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Chi sono, come vivono, come si addestrano i piloti della pattuglia acrobatica italiana, una delle più famose al mondo.

di Gualtiero Tramballi – foto di Mauro Galligani
da Epoca – 1977, pp. 57 e segg.

Ogni volta che si alzano in volo è una partita d'azzardo con la morte

Anche i novellini, gli acquisti più recenti della pattuglia acrobatica, hanno alle spalle non meno di 1.200 ore di volo: il che significa circa sei anni di addestramento sui jet. Poi vi sono quelli che di ore di volo ne hanno collezionate 2.000 e altri anche di più. Quindi, anni e anni di rischi, perché il pilota può essere abile e la macchina perfetta fin che si vuole, ma le incognite rimangono sempre tante, ogni volta che ci si alza in volo. Non c’è dunque pilota delle “Frecce Tricolori” che durante la carriera non abbia vissuto una paurosa avventura.

La più drammatica è senza dubbio accaduta al maggiore Antonio Gallus, l’attuale capopattuglia. Era il 2 giugno 1973, le ” Frecce ” stavano rientrando alla base dopo la tradizionale sfilata per la festa della Repubblica. “Non so come accadde”, racconta Gallus, “so soltanto che improvvisamente mi trovai addosso un altro jet della pattuglia. Un impatto molto duro: il mio compagno morì sul colpo e precipitò con l’aereo. Io riportai la frattura di due vertebre, persi i sensi. Fortunatamente l’apparecchio rimase in linea di volo per qualche minuto. Ricordo che ebbi un istante, un istante solo di lucidità. Ne approfittai per tirare la maniglia d emergenza e per lanciarmi col paracadute. Mi ritrovarono svenuto nella pineta di Castelporziano e dovetti rimanere fermo sei mesi. Quando ho ripreso, ho provato un po’ d’impressione durante il primo volo, ma poi tutto è tornato normale”.

Da non dimenticare più anche l’avventura toccata al tenente Nunzio Ruggiero. Ascoltiamola: “Volavo in una valle molto stretta col mio G.91 quando mi trovai di fronte un aereo civile diretto in Germania, che in quel punto non avrebbe certamente dovuto passare. Non avevo scelta: mi buttai giù di fianco, una scivolata d’ala vertiginosa che mi portò all’altezza di un fascio di cavi dell’alta tensione. Cavi del diametro di tre centimetri e attraversati da corrente a 220 mila volt. Uno di essi mi limò il tettuccio dell’abitacolo dimezzandone io spessore, poi mi agganciò la coda e si tranciò. Mi ritrovai con l’aereo di traverso e feci molta fatica a riprenderlo. Feci anzi appena in tempo perché quando lo riportai in assetto normale e diedi gas, ricordo che sfiorai le cime di una macchia di alberi. Nel frattempo il cavo tranciato aveva incendiato una fetta di bosco e distrutto un allevamento di trote”.

Anche il comandante della pattuglia, il tenente colonnello Paolo Barberis, ha un paio di ricordi “neri”. “Una volta, volando in formazione, toccai un altro aereo”, dice. “Vidi subito che mi mancava un pezzo d’ala, ma mi resi conto che il G. 91 stava su ugualmente. Sforzandomi di rimanere calmo, manovrai come dovevo e atterrai regolarmente. Un’altra volta, durante un volo notturno, mi colpì un fulmine. Vidi una gran fiammata davanti, ma non persi la testa perché il serbatoio del carburante era nella parte posteriore. Anche allora riuscii a tornare alla base, Ma confesso che, quando vidi i danni all’aereo, mi sentii come se mi avessero dato un pugno nello stomaco”.

C’è poi il capitano Giuseppe Bernardis che si ritrovò col motore spento proprio mentre la formazione si stava ricongiungendo dopo aver effettuato la “bomba”. “Non avevo molte alternative”, dice. “Prima di lanciarmi riprovai con la manetta d’accensione. E il motore si riaccese, proprio come avrebbe potuto capitarmi in macchina su un’autostrada. E il solista, il capitano Angelo Boscolo, che durante un atterraggio si dimenticò di abbassare il carrello. “Fortunatamente”, disse, “quando sentii la lamiera graffiare la pista, ebbi la prontezza di tirare su tutto, riuscendo così a riprendere il volo. A terra poi mi dissero che se avessi avuto il carrello a posto, avrei compiuto un atterraggio perfetto”. Il capitano Boscolo, barba e capelli biondi, ride divertito. Poi aggiunge: “Finché si possono raccontare va tutto bene, no?”.

