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La pattuglia italiana, unica al mondo, compie le sue acrobazie con dieci velivoli. Maurizio De Rinaldis, comandante delle Frecce Tricolori, ci parla dei primati di una gloriosa formazione

di Federico Guiglia
dal sito del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo [ fonte ] – giugno 2001

Sono gli acrobati del cielo e dunque l’espressione più alta, letteralmente, di italianità. Volano come nessuno ha volato mai e volano in tutto il mondo le Frecce Tricolori fucina di talenti e di tecnologia, di carattere e di confronti, di pazienza e di passioni. A comandare la pattuglia è Maurizio De Rinaldis che racconta tutto dei suoi piloti (e un giorno le pilote: si stanno già addestrando all’Aeronautica). Proviamo a guardare oltre le ali del vento: come sarà il futuro delle Frecce? Il tenente-colonnello è nato a Roma e ha 35 anni.

A chi è venuta l’idea delle Frecce Tricolori?
Giusto quarant’anni fa, nel 1961, l’Aeronautica aveva istituito il 313.esimo Gruppo addestramento acrobatico, dandogli l’appellativo di Frecce Tricolori perché disegnavano un grande bianco, rosso e verde nel cielo con fumi colorati. Prima delle Frecce il compito di rappresentare l’Italia e anche la Forza armata era di varie pattuglie, costituite da singoli reparti tra i più gloriosi reparti-caccia dell’Aeronautica: penso ai Getti Tornanti, ai Lancieri Neri ai Diavoli Rossi con compiti soprattutto operativi.

Ma l’acrobazia aerea è fine a se stessa?

No. In realtà l’acrobazia nasce come manovra difensiva o di attacco, cioè il pilota da caccia dev’essere innanzitutto acrobatico. È una parte della scienza del volo che veniva insegnata già negli anni Trenta per sfuggire a un possibile aggressore. E fare acrobazia insieme, vuol dire proteggersi a vicenda. Perciò non è solo divertimento.

Come si entra nelle Frecce?
Con una selezione tra piloti che hanno almeno mille ore di volo, e che
provengono esclusivamente dalle linee caccia per esempio “Tornado”, “F 104” –
ossia da tutti i velivoli a getto, non a elica. In più bisogna avere determinate
caratteristiche: essere capaci di lavorare in squadra, essere portati per il volo in formazione
e soprattutto avere un carattere che si presti ai gioco di squadra. Qualunque pilota militare con un particolare addestramento raggiungerebbe sicuramente i nostri risultati. Però la qualità non basta. È necessario saper stare insieme.

Che tipo di allenamento fate?
L’addestramento dura circa un anno prima di entrare in formazione. Consiste in una serie di voli inizialmente due velivoli in coppia, e poi tre, e poi quattro e via aumentando. La giornata-tipo prevede due, tre voli di quaranta minuti ciascuno. Ma ciò significa che ogni volo occupa almeno un paio d’ore ogni volta, perché c’è la fase di preparazione, il punto che si fa prima del volo, e la discussione con l’istruttore dopo. I piloti delle Frecce sono anche istruttori-acrobatici per i nuovi che arrivano. Teoria e pratica per un anno, essere istruiti e istruire, e in più incarichi a terra: dalla pianificazione dei voli alla gestione delle operazioni, dall’addestramento al coordinamento delle iniziative e molto altro ancora.

Quali sono le caratteristiche tipiche delle Frecce Italiane?
I nostri primati. Intanto la differenza fondamentale rispetto alle altre pattuglie è che noi siamo una formazione di dieci velivoli cosa unica al mondo. La Gran Bretagna ne ha nove, i francesi otto, gli spagnoli sette, gli svizzeri sei. Hanno di meno perfino gli americani che pure hanno due pattuglie: i Blue Angels della Navy, cioè gli angeli blu della Marina con gli F 18, cinque o sei in formazione, e una pattuglia dell’Aeronautica (Airforce) con soli cinque F 16.

Quali velivoli usa la pattuglia delle Frecce?
Usiamo l’MB 339. La nostra, inoltre, è l’unica pattuglia che compie separazioni in due formazioni diverse con due incroci. Mi spiego: le altre pattuglie si separano, vanno via e poi si rincrociano in tempi lunghi. Noi ci separiamo e uniamo di fronte al pubblico, grazie alle caratteristiche del velivolo, che ha dei raggi di virata molto corti e manovrabili.

Più spericolati?
No. Direi che abbiamo cose diverse

Più bravi?
Lasciamolo giudicare al pubblico.

Altre diversità rispetto alle altre pattuglie?
Si il “lomciovak” del solista, dal nome del pilota russo che ha inventato la manovra tipica ed esclusiva degli aeroplani a elica. È un avvitamento del velivolo per aria sui tre assi su di sé, in salita. Un aereo a getto non è in grado di fare questa manovra. I nostri sì, proprio per le capacità di maneggevolezza e manovrabilità. Di diverso, poi c’è anche la figura della bomba inventata dalle Frecce quarant’anni fa e tuttora non modificata. Si tratta della separazione in dieci direzioni diverse dei dieci aeroplani che poi si ricongiungono e s’incrociano in un unico punto. È una figura molto invidiata perché nessuno riesce a riprodurla: è facile separarsi ma non è facile, nel giro di neanche due minuti rincrociarsi e riunirsi tutti quanti.

