Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre 2020
Pietro Purpura racconta
da “55 anni di emozioni..”, a cura di Alessandro Cornacchini, 2015, p. 124
Correva l’anno 1966 e ci trovavamo a Rimini. Dovevamo fare la manifestazione a Lugo di Romagna ed ero piuttosto tranquillo. Ero riserva. Arrivai alla PAN sul finire del 1964, l’anno successivo completai il mio addestramento e trovai la mia posizione nella formazione: ero un sinistro, avrei potuto ricoprire, quindi, le posizioni “2” e “4”.
Stavo lì in attesa che qualcuno dei titolari più anziani lasciasse le “Frecce Tricolori”, come previsto dal normale avvicendamento dei piloti o per fattori “esterni” come la chiamata in Alitalia. Ero stato trasferito a Rivolto per questo. A Lugo non dovevo volare, c’erano tutti i titolari ed erano in perfetta salute, quindi potevo godermi in relax quella trasferta. La sera prima della manifestazione ricevo una chiamata dal Comandante Di Lollo, che mi comunica: «Domani tocca a te».
Cos’era successo? Giardini si era banalmente infortunato a un piede e non era nelle condizioni di poter volare, quindi sarei entrato io in formazione: numero 4. La notizia mi fece naturalmente piacere, considerata anche l’entità non grave dell’incidente di Giardini, e mi prediposi mentalmente all’impegno dell’indomani. Sarebbe stato un giorno importante per me, era la mia occasione, avrei potuto dimostrare finalmente che ero maturo per un posto da titolare.
Il giorno dell’esibizione feci la mia parte al meglio che potevo, concentrato, preciso; e devo essere piaciuto a Di Lollo perché decise di farmi volare da subito tutte le manifestazioni facendo invece alternare altri due gregari titolari.
Nel 1972, poi, fui designato come solista. Perfezionai con i colleghi il mio programma che eseguivo in modo fluido, senza tanti problemi.
Quello che c’è da dire è che mi è stato chiesto varie volte d’interrompere il mio lavoro in formazione, anche perché fui nominato dal Comandante, Danilo Franzoi, responsabile dell’addestramento. Quel ruolo, oggi così ben codificato, è nato sul campo, da un esigenza rilevata dal Comandante del tempo. Rientravo, quindi, in formazione ogni volta che se ne presentava la necessità e alternavo perciò non di rado il mio lavoro a terra con quello in volo. Ciò mi ha permesso di maturare un’esperienza completa che mi aiutava molto in ogni circostanza e in ogni aspetto della mia attività: a terra o in volo.
E, a posteriori, devo dire che il mio lavoro in biga, svolto con naturalezza e anche una certa essenzialità, doveva essere efficace perché, anche dopo aver lasciato la Pattuglia, quando venivo a trovare gli amici in base, tra il serio e il faceto, mi chiedevano, con cuffia e microfono, di tornare a fare il mestiere di un tempo.