(Ultimo aggiornamento: 24 Marzo 2020)

«Qualcosa è cambiato, ma abbiamo voluto tornare a volare»

A diciannove mesi dalla tragedia che costò la vita a una settantina di persone parlano per la prima volta i piloti della pattuglia acrobatica

di Zelio Zucchi
da Corriere della sera, 20 marzo 1990, p. 11

DAL NOSTRO INVIATO
RIVOLTO (Udine) — All’aeroporto di Rivolto, lontana periferia di Udine. dove dal 1961 abita la pattuglia acrobatica dell’Aeronautica nota con l’affettuoso soprannome di Frecce TrIcolori, si entra in punta di piedi. A dare l’impressione di sacralità, più che gli eleganti avieri del corpo di guardia o i carabinieri garanti dei segreti militari che l’aeroporto custodisce, sono i giovani che dall’esterno della rete — tutti in religioso silenzio, come se stessero alla porta del tempio — guardano dentro, verso aerei e uomini. Ed è la stessa atmosfera che si respira all’interno del campo.

Ci dicono che è stato sempre cosi. Anche quando qui vivevano il tenente colonnello Mario Naidini, il tenente colonnello Ivo Nutarelli e il capitano Giorgio Alessio, i tre piloti scomparsi a Ramstein il 28 agosto del 1988 nella sciagura che ha provocato la morte di 70 persone.

«Quello di Ramstein non è un episodio che possiamo dimenticare — precisa il tenente colonnello Luigi Lorenzetti, campano di Caserta, 36 anni appena compiuti, sposato con Maria, una figlia, comandante della pattuglia — e non è nemmeno un episodio che vogliamo dimenticare, per il rispetto che portiamo ai nostri colleghi e agli spettatori che vi hanno perduto la vita».

È la premessa migliore: parlare delle nuove Frecce Tricolori fingendo che un anno e mezzo fa in Germania non sia accaduto nulla sarebbe sciocco. Quel giorno, l’aereo del solista fini contro la formazione, e tre velivoli precipitarono sulla folla: morti i tre piloti e una settantina di spettatori.

Il maggiore Giampi Gropplero, 42 anni, sposato con Claudia, due figli, udinese, discendente di Ippolito Nievo, spiega che se fino a ora quelli delle Frecce Tricolori sono stati zitti è perché sono militari: questione di regolamenti e di forma mentale. Ma quando quel 28 agosto sono scesi a terra e si sono resi conto subito che la tragedia era enorme e le vittime erano tante, hanno anche capito che Mario, Ivo e Giorgio non c’erano più. Avrebbero gradito un po’ di rispetto per il loro dolore personale.

L’incidente dl Ramstein, accaduto il 28 agosto 1988: con coraggio, le Frecce Tricolori sono tornate e volare

«Partire in dieci e ritornare In sette — dice il capitano Maurizio Guzzetti, 32 anni, sposato con Cathy, un figlio, varesino — è una situazione che sarebbe grave anche in un’azione di guerra, quando cioè la morte è fatto quotidiano. Si può capire come noi ci sentissimo, quel giorno».

Il tenente colonnello Max Montanari, simpatica figura di romagnolo che al club delle Frecce Tricolori appartiene dal 1985, sposato con Lina, una figlia, segnala che le commissioni d’inchiesta, di una delle quali ha fatto parte, in lunghe serie di indagini condotte con tutti gli strumenti possibili non sono riuscite ad accertare che cosa sia accaduto «ma ho letto a caldo pareri e sentenze di gente che di aerei, rotte, comandi non sa molto e che ha pontificato sul nulla».

Nelle parole di tutti c’è ll dolore generale accanto a personali, comprensibilissimi sentimenti. Ed è questa la situazione psicologica nella quale si sono trovati il tenente colonnello Lorenzetti, nominato comandante della pattuglia (senza che in precedenza ne avesse fatto parte) nel febbraio del 1989, e il colonnello Antonio Zanini, vicentino, sposato con Rosy, due figlie, destinato già nell’ottobre 1988 all’aeroporto dl Rivolto come comandante del campo.

Quando gli è stato detto che sarebbe venuto a Rivolto, il tenente colonnello Lorenzetti si è reso conto delle difficoltà. Si trattava di comandare piloti speciali tra i migliori della nostra Aeronautica e tra i migliori del mondo. Ma soprattutto la loro situazione psicologica era in un momento delicato, anche se tutti volevano tornare a volare. Subito.

«Anch’io — spiega Lorenzetti — avevo vissuto quella tragedia intensamente. E dunque mi sentivo dentro le tute dei miei nuovi piloti, il mio primo pensiero non era per la difficoltà del mio compito, ma per loro».

Dalla Forza Armata — espressione con la quale Lorenzetti indica l’autorità militare — non gli era stata data alcuna indicazione esplicita: si trattava di vivere il comando secondo la sensibilità che il tenente colonnello Lorenzetti, pur giovanissimo, già aveva dimostrato in precedenti incarichi.

Quanto al colonnello Zanini (buon papà per tutti gli uomini del campo da quello che ci è stato dato di capire), si è reso conto «che avrei dovuto essere un po’ comandante, un po’ cappellano, di questi ragazzi». Si trattava dunque di ricostruire anche psicologicamente la pattuglia acro-batica. Che non poteva più essere quella di prima perché la tragedia aveva imposto nuove regole. «Paragonare a quelle precedenti le esibizioni che già abbiamo compiuto nel 1989 e che compiremo in futuro — dice Lorenzetti — non è possibile, perché siamo e dobbiamo essere diversi».

É stato difficile ricostruire la pattuglia? Lorenzetti ha trovato grandi piloti e, soprattutto, uomini veri: «Manico e testa, come diciamo in gergo volendo chiamare manico l’abilità di condurre un aereo e testa la capacità di muoversi in gruppo, in formazione come a terra. Quando cerchiamo gente nuova, e accade ogni anno per i normali avvicendamenti, nel girare alla Forza Armata (che poi deciderà) il nostro parere sui candidati, cerchiamo di tener presente vuoi il manico, vuoi la testa. Fuoriclasse individualisti non ci interessano, il nostro è un mestiere con ampi margini di pericolosità che, appunto con il ragionamento, cerchiamo di rendere il meno rischioso possibile».

Adesso c’è la soddisfazione dl poter dire che l’ultima esibizione dello scorso anno, quella fatta in Inghilterra per celebrare il venticinquesimo compleanno dei Red Arrows, la pattuglia inglese, è stata quasi perfetta ed è il punto «dal quale adesso si ricomincia in quel compito non scritto dl ambasciatori, del quale siamo orgogliosi quanto delle stellette che noi portiamo». Proprio come diceva una canzone militare.

Foto principale dalla pagina Flickr di varleyroger2002

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