Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre 2020
La bomba a nove ● La formazione esplode ● Ali legate ● Sotto il ponte di Sequals ● Il baldacchino della terra
di Goffredo Silvestri
da Il Vittorioso, anno XXVII, n° 37, 14 settembre 1963, pp. 12 – 13
Fa una strana impressione vedere il pilota di una pattuglia acrobatica che ti passa a volo radente a cinquanta metri di distanza, nella custodia lucida del plexiglass della cabina.
Alla vista di quelle manovre compiute a 900 km, l’ora (picchiate, grandi volte, accostate, tonneaux, trasformazioni in figure dai nomi di goccia, freccia, spina di pesce, sei di picche, losanga, triangolo rovescio, bomba, incrocio), speri che quegli apparecchi che si muovono vicinissimi, sempre compatti fra di loro, le ali contro le ali musi contro i timoni, siano guidati non da uomini ma da impulsi elettronici. Speri tutto questo, per non sentirti più piccolo di quanto tu non sia già, con i tuoi piedi saldamente per terra.
E invece i cinque F 86E Sabre delle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica dell’Aeronautica Militare che mi passano davanti gli occhi emettendo una lunghissima colonna dí fumo bianco sono proprio « abitati ».
Dalla « biga » o carro radio a terra, con la curiosa antenna ad ombrellino, non salgono misteriosi impulsi ma solo le colorite espressioni in padovano del maggiore Squarcina, direttore tecnico delle Frecce, che vuole la perfezione dai suoi ragazzi.
« Quattro, stai più basso, più basso! », urla nel microfono osservando la pattuglia, che si prepara ad una trasformazione del triangolo, e subito lassù il gregario numero quattro si abbassa di quel poco che va fatto.
Oggi Squarcina non è contento.
Hanno faticato tanto, lui e i suoi compagni, a mettere su una pattuglia di nove elementi, nove elementi che eseguono la bomba e l’incrocio (vale a dire le figure acrobatiche più temute, con gli apparecchi che di ritorno da una gran volta si incrociano con passaggi quasi simultanei e da diverse direzioni a una distanza minima dal suolo), ed ecco che tre si ammalano!
Per soprappiù, nel decollare, al « fanalino di coda » non rientra il portellone del carrello. Per evitare che in volo si sfasci tutto, è costretto al rientro.
Rimangono in cinque, ma vale la pena di seguirli.
Sono sbucati all’improvviso, animando con le ombre velocissime le acque della laguna di Orbetello, ma dando il tempo di ammirare la classica colorazione tricolore sotto le ali ed i timoni e la completa veste nera della fusoliera attraversata da tre frecce. Hanno fuori gli aerofreni per diminuire la velocità.
Sono qui ad Orbetello per far festa, loro giovani e giova-nissimi, agli « Atlantici »: i veterani di quella impresa che trenta anni fa suscitò l’ammirazione del mondo per l’aeronautica italiana, la crociera atlantica di 24 idrovolanti S 55 sulla rotta Orbetello-Chicago-New York-Roma.
Ora le Frecce si dirigono verso l’Argentario in formazione a triangolo e, dando l’impressione di schiacciarvisi contro, ne seguono la salita per poi balzare oltre la linea scura della montagna, in piena luce. Con una accostata a sinistra prendono quota senza che il triangolo si scomponga minimamente. Sembrano le punta della dita di una mano.
A vederli, si pensa che – coi reattori supersonici – sarebbero capaci di ripetere un esercizio classico d’alta acrobazia italiana, lanciato dalla « pattuglia folle » ben trenta anni fa coi lenti velivoli di allora. I componenti di questa pattuglia decollavano con loro Fiat CR 32, uniti uno all’altro per le ali da nastri non più lunghi di due metri. Facevano quota, eseguivano un programma completo, e quindi atterravano senza che alcun nastro si fosse rotto!
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Ma ora non c’è tempo per pensare a quei brividi d’altri tempi. Le Frecce puntano in picchiata verso di noi.
Per un curioso gioco di vento non si sente alcun rumore o quasi, e i cinque aviogetti sono fantasmi silenziosi. Sulle nostre teste, ognuno dei piloti incomincia a tirare a sé la cloche e i Sabre si impennano in una arrampicata che sembra non debba avere più fine. Si capovolgono nel giro della morte, e continuano a scendere nel cerchio perfetto del looping o gran volta. Alla fine, ancora sulle nostre teste, si ritrovano tutti insieme.
È in questi giochi di tremende accelerazioni e decelerazioni che i piloti vanno soggetti alla cosidetta visione nera e rossa, per l’affluire del sangue nelle gambe e nel cervello. Solo un allenamento estenuante (i piloti della pattuglia escono per due ore, tutti i giorni) e la tuta anti-g li salvano dal diventare ciechi. Non poche volte è il sudore che cala come una maschera sotto il casco.