Qual’è il momento più difficile?
In volo non c’è: ogni manovra è complessa e richiede massima concentrazione e precisione. Forse la cosa più difficile in assoluto è quando ci si esibisce non per addestramento ma di fronte alla gente: c’è sempre un po’ di naturale emozione in più. Ma nessuna manovra è rischiosa, perché avviene sempre nel rispetto assoluto dei criteri di sicurezza. Quando si sta a terra il momento più difficile è la discussione sulle imprecisioni fatte o su quanto si può ancora migliorare. I piloti della formazione sono molto pignoli e non s’accontentano mai neanche dei bei voli compiuti.

Che cosa avete imparato dal tragico incidente del 1988 in Germania?
A non dare mai niente per scontato.

Lei vola ancora?
Io sono stato capo-formazione, il leader. Adesso sono il comandante che gestisce e coordina tutto il gruppo da terra: non solo i piloti, ma gli specialisti i tecnici gli ingegneri i meccanici. Un centinaio di persone.

L’armonia di una squadra o le singole capacità dei piloti: qual è la morale delle Frecce?
È l’elogio del lavoro di squadra. Come per la Ferrari.

Ma chi è lo Schumacher della situazione?
Vede, non c’è. Prevale la forza della squadra Siamo tutti Schumacher. Una delle nostre caratteristiche è la mancanza di rivalità tra i piloti. Se ci ha fatto caso, non emergono mai i nomi dei singoli. Emergono le Frecce Tricolori.

In giro per il modo dov’è vi hanno accolto meglio?
Curiosamente negli Emirati Arabi Sono in genere chiusi ma quando si aprono, si aprono completamente. Anche negli Stati Uniti e non solo dagli americani ma soprattutto dai nostri connazionali all’estero. Siamo stati accolti da centinaia di migliaia di persone che ondeggiavano festosamente al nostro passaggio. Anche in Europa, penso all’Inghilterra. A Ostia quest’estate c’erano due milioni di spettatori. A Rivolto lo scorso settembre il nostro raduno ha richiamato seicentomila persone.

Dove volerete prossimamente?
Il 24 giugno celebreremo a Brescia la giornata azzurra aeronautica e sarà l’appuntamento più atteso in Italia. All’estero andremo per la prima volta in Romania, poi in Siria a Dubai e in Inghilterra.

Qual è la cosa più ricorrente che vi dicono e vi chiedono quelli che vi scrivono?
Che siamo i più bravi del mondo. Ma lungi da noi l’idea di montarci la testa: voliamo, però abbiamo i piedi ben piantati per terra. Quanto alla richiesta più diffusa una foto, un distintivo o lo stemma del reparto.

L’Aeronautica militare ha appena festeggiato 78 anni di vita. Di che cosa ha bisogno per rinnovarsi?
L’acquisizione di aeroplani recenti come l’Efa – aereo equiparabile al più moderno dei caccia americani – è stata importantissima: stanno ultimando i voli di collaudo per fornirli ai vari gruppi dell’Aeronautica. Siamo messi bene. Forse avremmo bisogno di incrementare la mentalità aeronautica al di fuori dell’aeronautica. Dovremmo cercare di coinvolgere sempre di più i cittadini per far loro vedere che le Forze Armate non lavorano per sé ma per tutti. Aggiungo che negli ultimi tempi i consensi sono notevolmente aumentati. Il messaggio che noi lanciamo come Frecce Tricolori non è per far divertire la gente soltanto, ma per diffondere un’idea di alta professionalità legata all’amor di Patria. Tra l’altro, si rappresenta anche l’industria italiana perché i nostri aerei sono costruiti interamente da una ditta italiana. È la caratteristica che accomuna tutte le pattuglie di tutti i Paesi: aerei fatti in casa.

Qual è il confine tra il coraggio e la temerarietà?
La conoscenza dei propri limiti insieme con l’addestramento. Bisogna non avere paura senza essere temerari. L’uomo di solito ha paura dell’imprevisto, di quello che non conosce bene. Con l’addestramento si sopperisce proprio a questo: cercare di conoscere tutto il più possibile.

E qual è il confine tra esibizione ed esibizionismo?
Il carattere del pilota. A noi interessano i bravi piloti. L’esibirsi già significa che quel pilota è bravo. Dunque, non ha bisogno di dirlo né di manifestarlo in altro modo.

Puntate sui “protagonisti anonimi”, o è un paradosso?
Paradossalmente, è la realtà delle Frecce Tricolori.

A proposito del tre colori: che cos’è l’&laqno;Italianità» per chi firma l’azzurro del cielo col bianco, rosso e verde?
È l’insieme dei nostri valori straordinari. Ma mi vengono in mente anche lo spirito d’iniziativa, il tentativo di risolvere i problemi in maniera pratica, con l’intuito. Quel saper fare che tutti ci invidiano. Gli americani hanno i manuali; noi magari di meno, siamo forse restii come popolo ad avere tutto bello e programmato nei vari campi. Ma poi riusciamo sempre a fare un quadro che viene quotato tra i più belli del mondo.

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