Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre 2024
da aviasalon.com [ fonte ]
The 6th international exhibition MAKS-2003 was held in August 19th – 24th of 2003.
606 corporation representing 40 countries of the world participated. The total area of the exhibition in the stationary and temporary halls increased in comparison to the previous MAKS 2001 by 25%. The number of chalets increased by 6 pc.
The number of foreign aircraft increased considerably and reached 65 airplanes and helicopters.
The program of the demonstrational flights was especially impressing. 222 flights were made during the show.
Together with the famous Russian aerobatic teams “Russian Knights”, “Swifts”, “Sky Knights” and “Rus” the foreign teams “Patrouille de France” (France) and “Frecce Tricolori”(Italy) and the demonstrational aircraft of the US Air Force F-15E showed their skill.
La 6a mostra internazionale MAKS-2003 si è tenuta dal 19 al 24 agosto 2003.
Hanno partecipato 606 società in rappresentanza di 40 paesi del mondo. L’area totale della mostra nei padiglioni fissi e temporanei è aumentata del 25% rispetto al precedente MAKS 2001. Il numero degli chalet è aumentato del 6%.
Il numero dei velivoli stranieri è aumentato considerevolmente e ha raggiunto i 65 tra aerei ed elicotteri.
Il programma dei voli dimostrativi è stato particolarmente impressionante. 222 voli sono stati effettuati durante lo show.
Insieme alla famosi team acrobatici russi “Russian Knights”, “Swifts”, “Sky Knights” e “Rus”, hanno mostrato le loro abilità quelli stranieri della “Patrouille de France” (Francia) e delle “Frecce Tricolori”(Italia) e il velivolo dimostrativo della US Air Force, F-15E.
Foto da flymig.com
Dalla Russia, con stupore...
di M.llo Stefano Pandolfo
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale anno 5 – n° 8 – 16/12/2003 – pag. 5
“Cosa mi rimarrà di questa missione?”. È la domanda che mi sono posto mentre, approfittando di una giornata piovosa, riordinavo le fotografie della Russia. Souvenir e foto a parte, rimarranno tanti ricordi.
Il ricordo dei preparativi. Nonostante molto fosse stato fatto lo scorso anno per la missione poi annullata, s’è dovuto quasi ricominciare daccapo, questo grazie alle continue richieste che ci venivano poste dall’organizzazione e dall’Ambasciata. Quanta burocrazia, quante carte, quanti elenchi fatti e rifatti fino all’ultimo giorno, senza che la conferma che ci saremmo andati arrivasse.
Sapevamo che i russi non erano più come ai tempi di Don Camillo e Peppone, ma i segnali che ci arrivavano da ogni parte non facevano che aumentare le nostre incertezze e preoccupazioni, tanto che più di qualcuno sperava che la missione venisse annullata.
In fin dei conti, partiamo per questo tour Ungheria-Russia senza sapere se, dopo Budapest, avremmo proseguito o meno. Solo la domenica sera arriva la notizia: si va!
La prima sorpresa già all’arrivo. Il C-130 tocca la pista, solo un “colpetto” di reverse, ma non frena, rallenta poco. “Che succede?” è la domanda che si legge sul volto dei più, anche perché non percepiamo la sensazione che l’aereo imbocchi un raccordo, ma lo sentiamo solo correre. Una volta scesi a terra scopriamo che la pista era lunga ben 5km!
L’aeroporto, almeno un tempo, era la loro base sperimentale, di quelle segrete, non menzionata sulle cartine. Cosa sia oggi in realtà non è dato sapere. Di quello che in passato doveva essere il fiore all’occhiello dell’aeronautica sovietica, oggi rimane ben poco. Costruzioni diroccate, fatiscenti, tutto lasciato in uno stato di generale abbandono. L’unica cosa che lo collegava all’attività che lì un tempo si svolgeva, era un grande cimitero di velivoli, sperimentali e non, che assomigliava ad una discarica e che, comunque, è stato visitato dagli appassionati del Gruppo.
Mi rimarrà il ricordo dell’arrivo in città. Erano le 22 passate quando entrammo a Mosca con il pullman. Stanchi, sudati ed affamati (sai che novità!), cerchiamo di scorgere l’agognato hotel, ma i nostri sguardi vengono rapiti da una città inaspettatamente ben illuminata. Finalmente, dopo una curva, ci appare l’albergo: una costruzione squadrata, enorme, con 2876 camere distribuite in un dedalo di piani, corridoi e scale. Quello che ci colpisce non è tanto l’hotel, quanto il fatto che di fronte a lui, a 150 metri, c’è la Piazza Rossa.
Mentre la proverbiale burocrazia sovietica (non è solo un luogo comune) fa il suo corso, rendendo interminabile il check-in, esco dalla hall per una sigaretta e, dopo poco, mi sorprendo a bocca aperta mentre ammiro le colorate cupole della Cattedrale di S. Basilio illuminate a giorno. Non riesco a credere di trovarmi in quel posto fino a pochi anni fa inaccessibile, guardando cose che non avrei mai pensato di vedere di persona ed il fatto di essere lì, beh, è affascinante. Fascino che mi accompagnerà anche durante i giorni liberi per la città. È sorprendente quanto sia pulita, moderna, oserei dire globalizzata, apparentemente sicura se non altro per i numerosi poliziotti appostati dappertutto, ma quello che mi ha colpito è la bellezza. Ovunque volgessi lo sguardo, c’era qualcosa di bello da vedere: dai monumenti ai palazzi, dai viali ai giardini, alle donne, che senza pericolo d’essere smentito, sono le più belle che abbia mai visto.
