Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio 2022

Il caccia delle Frecce, esposto a Seattle è rientrato in Italia: ad attenderlo c’era il suo pilota

di Alessandro Fulloni
da corriere.it, 8 febbraio 2002 [ fonte ]

Il ritorno in Italia, lunedì mattina, di «Pony 10» — il caccia delle Frecce Tricolori sul quale negli anni Ottanta volò l’ex solista della Pan Angelo Boscolo, che oggi ha 74 anni — è un’avventura romantica che ha il suo snodo di partenza a Seattle, Stato di Washington, nella costa occidentale degli Usa. Il destino dell’aereo, esposto per una trentina d’anni al museo del Volo, era quello del degrado: lasciato all’aperto, esposto alle intemperie. Forse addirittura alla rottamazione: segato e fatto a pezzi, con la ferraglia venduta a chili per farne chissà che. E tanti saluti a quel pezzo di storia aeronautica che aveva emozionato gli italiani, sfrecciando con i fumi biancorossoverdi alle parate aeree nei cieli di Roma in occasione del 2 giugno e agli innumerevoli air show in giro per la Penisola.

Di quei Fiat G91 color blu notte che caratterizza l’elegante livrea della Pattuglia acrobatica nazionale non ne esistevano più, tutti radiati — fuori dagli impieghi operativi e demoliti — per sopraggiunti limiti d’età dopo il 1982. Quello esposto a Seattle era l’unico «sopravvissuto» oltre a quello, curatissimo, esposto nella base d’addestramento di Rivolto: per gli appassionati, una specie di monumento, l’emblema della tecnica aeronautica italiana apprezzata in tutto il mondo e apprezzato pure, al tempo della «guerra fredda», in aviazioni straniere come la Luftwaffe. Ecco perché quando quelli di Volandia — il museo del Volo alle porte di Malpensa, uno dei più belli d’Europa se non del mondo e circa 150 mila biglietti staccati annualmente nell’era pre Covid — hanno saputo che gli americani volevano sbarazzarsene perché di quel ferrovecchio italiano non sapevano più che farsene, hanno cominciato ad architettare un piano non semplice per portarlo a casa loro. Ed esporlo così tra i padiglioni della vecchia industria Caproni che oggi ospitano un centinaio di velivoli e altri diavolerie fantascientifiche, dai vecchi bombardieri impiegati nella Grande Guerra alle componenti specialistiche adoperate dalla Nasa nei viaggi nello Spazio.

Dopo interminabili trattative, da Seattle — dove la Boeing ha il suo quartier generale della Boeing che ha una contatto stretto con il museo locale — hanno dato l’ok alla riconsegna. Il caccia è stato smontato, infilato in un container, trasportato su treno e tir sino a Newark dove è stato caricato su un cargo approdato sabato a Genova. Terminato lo «sdoganamento», il container è finalmente arrivato lunedì a Volandia. Dove ad attenderlo c’era il comandante Boscolo, ex solista della Pan, un pilota dal curriculum sterminato che lui sintetizza così: «Ho circa 28 mila ore di volo. Ma io preferisco dividerle tra le 25 mila totalizzate con tutti gli altri aerei su cui sono stato e le 3 mila a bordo di questo qui, un vecchio amico ritrovato». E quando scandisce le parole «questo qui, un vecchio amico ritrovato» si gira, con gli occhi che diventano visibilmente rossi, e poggia le mani sul muso del Fiat.

Fossimo nel calcio, il solista sarebbe inevitabilmente un «numero 7»: un poeta del gol tipo Claudio Sala, un funambolo come Bruno Conti, un’aletta imprendibile alla Franco Causio. Ma nel mondo dei pazzi per il volo il solista è quello che tra una manovra e l’altra dei nove componenti della formazione a rombo delle Frecce (bombe, incroci, cuori) incanta con quelle piroette e quei mozzafiato «dribbling» tra le nuvole, uno spettacolo nello spettacolo con tonneaux, incroci, voli a rovescio sfrecciando a un paio di metri dalla pista. «Proprio in uno di questi, durante una rassegna in Germania — è il ricordo del pilota —“Pony 10” mi salvò la vita quando fui colpito dai gabbiani» e a certe velocità quegli impatti sono come micidiali colpi di contraerea. «Il muso era sforacchiato da una raffica di grossi buchi ma il G91 ha resistito». Il resto lo ha fatto la freddezza di Boscolo che ha riportato in assetto l’aereo, atterrando poi come se nulla fosse accaduto.

