(Ultimo aggiornamento: 15 Maggio 2019)

di Roberto De Simone
da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale
anno 2 – n° 2 – 1/12/2000 – pag. 6 # anno 3 – n° 3 – 7/04/2001 – pag. 4 # anno 3 – n° 2 – 1/12/2001 – pag. 5 # anno 4 – n° 5 – 1/06/2002 – pag. 4

Era una giornata qualsiasi del mese di gennaio dell’anno 1961, “mese a me caro, ci sono nato!”; il sole era riuscito a rompere la nebbia che gravava sulla Base Miramare di Rimini, e mi apprestavo alle operazioni post-volo dei G.91 prototipi assegnatimi. Il morale era alto, così alto da apprezzare il sole e il suo tenuo calore.
Una voce mi raggiunse dai pressi del Comando Gruppo Autonomo 14° della 2^ Aerobrigata: mi invitava perentoriamente dal Comandante Ten. Col. Davini, che raggiunsi, attraversando il prato che separava la margherita di parcheggio dal Comando. Domandai al mio interlocutore cosa fosse accaduto, mi rispose “non lo saccio, non conosco l’argomento, ho solo sentito “Penna Bianca” (così era soprannominato il nostro Comandante) alterarsi per il “furto” di personale che qualcuno al telefono gli proponeva”.
Il Colonnello Davini era un ottimo Comandante, molto autoritario e geloso del suo personale. Rallentai il fiatone prodotto dalla corsa (quando ti chiamavano dovevi sempre correre!), mi ricomposi la tuta odorante di kerosene, bussai ed entrai dal Comandante Davini. Mi parve più incaz…. del solito, indi, era meglio battere i tacchi molto forte, distendere le braccia ai fianchi, mento e sguardo in alto: “Sergente De Simone Roberto a rapporto!; mi allungò il ricevitore nero del telefono, che in quel momento mi appave più chiaro del mio Comandante, che aggiunse: “è per te!”
Non avendo mai avuto Santi in Paradiso… cercai nella mia mente di immaginarmi il mio interlocutore telefonico, mai avrei indovinato! La voce che usciva dal ricevitore in risposta alla mia presentazione era chiaramente di inflessione veneta, con una serie di: mi-ti-ti-mi-mi-te, mi domandò la mia disponibilità volontaria a far parte della Pattuglia Acrobatica Nazionale, e se avevo un collega di pari conoscenza dei velivoli F-86E Sabre e G.91 prototipo. Balbettai! “sì, … Sissignore!” e concluse dicendomi che sarebbe subito arrivato l’ordine di trasferimento.
Nel riporre il ricevitore sul telefono mi domandai “ma dove?”. Il Comandante Davini mi chiese di riflettere e che avrebbe informato tutti gli specialisti per la verifica di altri volontari.
Mi resi conto di essere diventato un “traditore” del 14° Gruppo. Cosa avrebbero pensato i colleghi? Ai superiori, forse la mia vita sentimentaltecnica non interessava, li avevo stimati e amati, ma il 14°? Il Gruppo, l’ambiente aeronautico in cui sono nato, l’orgoglio dell’appartenenza malgrado le dicerie lo relegassero allo “scarto” della 2^ Aerobrigata, mentre l’8° e il 13° Gruppo erano composti da soli “campioni… a tre ali”.
Pensai al mio primo Comandante, il Maggiore Giudice, all’arguto e apparentemente inflessibile Magg. Masi, ma decisamente lasciare tanti amici, gente con la quale avevo vissuto e sofferto situazioni inimmaginabili oggi: il freddo, la fame, il lavoro infinito a tutte le ore, le guardie di sentinella montate fino al grado di 1° Aviere, il peregrinare del Gruppo: da Bergamo “Orio al Serio” a Montichiari “Brescia” via M.T.D. con gli americani, Pratica di Mare ove ci raggiungevano gli F-86 Sabre provenienti dall’America e reduci dalla guerra di Corea, le prove di accettazione “compreso il volo supersonico in picchiata”, Cameri – Novara, Pisa e infine Rimini con parentesi nei poligoni di Crotone e Brindisi. Incredibile!
Eppure non avevo avuto dubbi: la P.A.N. era il mio obiettivo.
La sera stessa ne parlai con uno dei più fraterni amici, il S.M. Medici Angelo, specialista ben preparato e intelligente. Alla mia informazione sulla possibilità prospettata mi guardò attraverso una nuvola di fumo da lui sprigionata, con il solito sguardo tra lo svanito e il divertito. Gli dissi che io avevo accettato senza neanche dirlo con le parole! E lui? Con fare non curante mi rispose: “ vengo anch’io! “e si gettò sulla branda, come solea fare, ancora in tuta di lavoro.