La famosa "bomba": il disegno ricorda il rapido dischiudersi di un fiore

L’apertura della « bomba » ripresa dal basso e dall’alto. È la più famosa e la più spettacolare delle figure che fanno parte del programma delle « Frecce Tricolori ». All’ordine del capopattuglia, ogni velivolo si stacca dalla formazione tracciando con le scie fumogene un disegno che somiglia allo sbocciare di un fiore.

Al via del "Capo" i gregari si lanciano nella doppia piroetta

La figura del doppio « tonneau » ripresa nel suo insieme e nei particolari. In questa manovra gli aerei si portano in linea frontale e al via del capopattuglia i due gregari interni eseguono simultaneamente una rotazione intorno ai gregari esterni. La rapida piroetta viene poi compiuta anche da questi ultimi che intanto si sono spostati all’interno della formazione.

Il Solista si esibisce a pancia in su sopra il mare di Lignano

Sopra: il capitano Angelo Boscolo, solista della pattuglia, in volo rovesciato sopra Lignano. Il solista ha il ccmpito di esibirsi quando la formazione è lontana o si sta ricomponendo per compiere una nuova figura.

Qui a fianco: una sequenza che mostra il tenente colonnello Paclo Barberis, comandante delle « Frecce Tricolori », impegnato in un « tonneau » tra le Cime di Lavaredo. Il « tonneau » è una manovra che prevede la rotazione dell’aereo attorno al proprio asse longitudinale. Il Fiat G.91 adottato dalla pattuglia è un caccia tattico leggero, docile ai comandi e con doti di grande maneggevolezza.

Rivolto del Friuli, giugno
Il tenente colonnello Paolo Barberis, comandante della pattuglia acrobatica nazionale, scese dal Fiat G. 91 che era quasi mezzogiorno. Prima aveva guidato da terra, via radio, l’allenamento dei suoi ragazzi, poi aveva compiuto il suo volo quotidiano in compagnia di soli tre “gregari”, forse bisognosi di ripassare la lezione: mezz’ora di picchiate, di looping (il famoso giro della morte), di tonneau lenti e veloci (l’aereo che si avvita su se stesso), di preziosi ricami eseguiti a ottocento chilometri all’ora stillo sfondo azzurro del cielo, il tutto concluso da un perfetto atterraggio reso più morbido dal paracadute sbocciato come un fiore – a metà pista – dalla coda del jet. Toltosi il casco, il comandante Barberis guardò l’orologio; poi, senza nemmeno asciugarsi il sudore, si avviò di corsa verso la palazzina comando. “Qualcosa che non va?”, chiesi a uno dei piloti. “No, no”, rispose. “Deve solo andare a prendere i figli all’asilo. Ed è in ritardo”.

Un episodio all’apparenza insignificante, ma che invece consente di dare una dimensione immediata agli uomini che compongono uno dei più famosi team acrobatici del mondo e che costituiscono l’élite, il meglio dell’Aeronautica italiana. Diciamo la verità: arrivando a Rivolto del Friuli (venti chilometri da Udine) per trascorrere tre giorni con le “Frecce Tricolori”, mi aspettavo di trovare un gruppo di distaccati superman, con i quali sarebbe stato difficile allacciare contatti di qualsiasi natura. Giovani e famosi, genio e sregolatezza, passerelle di fantastiche donne adoranti: alzi la mano chi non ha questa immagine dei piloti della pattuglia acrobatica.

Qui a Rivolto, invece, i miti si infrangono nello spazio di un mattino, il tempo cioè di guardarsi intorno, di entrare nel gruppo. I piloti della pattuglia sono undici: nove compongono la formazione che vola a stretto contatto di ali, poi c’è il solista incaricato di riempire i vuoti, che si sbizzarrisce cioè quando la squadriglia si è allontanata per preparare una nuova figura, infine il comandante che sta a terra, con gli occhi fissi al cielo e le labbra incollate a un microfono, il quale trasmette consigli, correzioni, raccomandazioni. Undici uomini, dunque. Ebbene, fra essi non ce n’è uno – uno solo ripeto – al quale si possa attribuire una punta di divismo o di supponenza. Undici caratteri tanto simili da sembrare riprodotti con la carta carbone e nei quali affabilità e cortesia si mescolano in uguale misura alla modestia e alla semplicità.

Il comandante che corre a prendere i due figli all’asilo per non far muovere la moglie che è in attesa del terzo, il capo-pattuglia che coltiva peperoni e pomodori, un altro pilota che nel pomeriggio si trasforma in bambinaia perché la moglie studia e ha bisogno di un po’ di tempo libero. Uomini come noi, con gli stessi problemi: corrono molti più rischi, è evidente, ma amando la vita come il proprio lavoro, non lasciano nulla al caso. Di qui la rigorosa applicazione quotidiana, lo studio continuo di ogni manovra, il rispetto di certe regole che consapevolmente gestiscono in proprio. Sanno cioè da soli che cosa possono mangiare, quanto devono dormire, quando è possibile permettersi certi passatempi.

