(Ultimo aggiornamento: )

di Gigi Zanovello
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale
anno 11 – n° 18 – 31/10/2009 – p. 4 e segg.

“… e così anche quest’ anno l’Accademia ci regala un altro Corso Regolare, consolidando quella tradizione iniziata nel lontano 23. A guardarli così, superficialmente, i Corsi sembrerebbero tutti uguali, uniformi ed omogenei. … Ma noi sappiamo bene che la realtà è un’altra. Ne siamo talmente consapevoli che non cambieremmo mai il nostro per alcun altro Corso, siamo compiaciuti e gelosi di ciò che siamo, della nostra appartenenza … del nostro stile. Sì perché è proprio questo ciò che distingue i vari Corsi: il loro unico, inconfondibile stile…”.

Così il nostro “padrino”, il Gen. ARPINO, la sera che precedeva il giuramento del corso “Pingue”, il Rostro 3, interveniva di fronte a tutti noi anziani del REX, del ROSTRO 1 e del ROSTRO 2.
Lo stile, quel qualcosa che ci differenzia, che ci rende unici, speciali.

Questo mi venne in testa mentre, su Facebook, “chattavo” con Manuela DAVINI, la Presidentessa di uno dei nostri Club. Si parlava di come cambiano i tempi, delle mentalità, della gente. E di come ciò si ripercuote su tutto, ivi inclusa la PAN.

Il 313° e’ davvero un Gruppo speciale, unico nel suo genere al mondo.
Ma anche all’interno della PAN, dal 61 ad oggi, esistono delle differenze. Ogni ”formazione”si esprime a modo suo, concretizzando un’idea specifica di acrobazia collettiva.

Mi ricordo il primo periodo che ho vissuto alla PAN. Quello tra l’83 e l’87. Il passaggio in linea tra il mitico G91 e il 339 non è stato semplice come si può immaginare.
Il G91 aveva delle caratteristiche molto peculiari. Intanto la forma, accattivante e simpatica, con quella sua ala a freccia che “perdonava” molte imperfezioni estetiche. Oppure la rapidità della sua rollata, per non parlare del fragore del suo jet.
Il 339 era meno veloce, meno rumoroso, più lento a ruotare sull’asse. E poi la sua ala, inesorabilmente dritta, al punto tale da evidenziare ogni mancato parallelismo all’interno della formazione.

Tutte peculiarità che sembravano mettere in crisi i Piloti e gli esteti del Gruppo. Ma era soltanto un “malessere” di gioventù. Il 339 ben presto si sarebbe rivelato un vero “campione” di acrobazia collettiva.Ma in quegli anni, agli inizi dell’80, questo ancora non lo sapevamo con certezza. E giù allora con discussioni, studio, pratica giornaliera tirata all’inverosimile.

In questo ambito, ciascuno di noi, a seconda della posizione che occupava all’interno della formazione, si impegnava alla ricerca di quel qualcosa che avrebbe potuto rendere il programma acrobatico più armonico, oppure più aggressivo, oppure ancora più poetico e suggestivo.

Quegli anni la parola d’ordine era “stringiamo ancora un pochino, conteniamo ancora un filino, riduciamo ancora un ‘anticchia’ …” queste erano le frasi che galleggiavano a mezz’aria lungo il corridoio del Comando PAN in quei mesi di addestramento.

E così in volo, ciascuno di noi si impegnava. Ed ecco che, piano piano il programma acrobatico, che inizialmente durava 26-27 minuti, diventava di 25, 24 e poi 23 … .

Anche le figure dei singoli cominciavano ad essere più accattivanti. Il doppio tonneau cominciava ad assomigliare di più ad un vero e proprio rotolamento sul dorso del velivolo a fianco e anche il ventaglio appariva sempre di più come una rotazione “in loco” dei gregari, con distanze tra fusoliere davvero ridicole.

Mi ricordo dell’85. Quella stagione l’avrei volata in una posizione eccezionale, quella del secondo gregario sinistro: il 4. Un ruolo secondo me fondamentale, impegnativo e davvero divertente. Forse il più divertente.

Da 4 (o da 5, il suo corrispettivo destro) non hai i problemi del 7, una posizione dura, dove sei influenzato nel mantenimento della posizione dalle scie e dalla turbolenza di tutta la formazione, intrappolato come sei tra il 2, il 4 il 6 e il 9. Sei “rinchiuso” li dietro, soffri, sudi e … mordi l’ala. Da 2 sei sempre lì che cerchi di ammortizzare ogni movimento, ogni “calcio” che ricevi, per facilitare gli altri della formazione. Cerchi di essere dolce, mai brusco, anche perché sei inserito e quasi “bloccato” tra il leader, il 4 e il 7 dietro di te. Inoltre, quando esegui le tue manovre singole (ventaglio e doppio tonneau) devi assolutamente essere preciso e puntuale, non puoi mai prenderti un decimo di secondo (!) di respiro.

