Ultimo aggiornamento: 20 Marzo 2021
testo estratto dai video-intervista – a fondo pagina – della Ronin Film Production
La selezione in Pattuglia
Dovevo partire dopo pochi mesi per andare a fare il passaggio sull’ F16, quando un mio collega di corso mi fece presente che c’era la possibilità di fare la selezione per entrare alla PAN. Devo essere sincero: tanti diranno di essere entrati in Aeronautica con il desiderio unico di entrare a far parte delle Frecce Tricolori, ma sinceramente non era il mio caso. Io ero innamorato dell’attività che stavo facendo e non pensavo minimamente ad un futuro di questo tipo.
Però questo mio collega mi disse: “Questo è un treno che passa una volta sola. Nel dubbio facciamo la selezione anche per andare a vedere com’è l’attività”. Quindi spronato da questa curiosità da una parte, e dal fatto di rivedere anche un po’ di amici dall’altra (tra noi non ci si vedeva mai perché era in un Gruppo diverso dal mio), ho appoggiato la sua idea di provare a chiedere di fare la selezione.
Per fare la selezione, i requisiti erano circa 1000 ore di attività su aeroplani aerotattici della linea caccia che, in quegli anni, voleva dire F-104, AMX o Tornado. Nell’inverno del 2002 fui quindi inviato a Rivolto per la settimana di selezione
La settimana me la ricordo come molto interessante: la vedevo come una cosa forse più grande di me o, non avendola mai considerata come in ipotesi reale, non avevo mai carpito le problematiche e le difficoltà legate a quel tipo di volo.
Secondo me, l’arma segreta e vincente della Pattuglia è il fatto di potersi scegliere i propri piloti, facoltà che hanno pochissimi Gruppi e che garantisce di poter avere un tipo di persona (non dico tanto a livello tecnico, quanto a livello caratteriale) che si riesce a integrare in quel contesto. Quello delle Frecce Tricolori è un contesto in cui uno, bene o male, è sempre giudicato perché quello che fa è sotto gli occhi di tutti. Bisogna, quindi, avere un minimo di capacità di non essere permalosi e di saper fare il lavoro di squadra (cosa molto importante). A dispetto di quello che uno possa pensare aspettandosi persone un po’ più stravaganti, in realtà il profilo dei piloti della Pattuglia è quello di persone molto tranquille, molto positive e capaci di accettare le critiche per cercare di migliorarsi.
In questa settimana si fanno attività di vario tipo: ci sono dei colloqui sia singoli che di gruppo, c’è una parte ovviamente legata alla conoscenza della lingua inglese, ci sono delle presentazioni da fare davanti a tutti gli altri piloti, ci sono attività anche extra lavorative – come può essere andare a mangiare una pizza tutti insieme: queste ultime sono quelle ore in cui viene fuori la parte più vera delle persone ed è quindi molto importante -; c’è una parte fatta in volo – durante la quale vengono fatti dei voli, sia singoli che in coppia, per testare un po’ le capacità del pilota – e poi c’è anche l’attività con il resto della Pattuglia che vola al completo, con i candidati seduti nel posto posteriore per far capire quello che poi eventualmente si andrà a fare.
Mi ricordo la prima volta che feci questo volo, seduto dietro al numero 6 che ai tempi era Alessandro Fiaschi. Già durante il volo e poi anche una volta sceso ho pensato: “Vabbè, se avevo il dubbio che questa cosa non si poteva fare, adesso ne ho la conferma!”. Mi sembrava che la cosa fosse ancor più complicata di quanto pensassi. C’erano tutti gli altri candidati che attendevano in una stanza dopo aver volato anche loro in formazione nei posti posteriori che invece dicevano: “No vabbè… si complicata, però non mi è sembrata tutta questa difficoltà”. Ho perciò pensato: “Allora o non ho capito niente io o non l’hanno capito loro!”.
Ironia della sorte. Al termine di questa settimana ci fu il colloquio finale col Comandante e lì ho capito che c’era interesse nei miei confronti. Paradossalmente è stata quasi una sorpresa, un po’ perché la mia testa era già in America per la conversione sul F-16, un po’ perché avevo preso questa settimana in modo molto rilassato – forse è questo il motivo per cui sono stato preso – nel senso che ero incuriosito dall’attività però, avendo già la testa da un’altra parte, sono stato molto molto tranquillo e ho affrontato l’intero periodo in modo molto positivo, più per curiosità che per altro.