Detto molto francamente, piloti abili come quelli della pattuglia, nell’Aeronautica italiana ve ne sono a decine. Ma la capacità professionale è solo una delle componenti necessarie per poter essere ammessi tra le “Frecce Incolori”. Altrettanto importanti – se non di più – sono le doti psicologiche: come la calma, la tenacia, la pazienza, la volontà, il rispetto per gli altri, soprattutto l’umiltà. Occorrono tutte per poter compiere ogni giorno acrobazie incredibili, praticamente incollati – a mille chilometri orari – ad altri otto aerei.

L’immagine del pilota affascinante che trascorre la notte fra donne e champagne e poi corre a infilarsi nell’abitacolo del suo velivolo è dunque la prima da cancellare giungendo a Rivolto. Qui gli incoscienti non hanno diritto all’ingresso, non vi entreranno mai. Anche perché prescindendo da ogni altra considerazione, chi potrebbe permettersi notti brave con 550 mila lire al mese e con famiglia a carico? A tanto infatti ammonta lo stipendio di un capitano pilota della pattuglia e davvero vien da sorridere pensando agli ingaggi di un campione dell’automobilismo che di rischi pure ne corre molti, ma che in fin dei conti viaggia sempre con quattro ruote ben poggiate sulla pista. Chi glielo fa fare, allora, a questi ragazzi? Durante il periodo trascorso a Rivolto ho parlato con tutti i piloti della pattuglia, anche separatamente. E molti mi hanno confessato: “Il giorno che me ne dovrò andare, probabilmente piangerò”. Credo che la risposta sia esauriente.

A 800 orari quasi accarezzando la pista

I terrificanti incroci che compiono le « Frecce Tricolori » a conclusione delle figure della « bomba » e del « cardioide » (la formazione che si divide in due segmenti e disegna un cuore nel cielo). Il tutto avviene a 800 orari e a qucte che si differenziano di pochIssImi metri l’una dall’altra.

La pattuglia acrobatica nazionale (PAN ne è la sigla) ha appena cominciato la sua stagione, che dura da maggio a ottobre. Una fitta serie di esibizioni in Italia e all’estero che praticamente la vedrà impegnata tutte le domeniche. “Siamo come una squadra di calcio”, commenta il maggiore Renato Rocchi, che della pattuglia è lo storico e che durante le manifestazioni ha le funzioni di speaker, cioè annuncia e spiega al pubblico le figure che gli aerei stanno per compiere in volo. “Partiamo il venerdì e rientriamo la domenica sera. Il lunedì si riposa e per il resto della settimana sempre allenamenti, con qualunque tempo”.

La pattuglia è divenuta reparto autonomo – il 313° Gruppo addestramento acrobatico – dalla fine del 1960. Rappresenta l’intera Aeronautica militare italiana e pertanto i piloti provengono da tutti gli stormi, ovviamente dopo avere superato durissime selezioni. Prima di quella data, la pattuglia, era invece espressione di uno dei vari reparti da caccia esistenti nel nostro paese e rimaneva “in carica” un anno (dopo essersi naturalmente addestrata per tutto l’anno precedente). Di qui le varie denominazioni: “Cavallino rampante”, “Getti tonanti”, “Tigri bianche”, “Diavoli rossi”, “Lancieri neri”. Divenendo reparto autonomo, la pattuglia ha anche assunto un nome fisso, appunto “Frecce Tricolori”. È assistita da un gruppo di formidabili specialisti, anche loro scelti dai vari reparti dopo una severa selezione, che seguono piloti e aerei durante ogni spostamento. Più o meno come i tecnici di un team di formula uno.

I motivi per cui si preferì trasformare la pattuglia in reparto autonomo sono diversi, ma il più importante è quello dell’affiatamento. Anche il più completo dei piloti ha bisogno di circa un anno di addestramento prima di imparare a far piroette nel cielo con le ali del suo jet a meno di due metri dalle ali di altri aerei. Un secondo anno è necessario per far acquistare al pilota sicurezza e disinvoltura assoluta. Ma a questo punto, col sistema precedente, il pilota (e la pattuglia) venivano sostituiti. Dunque, tempo, sforzi e tanti sacrifici quasi sprecati, il gioco insomma non valeva la candela. Oggi, invece, il pilota selezionato rimane in pattuglia per un periodo medio di cinque anni e le conseguenze sono immaginabili: affiatamento assoluto con gli altri compagni, perfezione delle figure. Il che ha portato la squadriglia acrobatica italiana a primeggiare nel mondo, forse solo gli inglesi sono allo stesso livello.