Aprire il container lunedì pomeriggio è stata una festa — c’erano pure degli studenti di un istituto aeronautico toscano qui a Malpensa per uno stage in alternanza scuola-lavoro — che ha chiuso la complicata operazione di rientro. E a raccontarla è Gregory Alegi, storico dell’aeronautica, professore alla Luiss dove insegna storia delle Americhe, e curatore delle collezioni di Volandia. Di «Pony 10» sa quasi tutto: «Lo vidi quando fu impacchettato, nel 1990, per essere portato al Museum of Flight di Seattle nell’ambito di un accordo tra la Boeing e Aeritalia. Inoltre una decina di anni fa intavolai i primi approcci per riaverlo qui a Malpensa». Convincere gli americani non è stato semplice. Del Fiat non sapevano più che farsene tanto che da un padiglione interno, con il tempo, era stato spostato all’esterno, esposto alle intemperie. Propensi alla rottamazione, ci avevano ripensato quando da Volandia avevano mostrato l’interesse a riprenderselo. Alzando però il «prezzo». Ovvero chiedendo in cambio i progetti originali di un vecchio Caproni esposto a Seattle — a vederlo oggi sembra un grosso aereo a pedali, ma nel 1918 era un bombardiere strategico tra i più avveniristici — che però gli eredi della celebre famiglia di costruttori hanno preferito non concedere.

Lo «stallo» nelle manovre è stato risolto con un gesto di buona volontà da parte americana, «convinti alla fine che il posto giusto dove esporre “Pony 10” fosse proprio Volandia» racconta l’avvocato Claudio Tovaglieri, presidente del comitato scientifico del museo e instancabile tessitore della trattativa. Addirittura alla fine lo hanno regalato, impegnandosi anche a smontarlo per lo stoccaggio nel container. Quanto alle spese di viaggio, risolutivo è stato anche Doug Matthews — imprenditore aeronautico innamorato dell’Italia — che ha regalato 10.000 dollari al museo varesino per pagare le spese logistiche mentre il resto — la soluzione delle inevitabili beghe burocratiche dell’ultimo minuto— lo hanno fatto Moreno Aguiari («ambasciatore» tra Seattle e Malpensa) e Fabio Martignoni che con la sua Trismare ha curato il trasporto. «Ora possiamo finalmente ampliare la nostra collezione con un velivolo di grande valore storico» è l’orgogliosa sintesi del presidente di Volandia Marco Reguzzoni. Adesso non resta che curare l’assemblaggio di «Pony 10», operazione che verrà fatta in quell’hangar dove un gruppo di volontari sta cimentandosi, tra l’altro, nella mastodontica ricostruzione del Savoia S. 55 con cui Italo Balbo compì la trasvolata atlantica del 1933.

Curioso, questo incrociarsi di vita e rimandi storici: nel 1983 Angelo Boscolo —poi comandante Alitalia e ancora oggi istruttore di volo sugli Airbus — con la formazione delle Alpi Eagles (gruppo acrobatico formato da ex piloti militari e civili) ripercorse proprio quell’itinerario (Orbetello, Reykjavík, Chicago e New York) in occasione del Cinquantenario. Le ali tricolori del G91 stanno accanto ai piani di coda dell’idrovolante, pure questi biancorossoverdi, in via di ricostruzione, esattamente con la sapienza artigianale impiegata allora, come fosse un gigantesco aeromodello in balsa. «Un spunto da narrare agli studenti che vengono in visita qui al museo» dice il pilota. Che da pensionato, almeno una volta a settimana è a Volandia per fare la guida museale, accompagnando le comitive da un padiglione all’altro. E quando i ragazzi gli chiedono cosa sia il «solista» delle Frecce, lui sorrride, la prende alla larga iniziando così: «Adesso vi racconto una storia…».

Le interviste contenute nel video

Angelo Boscolo

Comandante Boscolo è emozionato?
Un pochino. Ho ritrovato un vecchio amico.

Quante ore di volo ha fatto su questo vecchio amico?
Sul G.91, ho fatto 3000 ore.

Che ricordi ha di questo velivolo?
Su questo velivolo io c’ho volato negli ultimi due anni in cui ero alle Frecce, nel 78 e 79. Abbiamo passato un attimo terribile mentre facevamo il volo prova del tutto il team, in un aeroporto a Nordholz, un aeroporto del sul Mare del Nord della Marina tedesca. Passavo rovescio sulla pista e un gabbiano ha pensato bene di venire a bussare sulla fiancata sinistra

Ce la può indicare?
Certo è qui…   Il gabbiano è riuscito a sfondare questa paratia e si è bloccato dentro dove ci sono gli apparati radio.