Da 4 no. Sei nello spigolo esterno. Sei fuori dalle turbolenze e non sei incastrato in mezzo alla formazione come gli altri. Esegui più manovre singole di tutti gli altri (ventaglio, doppio tonneau e “4 e 5 a posto”) e sei fondamentale perchè, stando nello spigolo del diamante, dai quel tocco unico e speciale che può far apparire la formazione stretta, larga, unita o diseguale.

Nel ’85 dunque stavamo addestrandoci con grande impegno anche perché, quell’anno, ci sarebbe stato il 5° Raduno Piloti Pattuglie Acrobatiche. Un appuntamento, unico, speciale e straordinario. Tra l’altro con la presenza del nostro Comandante diretto, nonchè ex: il Gen. PISANO, Comandante della 1^ R.A..I voli si ripetevano con continuità e impegno. In particolare quel mese io ed il “nonno” (che volava da 5) avevamo iniziato la preparazione per il “4 e 5 a posto”.

La manovra, come molti sanno, consiste nell’arretramento in ala al 7 (o all’8) tramite una rotazione verso l’esterno. Una trasformazione di posizione, dal davanti al dietro, fatta all’italiana, cioè in maniera acrobatica.

È una manovra molto seducente, che si svolge proprio davanti al pubblico. Di per sé la manovra non è difficilissima per un Pilota addestrato. Il difficile, come al solito, è eseguirla bene, facendo cioè apparire il tutto ben contenuto e stretto, aggressivo e compresso.

Anche altre Pattuglie effettuano delle manovre similari. Ma il risultato sono spesso delle rotazioni “sbottate” ed esagerate, non in sintonia con un programma che ricerca la perfezione e uno stile accattivante.

Da 4 si effettua così: al “via” del Leader si “tira su” il velivolo e quando si arriva all’altezza del n.1 si comincia a ruotare a sinistra riducendo leggermente il motore.
Dopo 180° di rotazione si comincia a vedere la formazione (a testa in giù) ed in particolare il n.7 sul quale si deve ricongiungere in ala. Dopo 270° coordinandosi con “piede e cloche” si rifinisce il tutto ed … eccoci in ala al 7. Facile no? Non è proprio così.

Qualche dettaglio tecnico. L’aeroplano quando ruota, se non si interviene in maniera opportuna, non ruota attorno sull’asse della fusoliera, bensì attorno ad un punto situato più o meno all’altezza della tip alare. Si fa cioè, una specie di tonneau a botte.
Se si ruota così, l’avvitamento del velivolo viene “sbottato”, ci si allarga troppo e non si ottiene l’effetto desiderato. Viene fuori una manovra moscia, blanda, priva di vitalità. Tutto l’opposto di ciò che avevo in mente io. In realtà, quando si comincia a ruotare, bisognerebbe spingere un po’ la cloche in avanti, verso quel “0 G” che permetterebbe al velivolo di ruotare sull’asse. Allora sì che il movimento sarebbe giusto, contenuto e pimpante.

Il problema nasce perché quando si comincia a ruotare viene anti-istintivo spingere in avanti la cloche. Si perché, se si spinge troppo, si finirebbe con il ruotare il velivolo avvicinandosi pericolosamente al resto della formazione, senza peraltro aver la possibilità di vedere dove si và. Cosa succede allora nella pratica? Che seppur a conoscenza di come si dovrebbe fare, si inizia con il tirare il velivolo di più verso l’alto prima della rotazione (per prendersi un po’ di “spazio”), quindi si ruota senza spingere come si dovrebbe (forse inconsciamente si continua addirittura a tirare) e… la rotazione risulta larga, ampia e inconsistente.

E cosi mi trovavo a fare sempre gli stessi errori, con i commenti della biga a terra che andavano dal “abbastanza buono anche se un po’ ampio e sbottato” (quando andava bene), al “non ci siamo, è troppo largo e centrifugato, meglio riparlarne a terra” (il più delle volte).

È ovvio che la frustrazione cresceva a dismisura. Io e il “nonno” ci guardavamo intristiti. Non capivamo come mai non riuscivamo a fare quello che dovevamo. “… il fatto è che le mani si muovono da sole … è come se non ci fidassimo di noi stessi … è frustrante e tristemente impotente assistere a tutto questo”, ci ripetevamo.

Passavamo e ripassavamo alla moviola ogni fotogramma del video che riguardava il volo d’addestramento. Che momenti duri e scoraggianti. Ci sentivamo in colpa nei confronti degli altri. Quasi che la riuscita della stagione dipendesse da noi.

Poi un giorno, dopo l’ennesimo volo e l’ennesima delusione, mentre ero in sala briefing, solitario, a visionare per l’ennesima volta il video nella speranza di trovare il bandolo della matassa … entra, baldanzoso come sempre, il Massimino.

“Carissimo Gigi … come stai …? sai che venendo qui in macchina da Campoformido, ho intravisto il 4 e 5 a posto …? … direi che va benone … sei sempre molto bravo … che te ne pare?”.

“… Massimino guarda che oggi non è cosa … lasciami stare … non sono dell’umore adatto per ascoltare dei complimenti per un incapacità da ‘tacchino’ nel non riuscire a fare una manovra decente …”.