Il primo comandante delle “Frecce Tricolori” (cioè della pattuglia dopo la trasformazione in reparto autonomo) è stato il maggiore Mario Squarcina. Per due anni addestrò e diresse una formazione composta di sei piloti, più il solista. Poi, nel 1963, decise di allargare la squadriglia a nove aerei, mai nessuno al mondo ne aveva messi tanti insieme in una pattuglia acrobatica. “Troppo affollamento”, dissero subito i critici e in effetti il debutto della formazione a nove con programma acrobatico completo (il 5 maggio 1963, a Forlì) Si concluse tragicamente. Nell’apertura della “bomba” due aerei si scontrarono: i piloti si lanciarono immediatamente, ma ad uno di essi – Eugenio Colucci – il paracadute non si aprì in tempo.

Immediatamente divamparono polemiche che rischiarono di bloccare, subito all’avvio, il progetto della squadriglia a nove. Fu l’allora capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Aldo Remondino (che prima della guerra aveva fatto parte della pattuglia acrobatica), ad imporsi, a pretendere che il programma continuasse così come lo aveva ideato il comandante Squarcina. Un mese dopo, sostituito il caduto, gli italiani andarono a Le Bourget, in Francia, a misurarsi con le pattuglie acrobatiche di tutto il mondo. Erano gli unici a esibirsi in nove. Fu un trionfo: la fantasia e la perfezione delle figure compiute da quei nove jet che sembravano incollati insieme, suscitarono l’entusiasmo di migliaia di spettatori e l’ammirazione degli altri concorrenti.

Ogni pilota ha un numero ed è addestrato a mantenere in pattuglia sempre la stessa posizione. Intendiamo dire che l’esterno destro non può improvvisarsi fanalino di coda o esterno sinistro e così via. Ogni ruolo vuole dire mesi e mesi di allenamento a particolari manovre che vanno eseguite nel momento giusto con assoluta precisione. Perché il ritardo di una frazione di secondo, un errore qualsiasi, potrebbe significare la catastrofe. Per rendersi conto di quale concentrazione sia necessaria, basta osservare i piloti quando scendono dai loro jet dopo avere svolto il programma acrobatico di quaranta minuti: volti quasi stravolti, pallidissimi, fradici di sudore. “Le assicuro”, mi ha detto uno dei piloti durante una pausa, “che quei quaranta minuti valgono una giornata di lavoro di dieci ore”. Figurarsi quanto possono valere quelli del capopattuglia, il maggiore Antonio Gallus, 37 anni, sardo di Cagliari, che oltre a pilotare il proprio aereo, deve coordinare le manovre di tutti gli altri. È lui che costituisce in ogni momento il punto di riferimento dell’intera pattuglia, è da lui che partono gli ordini per lo svolgimento di ogni figura. Responsabilità e impegno che davvero richiedono la lucidità e la freddezza di un superman.

Oltre al maggiore Gallus, che pilota il jet numero 1, sono titolari della pattuglia il capitano Vincenzo Soddu (numero 2), 29 anni, anch’egli di Cagliari, il tenente Giuseppe Liva (numero 3), 30 anni, da Cervignano del Friuli, il tenente Graziano Carrer (numero 4), 30 anni, da San Donà di Piave, il tenente Nunzio Ruggiero (numero 5), 29 anni, napoletano, il capitano Assenzio Gaddoni (numero 6), 31 anni, friulano, il capitano Pier Gianni Petri (numero 7), 29 anni, toscano, il tenente Sergio Valori (numero 8), 29 anni, di San Sepolcro, il capitano Giuseppe Bernardis (numero 9), 29 anni, di Pordenone, il capitano Angelo Boscolo (numero 10 e solista), 29 anni, piemontese di Santhià. Con la duplice veste di istruttori e di collaboratori del comandante sono rimasti temporaneamente aggregati alle “Frecce Tricolori” anche i capitani Massimo Montanari e Pietro Purpura, entrambi ex titolari della pattuglia.

Come si vede, nessuno è giovanissimo e questo si spiega con il fatto che per entrare nella pattuglia acrobatica un pilota deve avere alle spalle non meno di mille ore di volo sui jet. E mille ore di volo significano almeno cinque anni trascorsi in un reparto. Tutti i componenti della pattuglia sono sposati, quasi tutti hanno figli. E le mogli come guardano alla professione di pilota acrobatico? Non si può dire certamente che siano entusiaste, ma sanno che per i loro uomini l’appartenenza alle ” Frecce Tricolori ” costituisce la realizzazione del ‘sogno di unà vita, e si adeguano.