Fatto sta che, come succede sempre nella vita, è stato questo atteggiamento che ha portato al fatto che scegliessero me nel 2002 come pilota. Nell’ottobre del 2002 da Grazzanise sono stato trasferito in Pattuglia. Lì è cominciata quella che tanti definiscono “una meravigliosa avventura” ed è proprio così! Nonostante fossi proiettato a continuare la mia attività nell’ambito della difesa aerea, sono contento che sei andata in questo modo: sono cominciati degli anni meravigliosi sotto tanti aspetti perché è stata un’attività veramente interessante.
Pilota delle Frecce Tricolori
Sono entrato in Pattuglia quindi nell’ottobre 2002. Mi resi conto subito che dovevo, non dico cancellare tutto quello che avevo fatto prima, però di fatto essendo un’attività totalmente diversa, e con peculiarità talmente differenti da quelle di tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento, è stato un inizio complicato. Tant’è vero che nonostante l’esperienza che possedevo, prima di poter fare la prima esibizione da solo, sono passati 7-8 mesi di addestramento a 2/3 voli al giorno. È stata quindi un’attività fisica molto pesante, molto difficile all’inizio a “farmi entrare nel braccio”. L’attività della Pattuglia è molto legata alla quantità di attività che si fa e bisogna farne tanta. La pattuglia è un gruppo di volo che, per poter esistere, deve volare quotidianamente. L’addestramento comincia con dei primi voli singoli, poi con due aeroplani, poi tre, poi man mano aumenta la difficoltà per arrivare finalmente dopo tanti mesi, a volare da soli nella formazione da 10
La cosa più bella di questo periodo è stata vedere quanto il gruppo di piloti cercasse in tutti i modi di aiutarmi (è quello che si fa sempre con chi entra in pattuglia per ultimo), in modo da portarmi ad essere pronto per esibirmi da solo. C’è proprio una spinta da parte di ciascuno nel cercare di trasmetterti il più possibile le proprie conoscenze, cercando di farti sentire già dal primo giorno parte di una squadra. All’inizio non è una cosa semplice sentirsi integrati in un gruppo di persone così esperte che sono lì da tanti anni…
Se devo essere sincero il momento in cui capii veramente di essere entrato a far parte delle Frecce – me lo ricordo bene – è quando ci fu la prima manifestazione del primo maggio 2003 quando per la prima volta ci si esibisce davanti al pubblico: il Primo Maggio, infatti, sancisce ogni anno l’apertura ufficiale della stagione acrobatica. Mi ricordo che dopo essere uscito dal parcheggio e iniziato il rullaggio, ho visto tutte le migliaia di persone che erano venute a vederci: è lì che per la prima volta ho capito veramente cosa volesse dire far parte di una squadra. In quel momento lì non mi sentivo più come “Simone Pagliani”, ma come uno dei piloti della Pattuglia: non volevo assolutamente sbagliare perché volevo rendere la squadra orgogliosa di me o comunque volevo che non io ma la Pattuglia come gruppo risultasse perfetta… me la ricordo bene questo tipo di sensazione e della responsabilità che ho sentito.
Quando si entra in pattuglia si entra sempre nelle zone posteriori (che sono le posizioni di 7, di 8 e di 9 ovverosia terzo gregario sinistro, terzo destro o secondo fanalino) non perché sono le posizioni più semplici. Anzi! Più si va dietro nella parte posteriore della formazione e più si subiscono tutti i micro movimenti che sono parte normale del volo. Anzi, la formazione è proprio per definizione una correzione continua, non si sta mai immobili… diciamo si cerca di esserlo nella propria piccola bubble di mezzo metro: questo è un po’ il concetto del volo in Pattuglia. Quindi dietro il volo è molto combattuto e difficile, ma nello stesso tempo bellissimo ed emozionante. Io mi ricordo delle stagioni da numero 8 meravigliose perché proprio era “guerra vera”, riferita al tipo di volo e a tutte le correzioni che bisogna fare. Si entra nelle posizioni più arretrate perché “si può sbagliare un filino di più” nel senso che se uno va leggermente fuori posizione in fondo non mette in difficoltà a tutti gli altri. Se dovesse andare fuori posizione uno dei primi gregari – il 2 o il 3 cioè il sinistro o il destro – ovviamente l’errore si amplificherebbe su tutta la formazione.
