Ultimo aggiornamento: 12 Marzo 2020
Giambattista Molinaro racconta
da “55 anni di emozioni..”, a cura di Alessandro Cornacchini, 2015, p. 126
Sono arrivato alle “Frecce Tricolori” nel 1979, in un modo tanto movimentato quanto fortuito. In quell’anno c’era stato l’incidente di Petri, che mi aveva colpito non poco.
Avevo quindi telefonato al collega della PAN “Pino” Bernardis, con il quale avevo maggiore familiarità, avendo condiviso con lui momenti intensi della mia vita aeronautica. A lui avevo espresso il mio dispiacere e avevo concluso la conversazione dicendo che ero a disposizione per qualunque evenienza. Sebbene fossi sincero, non mi è passato nemmeno un momento per la mente che quella frase sarebbe stata presa molto sul serio. In quel periodo prestavo servizio presso il 6° Stormo di Ghedi.
Il Reparto si stava preparando per effettuare la transizione sul Tornado e i primi equipaggi stavano raggiungendo la base britannica di Cottesmore per conseguire le necessarie abilitazioni. Non è che gradissi molto la cosa perché significava volare molto meno per un periodo lungo e questo non mi piaceva proprio. Per allungare un po’ i tempi, per allontanare il più possibile il mio turno, accettai di andare a fare un corso di tattiche e tiro in Sardegna. Mentre ero lì, ho ricevuto la telefonata del Comandante di Stormo che, in perfetto “Ghedi Style”, mi ha investito d’insulti. Solo dopo un po’ ho capito di cosa si trattasse: era arrivato al Reparto, a mia insaputa, il telegramma di trasferimento a Rivolto.
La “vivace” telefonata si era conclusa con: «Vai, vai con quei saltimbanchi!». Rientrato a Ghedi, mi fu consegnato il dispaccio di trasferimento e senza essere ricevuto dal Comandante, che non mi volle vedere, me ne andai verso la nuova destinazione.
A Rivolto non è che la vita fu subito facile. Il Comandante della PAN era Salvi che aveva la particolarità di non provenire dalla “Frecce Tricolori” e questo, inizialmente, non ha agevolato il suo operato: doveva superare una certa diffidenza degli anziani che tra loro sicuramente pensavano: «Vediamo come se la cava». In mezzo a questo braccio di ferro c’eravamo noi piloti più giovani, in un momento, tra l’altro, delicato in cui ci si preparava a lasciare il G.91 senza avere un’indicazione precisa sul sostituto, anche se si sapeva che non poteva che essere il “339”, nonostante alcune prove fatte con il “T”. Il Macchi era un aeroplano nuovo e in Aeronautica ce n’erano solo alcuni esemplari alla “Sperimentale” dove venivano sottoposti alle prove intensive. C’era comunque da valutare l’aeroplano e verificare che fosse adatto all’attività della PAN.
Una mattina il Comandante Salvi ci convoca in sala briefing e ci comunica che nel giro di un paio di giorni alcuni di noi sarebbero andati a Pratica di Mare a provare il nuovo aeroplano. Fa i nomi di tutti gli anziani escludendo i più giovani tra cui io e De Podestà. La cosa non mi andava a genio e rappresentai il mio disappunto dicendo che mi sembrava se non altro sorprendente che le valutazioni del nuovo aeroplano, il velivolo del futuro, le avrebbero fatte piloti prossimi a lasciare il Reparto, mentre non si mettevano minimamente in gioco i più giovani.
Salvi mi disse che quelli erano i suoi desideri, i desideri di un Comandante sono ordini e che quindi si sarebbe fatto così. Incassai e dissi «Comandi», ma lasciai il briefing su tutte le furie e me ne andai a casa. Mia moglie quando mi vide sicuramente pensò: «Questo, oggi, è meglio lasciarlo perdere».
Nel pomeriggio venne a casa Toni Gallus, il capoformazione, e mi trovò in cantina. Toni mi disse che il mio comportamento non era stato propriamente impeccabile, che avevo sbagliato, ma allo stesso tempo mi disse che avevo ragione e di non preoccuparmi. Toni aveva un grande ascendente su di noi, ed effettivamente mi tranquillizzai. La mattina dopo, in base, ci giunse la comunicazione che saremmo andati tutti a Pratica.
Non ho mai saputo come fossero andate davvero le cose ma sono sicuro che Gallus ci aveva messo del suo per risolvere al meglio la situazione. Sempre in quel periodo, probabilmente al rientro da Pratica, in uno dei nostri briefing mattutini, vennero comunicati formazione e ruoli per l’anno successivo. Io ero tranquillo, ero sicuro di volare la posizione n. 7 e stavo lì ad ascoltare. Mi prese un colpo quando il Comandante disse: «…e il solista lo fa Molinaro». Sono rimasto basito, i miei compagni dicevano quasi in coro: «Beneee, beneee!», con una vena di sfottò che nella Pattuglia di quegli anni non mancava mai. Io ero tra il lusingato e il commosso, e così mi sono trovato a fare il solista sul G.91, stagione 1981. Chi l’avrebbe mai detto!
Il primo risultato dell’assegnazione nel nuovo ruolo fu che cominciai a volare, sì ma con il “208” della collegamenti, perché Gallus mi disse: «Per cominciare tu volerai con la collegamenti perché gli altri si devono allenare e non c’è un aeroplano anche per te». E così ho cominciato a fare il solista con il SIAI, scorrazzando per l’Italia, portando e andando a prendere di ricambio o altro. Insomma, mi facevano fare di tutto meno che volare con il G.91.
Ma poi le cose cambiarono…