Massimino era famoso (grande “Max”) per cominciare sempre i suoi de-briefing mettendo a proprio agio l’ascoltatore. Iniziava sempre nello stesso modo “ … bella manovra … sei stato davvero in gamba … hai una mano eccellente …” per poi buttare lì sul tavolo, con vera “nonchalance”, il vero commento “… tuttavia, se mi permetti, io ti consiglierei di fare così …”. Solo che quel giorno non ne potevo proprio più. Inoltre, il fatto che lui avesse visto la manovra dal finestrino della Ritmo AM (era l’Ufficiale S.V.), guidando la macchina sulla Pontebbana, osservando i velivoli tra lo scorrere e il passaggio di un platano e l’altro, non mi dava una gran confidenza che potesse parlare seriamente.

Ma lui continuò “ma dai non fare così … dico sul serio, la manovra sembra buona … nel suo complesso … solo che devi contenerla. Fosse facile chiameremmo uno qualunque e invece ci sei tu … che sei bravo e ce la puoi fare. Il fatto è che tu non spingi in rotazione perché hai paura di andare verso la formazione. Hai il timore cioè di trovarti dopo 180° di rotazione con un vettore verso il centro del team … e questo è perché sbagli l’inizio della manovra … sbagli la tirata su …”.

Qualcosa cominciava a frullarmi nel cervello e sentivo che forse non era poi così assurdo ciò che stava dicendo. Ma ancora non capivo qual’era il “busillis”.

“… in pratica quello che succede è che all’inizio della manovra tiri su troppo lentamente. Quando inizi la rotazione il muso scende e così dopo 90°, con la pancia del velivolo verso la formazione, sei tornato quasi alla posizione di prima, hai paura di esserti messo in una brutta posizione e quindi … tiri la cloche ruotando verso l’esterno e scadendo verso il basso …”. Il tutto Massimino lo diceva anche con le sue magiche mani, simulando che queste fossero i velivoli. Le mani di “Max” erano portentose, quasi quasi si riuscivano a vedere anche i vettori della portanza, della resistenza … .

“… invece prova a fare così … quando Mario ti da il via, tu tira la cloche velocemente, dai un calcetto al velivolo. In pratica tira la stessa quantità che dai ora ma in metà tempo. Vedrai che dopo 90° di rotazione il tuo musetto è ancora sopra l’orizzonte e dopo 180°, allorquando puoi già vedere la formazione, sei ancora sopra di questa e potrai gestire la chiusura sul 7 con tutta la calma e soprattutto con la sicurezza che vorrai.. Vedrai che in queste condizioni spingere in rotazione non sarà un problema perché avrai sempre la quota dalla tua parte e in qualsiasi momento potrai andartene lontano, se fosse necessario …”.

Poteva funzionare … avevo un altro volo nel pomeriggio. Mi concentrai su quello che mi aveva detto “Max”. Andai in volo, provai e … ”miracolo”, la manovra venne fuori bene. C’era ancora da lavorare, ma la direzione era quella giusta.

“… direi molto meglio di tutte quelle che ho visto fino ad oggi … cos’è … la tua solita fortuna? Invece tu nonno ci devi ancora lavorare … ” disse la “biga” a terra.

“… ne proviamo un’altra … please?” chiesi quasi sottovoce, con il timore che quanto fatto fosse veramente il risultato di mera fortuna. “Ok”. E stavolta venne fuori ancora meglio.

Il calcetto che gli davo all’inizio della tirata mi dava quella posizione fisica nel cielo e psicologica nella testa, che mi permetteva di spingere in rotazione quel tanto da fare il tonneau con sicurezza, contenuto e coordinato.

“… molto buono socio … forse hai trovato la soluzione … proprio bello sai? ”.

Inutile dire che ero al settimo cielo. A terra non riuscivo a contenere la mia emozione e felicità. Mentre mi spogliavo dell’anti-G e del resto, ricordo che lanciai un’occhiata al nonno e gli dissi, stringendogli l’occhio:
“Voi destri (6) non ce la farete mai socio … 1 a 0 per noi!”.

Dopo il de-briefing parlai approfonditamente con Piergiorgio. Gli dissi di Massimino, di come avevo provato a fare e di come ero riuscito a effettuare la manovra.

Il giorno dopo anche Giorgio provò la tecnica “Massimino”. Riuscì … forse anche meglio di me. Non solo, con la tecnica giusta avevamo raggiunto anche la simmetria tra destra e sinistra. “… Grande Max!

Dopo il volo eravamo felici. Finalmente non avevamo più quel peso psicologico. Anzi, anche noi avevamo raggiunto quello standard, quella sicurezza che avrebbe definito ancora meglio lo stile di quella formazione.

Quello stile che l’anno dopo portammo nel nostro “1° Campionato Mondiale”, come lo definiva Carletto, negli Stati Uniti e nel Canada. E quel campionato l’avremmo poi vinto. A modo nostro. Ma quella è un’altra storia.

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