Ho fatto due anni dal numero 8, poi sono passato a fare il numero 3 (primo gregario destro) e poi ho fatto il 6 che è il leader della seconda sezione e colui che vola al centro della formazione quando questa è riunita. Qui si è aperto per me un po’ un altro mondo perché la posizione del numero 6 ha un fascino e una complessità uniche. Personalmente credo sia un qualcosa che tutti I piloti dovrebbero dovrebbero vedere. È un tipo di volo dove il pilota ha il doppio ruolo: sei gregario quando la formazione è chiusa e diventi poi leader della tua sezione nonché responsabile degli incroci delle sovrapposizioni e poi dei ricongiungimenti.
Quest’ultima è una delle parti più complicate dell’attività numero 6 perché la pattuglia italiana è l’unica che fa tutto di fronte al pubblico e i tempi dei ricongiungimenti dopo le manovre sono veramente ridotti all’osso nel senso si cercano di fare nel minor tempo possibile. Per fare ciò ovviamente c’è bisogno di tanto addestramento.
Quando invece si fanno le manovre di separazione il 6 è in continuo coordinamento con la sezione davanti per chiedere al capo formazione, eventualmente, piccole deviazioni, aggiustamenti di motore, cambio di configurazione con gli aerofreni, ecc. fino alla nuova chiusura della formazione, momento in cui poi il leader si prepara per entrare alla manovra successiva. Quindi c’è un rapporto molto intenso tra numero 1 e numero 6: sono le uniche due persone che parlano durante il volo per il corretto svolgimento di tutte le manovre. In generale, durante il volo chi parla sono 1, 6 e 10 – il solista – e poi ovviamente il Comandante che è a terra in “biga”. Il Comandante dà dei suggerimenti legati al vento, all’orografia, al prestare attenzione ad alcune cose in modo da poter eseguire le manovre il più perfette possibile: lui ha la big picture dal punto di vista del pubblico, è colui appunto che vede meglio il centraggio delle manovre.
Un’attività quindi quella della pattuglia veramente particolare e molto interessante. In quegli anni venne inserita anche una nuova figura chiamata “cuore tricolore”, manovra molto complessa perché è l’unica in cui la Pattuglia effettua un incrocio in alto, nel momento in cui si chiude il cuore. Tutte le manovre sono invece effettuate normalmente con degli incroci in basso dove sia 1 che 6 hanno dei riferimenti a terra su cui basarsi. Le separazioni laterali, anche se dal punto di vista del pubblico sembrano molto molto ridotte, in realtà hanno sempre un margine di sicurezza che è garantito da dei riferimenti a terra, presi appunto per fare gli incroci.
Quella del “cuore tricolore” è, dicevo, una manovra un pochino più complicata. Per effettuare gli incroci in alto, ci sono delle tecniche e un addestramento particolari in modo da assicurare la sicurezza e la spettacolarità della manovra. Tutto in pattuglia parte dalla sicurezza.
