(Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio 2022)

di Mirella Molinari
da piacenzadiario.it, 6 febbraio 2002 [ fonte ]

Dimitri Marzaroli, piacentino, è stato Solista della Pattuglia Acrobatica Nazionale dell’Aeronautica Militare Italiana dal 1999 al 2002.

Quindi – lo incalzo subito io – se le Frecce Tricolori sono tra le pattuglie acrobatiche più prestigiose al mondo, e tu eri la punta di diamante, si può dire che in quel periodo sei stato il miglior pilota del mondo, o giù di lì? E nessuno a Piacenza ha mai raccontato la tua storia!?

Lui si schernisce, ricordiamo insieme qualche breve intervista che rilasciò a margine di un’esibizione con le Frecce Tricolori a San Damiano. Ma è un aspetto a cui non dà peso. Non ne ha bisogno. È già ampiamente appagato da quello che la vita gli ha riservato nei suoi primi 50 anni e in Pattuglia ha imparato ad evitare i protagonismi, in un lavoro di squadra che è modello di team autentico.

Dimitri Marzaroli, classe 1969, ha la concretezza delle sue origini, Ponte dell’Olio e Groppallo. Ma ha in sé anche una componente di sogno (realizzato) che rende magica la sua storia. Dalle macchine volanti in giro nello spazio, di cui si “nutriva” da bambino sfogliando un’enciclopedia dedicata al cielo e alle sue meraviglie, è arrivato al vertice della Pattuglia acrobatica più numerosa al mondo. Probabilmente la migliore in assoluto. Sollecitato a raccontare emozioni e successi di una vita “una spanna sopra” non tradisce alcun compiacimento o autocelebrazione. Solare, sicuro di sé, vincente già nello sguardo, si limita a ricordare con orgoglio le tappe di un’ascesa guadagnata con impegno attraverso prove di ogni tipo: da quelle fisiche, attitudinali, fino all’addestramento continuo, in contesti rigorosi ed estremamente selettivi.

Un’eccellenza conquistata giorno dopo giorno e affidata ad un ingrediente su tutti: la passione. La stessa che rimane anche oggi, nonostante il suo lavoro, ora in ambito civile, per una compagnia di aviazione generale, sia molto cambiato.

Partiamo da capo. Come è nata l’idea di diventare pilota di aereo? Un sogno piuttosto frequente tra i bambini, ma che per molti rimane tale.

In realtà da bambino ero appassionato di astronomia e di tutto ciò che riguardava il cielo, le stelle. Ma è solo negli anni del Liceo, quando ho avuto modo di frequentare un corso informativo di cultura aeronautica, che ho avuto la certezza che questa fosse la mia strada: il cielo e la tecnologia per esplorarlo, il volo in ambito militare,  e poi una professione che fosse dinamica e operativa.

Riassumo quello che é accaduto dopo. L’Accademia a Pozzuoli nel 1989, dopo aver passato il concorso allievi ufficiali piloti di complemento, ti ha quindi preparato ad una carriera destinata al volo, e a 21 anni eri già operativo in reparto. Con il brevetto di pilota militare, come Cap. Dimitri Marzaroli, sei arrivato a far pare dei reparti da caccia, e dopo un ulteriore addestramento avanzato come pilota da combattimento, sei stato infine assegnato all’F104 nella scuola di Grosseto e da lì al reperto operativo di difesa aerea a Rimini.

Dopo tutto questo, come sei arrivato a far parte della Pattuglia Acrobatica Nazionale?

La scuola di Grosseto era un bacino d’eccellenza da cui la Pattuglia attingeva da anni in modo diretto, attraverso valutazioni e giudizi sul campo; il mio Comandante, ad esempio, ne aveva fatto parte. Nel mio caso però, secondo modalità definite a partire da quell’anno, dovetti affrontare anche una selezione e passarono mesi prima che arrivasse la certezza di essere stato inserito nelle Frecce. A novembre del 1994, quando non ci speravo più, finalmente entrai a far parte della Pattuglia Acrobatica, con sede operativa presso l’aeroporto di Rivolto (UD).

Cosa vuol dire far parte delle Frecce Tricolore? Quali cambiamenti ha portato questo incarico nella tua vita?

Non cambia tutto, ma certo la vita sia professionale che privata cambiano in modo sostanziale. In reparto da combattimento hai un’attività operativa, ma resta riservata, quasi anonima; entrando a far parte delle Frecce Tricolori passi in una formazione di alta visibilità, spettacolare, destinata ad esibirsi di fronte al pubblico di tutto il mondo. Per quanto riguarda la parte operativa, le basi sono quelle che i piloti dei reparti da caccia hanno già, ma portate all’estremo, affinate, ulteriormente sviluppate  in funzione di un air show. Un impegno importante perché si vola tre/quattro volte al giorno per una stagione che va da maggio a novembre, con esibizioni anche all’estero.

L’esperienza come solista, con quelle acrobazie, come è stata?

Sono stato nelle Frecce Tricolori dal 1994 al 2002 e come solista dal 1999 a fine incarico. Le acrobazie? Si tratta di un programma consolidato nel tempo, con manovre che arrivano dal passato e che vengono affidate da un solista all’altro con un affiancamento a inizio  addestramento. Un passaggio del testimone anche operativo/tecnico, che va dalle basi generali fino ai dettagli e finisce nel momento in cui il nuovo incaricato è pronto; a quel punto viene seguito da terra dal Comandante e dal solista che lo ha preceduto.

Incidenti, problemi in volo, paura?

