio a casa.

Pronti con i coloratil….. Coloratii vvvvvia!“.

La scia grigiastra che usciva dagi scarichi dei velivoli della scorta, posizIonata ai nostri lati, aveva contenuto come in una cornice quel mantello tricolore fino sul portone di casa, fino a quando cioè gli F104S con una violenta virata si erano allontanati lasciando solamente a noi l’onore di quel trionfale ingresso.

Quei tre colori che avevano dipinto il cielo in America ed in Canada facendo inumidire gli occhi di tanti nostri connazionali, ora erano solo per noi, per il nostro ritorno.

Eravamo atterrati dopo due passaggi con i fumi colorati ed in fila indiana c’eravamo diretti verso il parcheggio sfilando lungo il raccordo. Ai bordi, una marea di gente assiepata dietro alle transenne sventolava bandiere, agitava fazzoletti, alzava cartelli con scritte tipo “Bentornati Campioni”, “Siete il nostro orgoglio”, ” W le Frecce”.

Quando ricordo quella specie di passerella, mi pare sempre di riviverla e, pur essendo passati molti anni da allora, non nascondo di provare ancora una certa emozione e tanta, tanta nostalgia. Bisogna aver vissuto quel momento di felicità per poterlo capire.

Aftiancati in linea di volo, a motore ancora in moto, avevamo atteso gli ordini del leader per sincronizzare la procedura di spegnimento.

Aerofreni… ora!… Sblocchiamo il tettuccio… ora!! Spegniamo il motore… ora!“.

L’affievolirsi del sibilo di quei motori che avevano ruggito per due mesi e mezzo parlando sempre la stessa lingua, quella dell’efficienza, era sembrato volerci dire “Ecco fatto ragazzi.alla prossima!” prima di ammutolirsi lentamente del tutto.

Apriamo il tettuccio… ora!!

Ii dodici tettucci si erano aperti simultaneamente come se una improvvisa folata di vento avesse colpito la linea di volo. L’aria di casa era entrata nel silenzio ovattato della cabina sospinta dagli applausi e dalle grida del cordone di gente che si era assiepato di fronte a noi.

Una volta sceso a terra, per superare quell’indimenticabile ed imbarazzante momento emotivo avevo quasi evitato di guardare tutte quelle persone che ci applaudivano e ci riempivarno di complimenti. Avevo gettato loro solo uno sguardo quasi distratto, scambiando qualche parola con Alberto Moretti, il pilota con cui avevo “‘viaggiato”. Il cuore, però, mi batteva all’impazzata. Orgoglio, amore, soddisfazione, gioia erano sensazioni che in eguale maniera mi davano tanta felicità. Avessi dovuto scegliere quella che al momento era la più conforme al mio stato d’animo non ne sarei stato capace.

Il mio finto disinteresse su quanto stava accadendo era stato miseramente smascherato quando i bambini, i nostri figli, seguiti dai familiari che erano stati confinati in un recinto forse necessario ma che al momento avevamo ritenuto inspiegabile, erano riusciti a superare quellisolamento e ci erano venuti incontro correndo a perdifiato. Gianandrea ed Alessandro i due maschietti di Giampi Gropplero, alzavano un cartello artigianale con il disegno del suo aereo e la scritta “Bentornato papà”. Il più piccolo, Alessandro, era riuscito addirittura a schizzare in cabina tra le braccia del “Conte”.

La foto di sinistra dal profilo Facebook di Alessandro Gropplero

Girandomi verso Alberto avevo notato due grossi lacrimoni che gli rigavano il volto mentre Daniela, sua figlia, gli si stava avvicinando piangendo e gridando “papaàaà” seguita a pochi passi da mio figlio Giorgio che mi correva incontro a perdifiato con un più confidenziale, ma non meno urlato ed indimenticabile… “papiiii“.

Erano seguiti baci ed abbracci con parenti, amici e tanta altra gente che non avevamo forse nemmeno mai visto o conosciuto ma che avevamo egualmente accomunato alle nostre dimostrazionidi affetto. Ministro, generali ed altre personalità civili avevano più tardi dato lustro, con discorsi ed encomi alla cerimonia. Noi, però, a quel punto, eravamo già più che appagati di quanto avevamo ricevuto dalla gente.

Momenti unici, difficili da descrivere ed impossibili da dimenticare.

Il giorno dopo il DC9 dell’Aeronautica Militare era venuto a prenderci. Destinazione Roma!

Quel velivolo era lo stesso che nel luglio del 1982 aveva riportato in ltalia la Nazionale di Calcio fresca vincitrice della Coppa del Mondo. Sostituendoci al Presidente Pertini, Bearzot, Causio e Zoff non ci eravamo fatti di certo scappare l’occasione di fare anche noi una partitina a carte sullo stesso tavolino da loro usato, con accanto il prestigioso trofeo, per lo “storico tresette” al rientro da Madrid. Nel pomeriggio eravamo stati ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica, l’onorevole Giuseppe Cossiga. Complimentandosi per i successi ottenuti al di là dell’Oceano Atlantico, aveva consegnato ad ognuno di noi, come riconoscimento, una bella medaglia d’argento.

Alla sera, ricevimento per il passaggio di consegne tra il generale Basilio Cottone ed il generale Pisano, nuovo Capo di Stato Maggiore dell Aeronautica Militare, due alti ufticiali che avevano avuto un peso determinante nella promozione e nella realizzazione della missione in Nord Armerica. Noi, che avevamo posto in essere la loro lungimiranza non li avremmo mai dimenticati, ricordandoli con stina e tanta, sincera gratitudine.

La foto al centro dal profilo Facebook di G. Molinaro

Quel DC9 che aveva trasportato i calciatori freschi reduci dal grande successo sportivo in Spagna e, quattro anni più tardi noi, appena rientrati dalla lunga trasferta in Stati Uniti e Canada altrettanto prestigiosa, è stato ora sostituito da un velivolo più moderno. Sono certo però che scartabellando tra i vecchi registri di imbarco, relativamente alle date 11/7/1982 e 16/9/1986, scopriremmo che, alla voce “Personale imbarcato” compare la stessa dicitura.. ..”l campioni del Mondo”.

Ricordi di una gioventù ormai lontana, di un periodo indimenticabile e di persone con le quali non potremo più riviverlo, ma che saranno per sempre nei nostri cuori.

E anche nel loro ricordo che nel 2006 abbiamo festeggiato il ventennale della “tournee U.S.A.-Canada”. Ai nostri “nipotini'” della PAN. abbiamo regalato un quadro con il disegno dele nostre tappe e le firme di tutti i partecipanti. Spero sia ancora in circolazione e non abbia fatto la fine di tanti altri che, per questioni di spazio, non trovano “alloggio” su pareti ormai colme di attestati e riconoscimenti.

Quello non è quadretto qualsiasi, è quello donato da colleghi protagonisti di un’impresa storica di grande valore aeronautico che ha contribuito in modo determinante a far si che in seguito le Frecce Tricolori potessero essere giustamente considerate un simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo. È il quadretto di… “quelli dell’America 1986”.

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