Al termine della « gran volta », la pattuglia accosta ancora e si presenta in linea di fronte preparandosi per il doppio tonneau. La formazione esplode a ripetizione. I due gregari interni balzano di fianco aí loro colleghi e un attimo dopo questi ultimi ripetono la manovra ritornando all’esterno. Le due coppie di apparecchi si impennano su di una ala spostandosi letteralmente, e sempre sulla stessa linea, a destra e a sinistra. Sembra una azione di caccia, e d’altra parte gli F 86E sono i famosi Sabre dei duelli con i Mig sovietici durante la guerra di Corea.
Le trasformazioni ora si susseguono a ritmo serrato. Gli apparecchi scodinzolano appena per passare alla freccia, al triangolo rovescio, alla goccia.
Le figure dell’acrobazia moderna sono rigide e razionali, nulla lasciano all’imprevisto, alla iniziativa del singolo. Le disattenzioni o i ritardi di uno solo possono coinvolgere in un incidente tutta la pattuglia, perché le manovre devono essere rapide e precise. Di quanti sfioramenti millimetrici e scossoni furibondi per effetto del getto dell’apparecchio che precede potrebbero raccontare i piloti acrobatici? Sono passati, ad ogni modo, i tempi del ponte di Sequals quando l’acrobazia era campo aperto per la fantasia e la spericolatezza del singolo.
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La storia del ponte di Sequals è vecchia di moltissimi anni, ma fa ancora tremare.
Si trovava sulla rotta percorsa dai caccia del 1° Stormo per andare da Udine al poligono di addestramento al tiro nella zona del Vivaro. Era un ponte normale, ma con due grossi difetti. Aveva tre arcate, la centrale più grande delle laterali, e soprattutto si trovava sulla strada di piloti che da buoni cacciatori fremevano per avere un poco di libertà di « manico ».
Un giorno il sergente Diamare lasciò la propria pattuglia e buttandosi in picchiata si lanciò sotto il ponte, sotto l’arcata più grande, sbucando dall’altra parte. Ripeté la manovra, e di lì a pochi giorni tutti gli altri piloti avevano provato l’ebbrezza del passaggio sotto il ponte. Ma Diamare non si fermò qui. Appena uscito dall’arcata richiamava l’apparecchio e gli faceva eseguire il giro della morte e la gran volta per infilarsi di precisione sotto il ponte. Quando anche questa manovra venne eseguita dai colleghi, Diamare volle tentare qualche cosa di troppo. Trascurò l’arcata principale e scelse una delle laterali, più bassa e stretta. Passò anche questa volta, ma all’uscita si trovò contro un palo telegrafico e l’apparecchio volò via in mille pezzi.
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L’esercizio al quale le Frecce si apprestano sembra un omaggio a tutti i piloti che, con il loro coraggio e sacrificio, hanno aperto la strada di questo particolarissimo ardimento.
La pattuglia è altissima, in una formazione che non riusciamo a distinguere bene. Poi si apre un fiore bianco, lontanissimo, e i cinque apparecchi precipitano verso cinque punti diversi seguiti da una scia di fumo bianco. È la bomba inversa. Invece di scoppiare in basso, all’inizio della vertiginosa arrampicata che precede l’apertura, la gran volta e l’incrocio, scoppia altissima e fa pensare ad un immenso baldacchino alzato sopra la Terra con cinque festoni lanciati ad ogni capo dell’Universo e tenuti saldamente dalle mani e dal cuore di un uomo.
Foto in alto, da sinistra: Decollo collettivo a formazione stretta; In ala scalata; A triangolo; A freccia; A candela; In triangolo rovescio.
I fotocolor: 1) Ci si prepara al decollo – 2 e 3) Ci siamo tutti – 4) Agli apparecchi – 5 e 6) arrivederci alla terra.
da Renato Rocchi, La splendida avventura – La storia del volo acrobatico, vol. 3°, p. 50
■ 30 giugno – Orbetello – Idroscalo
● Raduno piloti Crociere Atlantiche
● organizzazione: Comando 2 Regione Aerea
● programma: “Alto di 5 F. 86E”
sotto dettatura di Squarcina figura dopo figura, in quanto, dopo il decollo da Grosseto, a Liverani non si chiudevano i portelloni del carrello e doveva rientrare.
A ricordare la esaltante prestazione di le Bourget in “9”, era avvilente questa di Orbetello. Squarcina era nero con i “superiori Comandi”.
“Fossimo stati in “9” – sbottava – anche senza il fanalino, si faceva tutto il programma. No! dobbiamo volare in “6”, per ritornare tra venti giornia presentarci in “9”!” E non risparmiava il Capo di Stato Maggiore.
E il Gen. Aldo Remondino, un uomo di Stato Maggiore “navigato”,di rimando, battendogli bonariamente la mano sulla spalla: “Caro Caro Squarcina, in questo santo e dannato mestiere, sono inconvenienti che capitano. Hanno fatto la loro bella figura anche in “5”. Porta loro i miei la saluti.”
Ma a Squarcina non andavano giù quei portelloni che non si chiudevano. E se la prendeva anche che con gli specialisti.