Le giornate della pattuglia, quando non è in giro per il mondo, hanno tutte lo stesso ritmo, lo stesso programma. Alle 8,30 del mattino c’è la prima riunione, durante la quale il meteorologo illustra le previsioni del tempo e il comandante Barberis dà le ultime disposizioni sulle figure da eseguire. Poi un caffè e via in pullmino fino agli aerei, che gli specialisti hanno già sottoposto al quotidiano check-up. Quindi il decollo simultaneo, in due file orizzontali di cinque e quattro aerei, con il solista a chiudere il gruppo, infine l’esibizione che si può vedere mille volte ma che non stanca mai. Uno spettacolo affascinante ed emozionante che ha i suoi pezzi forti nella “bomba” – quando la formazione si apre in un fantastico disegno che ricorda il rapido dischiudersi di un fiore – e nell’incrocio terrificante di nove jet lanciati a 800 chilometri orari a quote non superiori ai 10 metri.

Il tenente colonnello Paolo Barberis ha 37 anni, diciotto dei quali trascorsi in Aeronautica. “Gregario” della pattuglia acrobatica dal’67 al ’70 (“Ero il numero 4, l’estremo sinistro”), ha poi proseguito la carriera fino a diventare comandante del Decimo Gruppo, di cui fa parte la celebre 91a la squadriglia che fu di Francesco Baracca. Lo scorso anno gli proposero di tornare tra le “Frecce Tricolori”, questa volta come comandante. “Era il mio sogno “, confessa. ” Quando me lo dissero, mi sarei messo a saltare per la gioia “.

“Ma che significato ha la pattuglia acrobatica?”

Nella domanda il tenente colonnello Barberis coglie un aggancio con le polemiche che tempo fa coinvolsero le “Frecce Incolori” e l’utilità della loro sopravvivenza. Per prima cosa precisa, allora, che i ragazzi della pattuglia non sono semplicemente dei funamboli, dei personaggi da circo. “Da novembre a febbraio”, spiega, “affrontano tutte le forme di addestramento che vengono compiute negli altri Gruppi: tiri, voli notturni e così via. Sono dunque piloti in grado di essere immessi in un reparto operativo da un giorno all’altro”.

E il significato delle esibizioni, delle manifestazioni in Italia e in tutto il mondo? Il comandante sottolinea le funzioni propagandistiche, parla del prestigio che le “Frecce Tricolori” raccolgono ovunque si presentino, ma poi aggiunge che non è tutto. E ricorda, per esempio, quando l’anno scorso andarono in Germania per misurarsi con le pattuglie acrobatiche di tanti altri paesi e c’erano 600 mila spettatori, fra cui migliaia di emigrati italiani. “Alla fine”, dice il tenente colonnello Barberis, “fummo assediati per ore dai nostri connazionali. Ci sfilavano davanti commossi, stringendoci la mano e dicendo soltanto grazie. Per noi quei grazie continueranno a valere molto, molto di più di qualunque complimento. Da qualsiasi parte arrivi”.

La pattuglia acrobatica è nata a Campoformido e ha quasi cinquant'anni

Alcuni momenti di una giornata dei piloti della pattuglia acrobatica: i preparativi e la concentrazione prima del decollo. i minuti di relax fra un volo e l’altro. I componenti della squadriglia giungono all’aeroporto alle otto del mattino e vi rimangono, di solito, fino alle tre del pomeriggio. Arrivano già in tuta di volo perché tutti abitano intorno a Rivolto, a poca distanza dal vecchio campo di Campoformido dove nel 1930 venne creata la prima scuola italiana di acrobazia collettiva. ll fondatore fu il colonnello Rino Corso Fougier, che cominciò col mettere insieme una formazione di cinque Fiat CR 20. ll debutto della prima pattuglia acrobatica italiana avvenne 1’8 giugno dello stesso anno, dopo pochi mesi di allenamento, e fu un trionfo.

Costa un miliardo l'addestramento di un pilota

Il decollo simultaneo e l’atterraggio delle « Frecce Tricolori ». Durante la seconda fase vengono usati anche i paracadute che contribuiscono a frenare la corsa dell’aereo. Il programma acrobatico della pattuglia dura una quarantina di minuti, ma ogni nuova figura richiede mesi e mesi di allenamento. È stato calcolato che per creare un buon pilota da combattimentc occorre circa un miliardo di lire.

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