Ultimo aggiornamento: 22 Giugno 2020
di auto.it, 17 settembre 2010 [ fonte ]
Da cinquant’anni fanno alzare occhi carichi di stupore e meraviglia a bambini di tutte le età. Le Frecce Tricolori sono una delle immagini più forti e positive dell’Italia nel mondo, il fiore all’occhiello dell’Aeronautica Militare. Un reparto che è summa e sintesi di tutti gli altri, ma è insieme qualcosa di più e di diverso dalla somma delle parti. Perché piega l’addestramento all’estetica, perché si fa veicolo del bello, perché rende l’acciaio degli aerei strumento di effimere e incantevoli magie tricolori.
«La reazione che riceviamo costantemente dimostra l’entusiasmo della gente» spiega il comandante del gruppo, il Tenente Colonnello Marco Lant. «La loro commozione è davvero toccante. Noi portiamo un messaggio sul valore universale del gruppo, sull’importanza della dedizione, dell’addestramento, del fare il proprio lavoro con passione, è un’esperienza totalizzante. Siamo fortunati a poter godere di una gratificazione potente e immediata, ma il nostro messaggio è anche essere il simbolo delle specialità di tutte le Forze Armate».
Un messaggio che riesce a superare barriere e confini, come racconta il Maggiore Simone Cavelli, che ha il ruolo di solista. «Quello che più scalda il cuore è sentire quando l’apprezzamento arriva da stranieri, che in genere non hanno un’immagine molto positiva degli italiani.Trasmettere le capacità della nazione, ciò che davvero l’Italia rappresenta come Paese è impagabile».
Un’esibizione, più di altre, è rimasta impressa nella memoria e testimonia la forza di quest’immagine. «Era il 2004 a Beirut: ricevemmo un’accoglienza spettacolare. È stato doloroso, poi, vedere solo pochi mesi dopo quegli stessi luoghi, quello stesso piazzale dove avevamo parcheggiato gli aerei, bombardati per la guerra contro Israele».
Un messaggio “al quadrato”, quello delle Frecce Tricolori, che volano su aerei che hanno fatto la storia dell’Aeronautica, gli Aermacchi MB 339A/P.A.N. Progettato dall’ingegner Ermanno Bazzocchi, rappresenta l’evoluzione dell’MB 326, addestratore a getto costruito in oltre 700 esemplari dal 1979 e adottato dalle forze aeree di Argentina, Perù, Malaysia, Nigeria, Dubai, Ghana, Nuova Zelanda ed Eritrea.
Il punto di forza delle Frecce Tricolori è il rispetto della tradizione. «In 50 anni di volo acrobatico» prosegue il comandante Lant, «il programma nella sua ossatura è rimasto lo stesso, le innovazioni sono sempre misurate: una nuova manovra ogni 5,6,10 anni. L’ultima è stata inserita nel 2006 perché andare a toccare il programma vuol dire in un certo senso distruggerlo: la fine di una manovra coincide in genere con l’inizio di quella successiva».
Coordinare le varie manovre che costituiscono l’esibizione, riuscire a mantenere la stessa intensità lungo tutti i venticinque minuti su cui si estende il volo acrobatico è il compito principale del solista. «Ho due ruoli», spiega Cavelli: «uno è più evidente, presentare al pubblico le capacità dell’aeroplano. L’altro è quello di riempire i buchi, di fasare al meglio le alternanze tra le varie evoluzioni di gruppo».
Diverso il ruolo del comandante Lant. «Il ruolo di comandante è rivolto verso l’esterno, rappresenta il punto di vista dello spettatore durante il volo. È rivolto agli aspetti gestionali, alla messa a punto delle misure di sicurezza fino alle pubbliche relazioni».
Due storie simili, quelle del tenente colonnello Lant e del maggiore Cavelli, storie che parlano di dedizione e di amore per il volo, di un destino già scritto e scoperto da bambini. Perché, come scriveva Leonardo da Vinci, “una volta che hai conosciuto il volo, camminerai sulla terra con gli occhi rivolti sempre in alto, perché là sei stato, e là agogni a tornare”.
«Sono nato vicino a un aeroporto: non potevo che fare il pilota», racconta Lant. «Guardavo sempre gli aerei» fa eco Cavelli. «Quando sono esplosi i primi simulatori di volo io cercavo di capire come si poteva atterrare: così è cominciato tutto. Ed è andato avanti, per poi esplodere, come per tutta la mia generazione, con l’uscita di Top Gun, che ha attirato tantissimi giovani vicino ai campi di aviazione».
Un amore che li ha spinti a entrare nell’Aeronautica Militare: Lant ha passato dieci anni tra reparti operativi e la scuola di volo, Cavelli era di stanza a Ghedi con il 154°Gruppo, 6° Stormo prima di iniziare le selezioni per il 313° Gruppo, le Frecce Tricolori. «Ero curioso», racconta Cavelli, «di capire cosa ci fosse dietro, cosa ci fosse dentro le Frecce Tricolori, perché fuori, anche all’interno dell’Aeronautica, non si ha una chiara percezione di cosa si faccia: e ho scoperto che era proprio quello che faceva per me».
Per poter partecipare alle selezioni, spiega il comandante Lant, «servono circa mille ore di volo, qualche esperienza di volo in combattimento, una determinata anzianità di grado. A questi prerequisiti vanno associate caratteristiche personali, più difficili da valutare. Per questo, durante le selezioni, si sta una settimana insieme, si fanno svariate prove, colloqui, presentazioni. Si ricerca soprattutto l’equilibrio della persona, la capacità e l’attitudine a condividere».
In fondo, come diceva Sir Walter Raleigh, “il motore è il cuore dell’aeroplano ma il pilota è la sua anima”.
La mia prima volta…
Magg.Pil. Simone CAVELLI, solista
«Ricordo che pensai: “questa cosa non si può fare!”. La vedevo come una cosa difficile, ed è giusto che sia così perché ti fa iniziare l’addestramento con la giusta attenzione. E invece è andato tutto per il meglio».
Ten.Col.Pil. Marco LANT, comandante
«Ricordo due prime volte: la prima da gregario, da “9”, l’impatto della presenza del pubblico, che è l’unica cosa che non puoi simulare nei test, è stato incredibile. La tensione cresceva, ma al rilascio dei freni è stato come essere ricatapultato nell’addestramento perché il lavoro del gregario consiste soprattutto nel mantenere la posizione. Le cose sono cambiate la prima volta da capo formazione, il 1° maggio 2007. Perché sono diventato regista del volo, con un notevole carico di responsabilità: questa rimane una delle esibizioni più belle della mia vita».