Mi chiedono spesso se mi è capitato di avere paura in volo, durante le acrobazie che lasciano con il fiato sospeso gran parte del pubblico…no, nessuna paura; non c’è tempo e modo di averne, durante l’esibizione si è completamente concentrati su quello che si sta facendo. Mi è capitato qualche volta, dopo il volo, riguardando alcuni passaggi in video, di pensare che mi era andata bene, che forse in qualche caso avevo corso un rischio. Del resto, non è un’attività priva di rischi, è ovvio, ci sono margini di errore. Si opera su velivoli che  sono macchine delicate, con strumenti canonici che servono per gestire le manovre, ma non così sofisticati tecnologicamente come si potrebbe pensare.  Il volo è a vista, con riferimenti a terra, quindi soggetto a infinite variabili dovute al meteo e a tanti aspetti che implicano una continua correzione, sincronizzazione e una straordinaria attenzione al dettaglio. Ogni manifestazione è diversa; ogni volo, pur ripetendo figure uguali, è a sé stante.

Perché hai lasciato la Pattuglia e, pochi anni dopo, anche l’Aeronautica Militare?

Lasciare la Pattuglia è fisiologico, fa parte del percorso di carriera e quella del solista ovviamente è una posizione a tempo, destinata ad un inevitabile avvicendamento. Dopo l’esperienza in Pattuglia, sono quindi rientrato al mio reparto, a Cervia, nel 2002 e ci sono rimasto fino al 2008. Le prospettive che avevo restando nell’Areonautica Militare non corrispondevano alle mie aspettative; diciamo che il mio desiderio di continuare a fare il pilota da combattimento in reparto operativo doveva fare i conti con i parametri anagrafici stabiliti per questi ruoli; in pratica a 39 anni ero considerato già “vecchio”.

Inoltre, aspetto non secondario, il mio reparto avrebbe chiuso di lì a poco (nel 2010). Ho scelto quindi di spostarmi nell’aviazione civile commerciale. Ho colto un’opportunità interessante che è arrivata nel momento giusto e che mi ha garantito soprattutto stabilità, anche in prospettiva; un aspetto importante per me e per la mia famiglia, in quella fase della carriera.

Dopo anni adrenalina, ora, un lavoro di routine?

Diciamo che ho iniziato a lavorare, nel senso che, anche se resta molta della passione che mi ha portato a scegliere questa professione, quello che faccio oggi è soprattutto un lavoro. Da 14 anni mi occupo di voli programmati e di routine; sono impegnato in corsi di aggiornamento e svolgo il mio ruolo con la serietà che ho applicato da sempre. Certo l’adrenalina non è quella di un tempo, ma posso dire di essere comunque un privilegiato.

Le Frecce Tricolori sono, come altre compagini nazionali, simbolo dell’Italia. Uno straordinario biglietto da visita del nostro Paese nel mondo e l’immagine della Patria, dei suoi valori, di ciò che ancora resta di radici comuni. È davvero così? Tu lo sentivi quando ti esibivi con il tricolore?

Assolutamente si. E non è retorica. Quando porti la bandiera la senti, in profondità, in modo positivo; oltre all’onore e all’onere di rappresentare il tuo Paese, c’è poi l’affetto delle persone, un’energia che si percepisce in modo forte, soprattutto all’estero dove, per i nostri connazionali, questo sentimento di appartenenza  è all’ennesima potenza. Spesso le Frecce Tricolori vengono paragonate ad altre compagini nazionali, penso al calcio o ad altre squadre nello sport e non solo. Ma le differenze sono sostanziali. Nella Pattuglia Acrobatica non ci sono individualità in evidenza, personaggi che spiccano, che prevalgono, che finiscono sul giornale a vantaggio di un percorso personale. E questo è il valore aggiunto. Quando entri in Pattuglia lo sai già: ci passi, ne trai dei benefici, ne fai parte con orgoglio, dopo di che te ne vai e resti però anonimo, in primo piano c’è sempre il gruppo, con individualità ben amalgamate, a vantaggio di un obiettivo comune. Una vera squadra, non a caso studiata da più parti come esempio di team coeso ed efficace: tempi, precisione, controllo degli errori, un modello di lavoro unico da riprodurre in ambiti diversi.

Legati alla Pattuglia restano poi i ricordi personali più belli e le amicizie più importanti; colleghi che continuo a sentire, anche se in giro per il mondo, e che riesco ogni tanto a vedere in occasione dei raduni e non solo.

Il seguito della tua storia legata all’Aeronautica Militare Italiana potrebbe essere quello che scriverà tuo figlio, 17 anni, che si sta avvicinando a questa carriera… (Dimitri ha anche una figlia di 22 anni). In generale consiglieresti questo percorso a ragazzi che ci stanno pensando?

Non so cosa deciderà mio figlio, ma mi farà sicuramente piacere se sceglierà di entrare in Accademia e di seguire le mie orme, perché vorra’ dire che il mio esempio è stato positivo e che qualcosa, di questa passione, gliel’ho trasmessa. Posso dire inoltre che l’ambiente è bellissimo, i ragazzi vengono stimolati con attività, esperienze e valori che li fanno maturare più velocemente rispetto ai loro coetanei. Non ultimo, penso che quello del pilota sia il lavoro più bello del mondo. Per me lo è stato. In 20 anni di Aeronautica Militare non c’è stato un solo giorno in cui non mi sia svegliato felice di quello che mi aspettava, convinto e appagato da una professione che mi ha dato tanto.

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