Non scorderò l’air show. In realtà, era un salone internazionale dell’aviazione, ma i velivoli visti, in volo come a terra, hanno incuriosito anche chi, come me, non è un vero e proprio appassionato d’aerei. Tuttavia, quello che maggiormente ha colpito tutti, è stata l’enorme affluenza di pubblico: mediamente 600 mila persone al giorno per quattro giorni consecutivi. Per andare a pranzo, eravamo costretti a percorrere 300 metri a piedi tra la folla: c’impiegavamo più di mezz’ora! La gente, appena ci vedeva, ci assaliva per avere un autografo, una foto assieme, un bacio, per offrirci da bere. Mai visto, in quattordici anni, nulla di simile. Una piacevole sorpresa, soprattutto perché veniva da un popolo che è notoriamente freddo e distaccato: forse questo è un vero luogo comune, forse è solo il piacere di potersi relazionare con il mondo che, finalmente, entra in casa loro liberamente.
Come non ricordare la nostra interprete. Tatiana è una signora russa, che ha passato la mezz’età, la quale da anni lavora per la nostra Ambasciata e per questo si sente anche italiana. Non dimenticherò mai la sua emozione, fino alle lacrime, ogni volta che i nostri aerei s’esibivano. Non so se la nostra opera è servita o servirà a qualcosa nei rapporti tra l’Italia e la Russia, spero di sì, ma se anche così non fosse, ritengo che sia comunque valsa la pena andarci, solo per Tatiana, per vederla letteralmente senza fiato e senza parole dopo ogni volo.
Infine, non dimenticherò il rientro. Un guasto al C-130 poco prima della corsa di decollo, ci ha costretti a riposare i piedi in Russia dopo neanche 10 minuti! Questo ci ha obbligato a trascorrere lì un giorno in più. I russi, che si vede che fino a quel momento si erano sforzati di essere agili e pratici, hanno iniziato a dare il meglio di sé (per modo di dire), sfoderando tutta la loro burocrazia ed i loro niet. Non ci volevano far scendere dal velivolo, hanno voluto ricontrollare quello che avevano controllato mezz’ora prima, ci hanno fatto compilare di nuovo dei moduli che avevamo già compilato due volte, ci hanno fatto aspettare 24 ore per riavere i passaporti. A noi, che li avevamo salutati e ringraziati un quarto d’ora prima! Sapevamo che erano sospettosi e diffidenti per natura, ma mai avremmo pensato arrivassero a tanto. In un giorno sono riusciti a rovinare la bella impressione che ci avevano dato per una settimana.
Comunque, nonostante tutto, è stata un’esperienza positiva, che è valsa la pena fare e che auguro, a chi non c’è stato, di vivere in un futuro prossimo.
La foto 1 di Sergey Ryabtsev – Russian AviaPhoto Team
Il ricordo di Paolo Tarantino
da Giuseppe Cordioli, Capriole tra le nuvole, Mondadori, 2010, pag. 66
«La prima volta che sono stato a Mosca ero capoformazione e ho avuto una percezione diversa da quella che ho poi sperimentato alla seconda visita. Era la prima volta che si andava in Russia. Ha destato in me sentimenti particolari perché la manifestazione si svolgeva nella base del loro reparto sperimentale: una pista lunga sei chilometri, dove avevano fatto le prove sul Buran (un’astronave praticamente identica allo shuttle americano), che fece soltanto un volo e poi fu accantonato.
Una base che trasmetteva la netta sensazione che da li fosse passata la Storia dell’aeronautica russa.
La prima cosa che ci colpi fu l’organizzazione verticistica: tanto per fare un esempio, c’era un generale che faceva il briefing meteo. Molto particolare. Il direttore di manifestazione, che era un civile, era molto irascibile: strepitava in russo ma sotto sotto era consapevole di trovarsi di fronte dei professionisti e di poter stare tranquillo perché la nostra performance era ispirata a criteri di sicurezza che andavano persino oltre alle loro regole.
Ricordo ancora le risate del comandante Maurizio De Rinaldis, che ci raccontò il primo briefing con tutti i comandanti delle pattuglie che partecipavano alla manifestazione, francesi, americani e altri. ll direttore prese la parola (urlando in russo) e continuò per quasi un quarto d’ora; Maurizio non capiva nulla ma dal’enfasi temeva fosse successo un fatto grave, ed era preoccupato. Al suo fianco una signora, più o meno sulla settantina di anni, faceva da interprete e, dopo 15 minuti di urla, tradusse il tutto un lapidario: “Ladies and gentlemen, good morning”. Ovviamente in sala scoppiò un boato».
Il ricordo di Andrea Saia
da Giuseppe Cordioli, Capriole tra le nuvole, Mondadori, 2010, pag. 21
«Eravamo a Mosca con il comandante Tarantino, ed era la prima volta che la PAN volava in Russia. Le loro regole sono molto diverse dalle nostre e anche la loro gestione del pubblico è diversa.
Eravamo in posizione centrale rispetto alla lunghissima pista, ma decentrati di circa tre chilometri rispetto al pubblico, al comandante e alla PAN. Quindi mi ero ritrovato a fare lo speaker a fianco del direttore dei voli, che è una figura diversa dal nostro direttore di manifestazione, in quanto controlla tutto dalla sala radar (estremamente tecnologica): sapeva istantaneamente a che altezza stavamo volando, se eravamo più ati o più bassi…
A quei tempi c’erano ancora delle zone in cui non si poteva volare e il direttore se la prendeva con me a ogni passaggio vietato. C’era un interprete che mi traduceva le sue rimostranze e io via radio le riferivo a Tarantino, che ovviamente le ignorava, badando solo a far fare bella figura alle Frecce. Il direttore arrivò addirittura a sferrami un pugno sulla spalla perché la PAN non faceva quello che lui aveva detto, mentre io dovevo continuare nel mio lavoro. Poi alla fine si concluse tutto in amicizia, ma intanto….».