L’ufficiale della sicurezza volo – che c’è in ogni gruppo – è il solista. Anche lui, per quanto possa dare l’impressione di fare un volo a volte fuori controllo, in realtà pone la sicurezza è al primo posto: il suo volo, come tutte le manovre della Frecce, viene provato centinaia e centinaia di volte. Anche quando un pilota cambia posizione nella formazione e/o magari deve imparare una nuova manovra, come per esempio il “doppio tonneau”, ci vogliono mesi di voli a doppio comando, sempre con un pilota esperto dietro. Chi impara una nuova manovra deve dimostrare, in caso di errore di riuscire a recuperare la posizione in sicurezza con le tecniche che gli sono state insegnate. Solo allora si è autorizzati a volare quella manovra da soli. Esistono in tutte le manovre ampi margini di sicurezza anche in quelle più particolari come la “bomba”, dove c’è un incrocio molto d’effetto con gli aeroplani che arrivano da 9 direzioni diverse a bassissima quota. Ognuno ha il suo riferimento: non c’è mai il dubbio di “chi” deve fare “cosa”, o di “chi” deve passare “dove”. Questo fa sì che tutte le manovre appunto vengano svolte in sicurezza. Tali tecniche permettono di affrontare il volo con la necessaria “tranquillità” da parte dei piloti che non hanno mai la percezione di sentirsi coinvolti in un tipo di attività “pericolosa”. Questo tipo di addestramento garantisce sempre un ampio margine di sicurezza. Il minimo rischio, ovviamente, esiste sempre non si può mai eliminarlo del tutto neanche su un aeroplano civile: la cosa importante riguardo al rischio è sapere come gestirlo, cosa che si fa in vari modi; attraverso un costante addestramento, attraverso la ridondanza dei sistemi sugli aeroplani, attraverso l’acquisizione di esperienza ecc. L’importante è comunque considerarlo sempre e fare in modo di tenerlo il più basso possibile.
Con la Pattuglia abbiamo volato un po’ in mezzo mondo. Siamo stati nel 2003 per la prima volta a Mosca,ove non c’era mai stata ancora nessuna pattuglia occidentale e quindi è stato un evento molto particolare. Negli anni passati in pattuglia abbiamo volato in tutta Europa con eventi anche in Africa ed in medio oriente: in ogni posto abbiamo sempre incontrato un abbraccio da parte di tutti, sia dei connazionali che vivono all’estero sia delle popolazioni locali che ci hanno sempre apprezzato e ringraziato per l’attività che abbiamo fatto.
Ci sono anche tantissimi Club Frecce Tricolori in tutto il mondo che ci supportano da sempre con grande affetto.
Devo dire che come “Frecce Tricolori” siamo sempre stati coccolati un po’ dappertutto e questa è una bellissima cosa, che però fa sentire la responsabilità del cercare di lavorare sempre bene al 100%.
Il volo con la pattuglia è abbastanza demanding: dura più o meno 23-25 minuti a seconda delle condizioni in cui le Frecce Tricolori si trovano ad effettuare l’esibizione. Sono 25 minuti in cui uno è sempre sotto gli occhi di tutti e qualunque piccolo errore viene visto, non c’è mai la possibilità di riposarsi anche se potrebbe sembrare strano.
Mi viene in mente per esempio il pilota di Formula 1 che magari nel rettilineo tira un attimo il respiro e rilassa i muscoli delle braccia. In Pattuglia volando a un metro e mezzo l’uno dall’altro non è possibile farlo anche perché le accelerazioni a cui si viene sottoposti sono notevoli e continue. Questo è la ragione per cui, dopo i 23 minuti di volo, si vedono spesso i piloti scendere dal velivolo che sembrano aver fatto un bagno in piscina: in realtà il motivo è appunto che c’è tanta pressione a livello fisico, c’è il fatto di garantire una prestazione senza poter tirare il fiato, considerando anche che spesso si deve combattere anche con vento e turbolenza. Come in tutti i lavori c’è poi la situazione personale: ci sono giornate in cui uno di sveglia al 110% e altre in cui per garantire la stessa prestazione bisogna faticare di più.
Addestratore degli "Al Fursan"
L’attività con la Pattuglia è durata fino al 2009 quando appunto ho fatto la mia ultima stagione da numero 6. In quel periodo, da parte degli Emirati Arabi Uniti c’era l’idea di costituire una pattuglia acrobatica e, nell’ambiente, si stava iniziando a capire che avrebbero voluto chiedere aiuto all’Italia per l’addestramento. Così è stato!
Finita quindi l’attività con la Pattuglia ormai ero convinto di aver appeso il casco al chiodo per il futuro. Invece il casco l’ho ripreso pochi mesi dopo perché gli Emirati Arabi Uniti avevano ufficializzato la decisione di formare la pattuglia che avrebbe poi preso il nome di “Al Fursan”. Insieme ad altri sei ex piloti della pattuglia, fui selezionato per fare da istruttore agli Emiratini.