Oggi lei qui a Volandia fa una insolita attività… ce la vuole raccontare?
Io sono uno dei volontari di Volandia. I volontari di volandia portano in giro il pubblico e chi vuole vedere e visitare il museo facendo delle visite guidate, spiegando la vita degli aeroplani. Sono in pensione e a tempo perso – perché lavoro ancora – vengo qui almeno una / due volte alla settimana.

A questi studenti e appassionati di volo potrà finalmente mostrare il suo FIAT G.91.
Certo finalmente tra un po’, non appena gli avremo dato una lucidata, lo risistemeremo e andrà in mostra nella parte dei caccia dell’Aeronautica Militare.

Claudio Tovaglieri

Com’è finito il Fiat G.91 delle Frecce Tricolori a Seattle e per quale motivo lo riportate qui a Volandia.
Stiamo parlando di una direi doppia donazione: il museo della Boeing di Seattle quando iniziò ad aprire i suoi battenti, ebbe bisogno di aeroplani e la Boeing si rivolse ai propri fornitori, tra questi FIAT aviazione e Aeritalia, i quali donarono questo splendido Fiat G91 della Pattuglia Nazionale.

Perché avete chiesto il ritorno del velivolo qui a Volandia.
È una storia che si stempera in circa 30 anni quindi possiamo ricordare che il G91 andò dall’Italia agli Stati Uniti nei primi anni novanta e poi abbiamo questa splendida realtà di volandia che a sua volta apre il museo negli anni 2007-2008. All’epoca mancavano gli aeroplani e si cerco una aggancio con i principali musei del mondo. Tra questi il museo Boeing che appunto aveva un G.91 PAN, quello che cercavamo.

Luciano Azzimonti

Dove sistemerete il Fiat G91?
Lo sistemeremo nell’ala fissa, di fronte all’altro G.91 “Gina” fra le F84 e l’F86K che abbiamo qua.

È un pezzo importante per la vostra collezione.
Direi di sì, non solo per la nostra collezione ma perché il FIAT G.91 PAN ha rappresentato per l’Italia nella ricostruzione industriale ma un aereo importante infatti tutti sanno che l’aereo Fiat 91 è stato il vincitore di un concorso NATO ed ha equipaggiato le forze aeree, oltre che dell’Italia, del Portogallo e della Germania e, nella versione PAN, ha equipaggiato la pattuglia acrobatica con dei personaggi che sono presenti anche qui a Volandia come volontari.

Foto dal profilo Facebook di Volandia

La storia del FIAT G-91 di Angelo Boscolo

testo e foto di Franco Sella
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Quanto scrivo è frutto in parte di ricordi personali in quanto quando il velivolo arrivò a Torino nel 1988 (credo a Novembre) lavoravo come giovane ingegnere aeronautico nello stabilimento Aeritalia di Corso Marche, in parte attraverso le immagini conservate da mio padre, scomparso alcuni anni fa, che ebbe un ruolo primario come responsabile della collocazione del G.91 a Torino, a New York ed a Seattle.

Ho inserito una fotografia del ‘Pony 10’ ripresa a Mildenhall nel settembre 1978 (prima foto, ndr). Nel 1988 fu selezionato per essere collocato come gate guardian di fronte a quello che allora era l’ingresso principale dello stabilimento Aeritalia di Corso Marche 41 a Torino (foto dalla 2 alla 5, ndr).

Trascorso poco più di un un anno dalla sistemazione iniziale venne organizzato a New York, presso il Museo della portaerei Intrepid, una mostra dedicata all’ aviazione italiana sotto il nome di “Operation Intrepid – Italian Aerospace Show”. La dirigenza dell’ Aeritalia decise di spostare il G.91 da Torino a New York. Purtroppo non ho fotografie del Pony 10 in questa collocazione.

A conclusione dell’evento di New York fu presa, sempre da parte della direzione dell’ Aeritalia, la decisione di donare il velivolo al Museo di Seattle. Ricordo che all’epoca la decisione fu fortemente contrastata dalla dirigenza di stabilimento di Torino che si vide privata di un simbolo molto significativo del ruolo dello stabilimento nello sviluppo dell’ industria aeronautica italiana. D’altra parte da parte del museo stesso non ci fu un grande entusiasmo ad accogliere e dedicare spazio prezioso ad un velivolo che poco rappresentava per il pubblico americano.

Fatto sta che il velivolo fu poi trasportato via terra a Seattle ed inizialmente collocato all’interno del museo per poi essere esposto all’esterno dove lo stato di conservazione degradò rapidamente.

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