Incominciò così un’altra pagina devo dire molto interessante dal punto di vista aeronautico: un conto è entrare a far parte di una pattuglia dove ci sono 9 piloti gia esperti, un altro è cominciare da zero con 7 piloti creando una cosa dal niente. Ci avevano dato carta bianca su tutto quanto, per cui ci siamo dovuti inventare da zero un tipo di addestramento (cosa non era mai stata fatta prima) per poter portare entro due anni (questi i tempi che ci erano stati dati) questa nuova pattuglia a esibirsi da sola in una manifestazione aerea.
Il nostro primo obiettivo era quello di far sì che si esibissero con un programma bello da vedere e, bello da volare (anche loro usano gli stessi aerei delle Frecce Tricolori: gli MB 339). Ho rispolverato quella parte creativa che avevo quando ero al 10° gruppo su F-104, nel senso che ognuno di noi ha potuto mettere prima su carta quelle che potevano essere le nuove figure per poi provarle in volo e trasmetterle ai piloti emiratini.
Creando questa pattuglia da zero abbiamo cercato di trovare un bilanciamento giusto tra spettacolarità e difficoltà perché manovre molto difficili non è detto che siano spettacolari, o meglio, potrebbero esserle, ma per poterle effettuare c’è bisogno di più esperienza. Come dicevo prima, ad esempio, il nostro “cuore tricolore” è fatto partendo dal basso con incrocio in alto: a loro l’abbiamo fatto fare al contrario ovvero sia con l’apertura in alto e l’incrocio in basso che è molto più semplice. L’obiettivo era di partire all’inizio con manovre spettacolari si ma magari un po’ più semplici, che dessero la possibilità a loro di poter crescere piano piano, per sviluppare poi col tempo qualcosa di nuovo negli anni successivi. Cosa che è successa perché attualmente il programma è in parte diverso e ovviamente hanno aumentato livello di difficoltà
L’attività con loro è stata molto stimolante anche a livello umano perché la cultura è completamente diversa dalla nostra, il modo di interfacciarsi è anch’esso differente: ad esempio, il modo per riprendere il pilota che commette un piccolo fuori posizione, cambia da come si fa tra connazionali. Tra di noi italiani cioè c’è un modo molto più diretto di dirsi le cose: con loro, specie all’inizio, abbiamo dovuto trovare un po’ le parole giuste per poterli far rendere al meglio. Quello che deve fare l’istruttore infatti è proprio questo, cercare di capire chi si ha davanti e trovare il modo per far rendere a lui la sua massima prestazione.
Questa attività di addestramento con gli “Al Fursan” è iniziata a Rivolto: loro sono venuti qualche mese a Rivolto per l’infarinatura iniziale, volando con 1 o 2 aeroplani. Dopodiché ci siamo trasferiti noi a Dubai, dove siamo stati un anno e mezzo per proseguire l’addestramento.
Le condizioni erano completamente diverse da quelle a cui eravamo abituati: il volo viene effettuato in ambiente sabbioso (la loro base è in una zona desertica della città) a cui si legano problematiche come la limitazione della visibilità; la temperatura che vi lascio immaginare… Usualmente in fase di rullaggio col 339 tenevamo il tettuccio semiaperto in modo da avere un minimo di aria (il motore è al minimo e non riesce a condizionare l’aeroplano), per poi chiuderlo prima di decollare. È successo a volte che, a causa della temperatura così estrema, si dilatassero leggermente i meccanismi del tettuccio, non permettendoci di chiuderlo al punto attesa. Abbiamo dovuto cancellare dei voli per questo motivo. A causa delle alte temperature poi si doveva salire e scendere dall’aeroplano rigorosamente con i guanti indosso perché toccare la fusoliera nera a 50° non era decisamente salutare.
Abbiamo lasciato i piloti degli “Al Fursan” nel 2012 ormai capaci di volare da soli. Abbiamo anche fatto in modo che fossero abilitati al posto posteriore per dar la possibilità di poter trasferire la loro esperienza a coloro che sarebbero arrivati dopo
Terminata questa esperienza, ho lasciato poi l’Aeronautica Militare.