La notte fu un tonneau continuo nel letto. Al risveglio non osavo guardare il S.M. Medici perché temevo che mi avesse preso in giro; soprattutto, incontrando i colleghi al Gruppo avevo la sensazione che già lo sapessero e il loro sguardo mi apparve arcigno.
Coloro che mi sorridevano li associai ai non informati.
Invece ci fu un’adunata riservata ai giovani Sottufficiali Specialisti del 14° Gruppo. Il Comandante informò tutti i presenti della opportunità di aderire volontariamente alla costituzione della P.A.N. rammentando che al massimo due Sottufficiali sarebbero stati trasferiti. Fui preso da scoramento, ricordando la brutta analoga esperienza vissuta nel 1957: mi proposi disponibile per i Lanceri Neri, fui accantonato, come altri dal Comandante Masi, essendo ritenuti più utili per l’attività intensissima del 14° Gruppo. Ma quando ci fu la fatidica domanda: chi si propone volontario? Medici e De Simone alzarono… quattro mani contemporaneamente! Altri ci pensarono qualche giorno ed infine non se ne parlò più.
Mancavano pochi giorni alla fine del mese di febbraio, il S.M. Medici avrebbe compiuto il giorno 29 il suo compleanno… ricorrente ogni quattro anni, fummo raggiunti dal fonogramma e foglio di viaggio con destinazione Rivolto/Udine – Reparto P.A.N. – in forza dal 1° marzo. Avevo già conosciuto la pista di Rivolto per aver partecipato nel 1959 alle prove e addestramento Piloti su striscia erbosa “decolli e atterraggi” con velivolo G.91. Ero pertanto a conoscenza dell’assenza totale di logistica: oltre alla torre di controllo (amministrata e gestita dal buon M.llo Bertossi) due baracche e gli alloggi Avieri completavano l’ambiente.
Fatti i bagagli, lasciammo in treno la città di Rimini, il cuore… e le tante avventure vissute. Giungemmo a Udine nel primo pomeriggio del giorno 28 febbraio.
Uno sguardo fuori al piazzale della stazione ci fece capire che neppure “il camion della spesa era venuto a prenderci”. Non ci perdemmo d’animo; malgrado le nostre finanze non lo permettessero, prendemmo un taxi. Il conducente chiese la via da raggiungere, la risposta fu: Aerobase di Rivolto! L’autista bloccò la vettura (una 1100 Fiat ben curata) informandoci della distanza enorme (per l’epoca) da percorrere e quindi il costo. Subito dopo aggiunse: ma forse dovete andare alla Brigata Missili di Campoformido! Rimanemmo senza parole, perché il solo nominar “missili” nei Gruppi di volo era come bestemmiare! Sta a vedere che ci hanno tirato un bidone!
Arrivati che fummo davanti alla sbarra di ingresso di Campoformido, scaricati i bagagli in mezzo alla strada, presi dallo sconforto ci sedemmo sul mio baule senza proferir parola.
Un Tenente dai baffi rossi ci diede il benvenuto…”cosa fate lì, chi siete, dove andate, a quale Gruppo siete assegnati?” Il S.M. Medici, grande divoratore delle sue unghie, stava completandone l’ispezione con quasi tutte e due le mani in bocca e il berretto sulle ventitré, rispose al Tenente: noi siamo della Pattuglia. “Quale Pattuglia?” Rimandò il tenente rivoltandosi verso il Sottufficiale d’Ispezione e un carabiniere. Ci fu un attimo (lunghissimo) di pausa…”ah, ho capito, voi siete volatili!” Ci rilassammo, sedendoci di nuovo sul baule.
Con voce urlante il Tenente ci portò alla realtà del luogo dove eravamo piombati (una caserma?). Tentammo in due di raccogliere tutti i bagagli e mettemmo il piede dentro la “caserma”; pardon il Comando Brigata Missili di Udine – Campoformido.
Fummo accompagnati agli alloggi… una baracca color verde sbiadito, un odore di compensato forte, misto a polvere e un odore di umido ci accolse. Il corridoio stretto ci costrinse ad abbandonare i bagagli e a procedere alla presa in consegna delle nostre camere… L’accompagnatore, consapevole del luogo, ci propose di scegliere la camera che preferivamo….Pareti simil- cartone ondeggianti, buchi sul pavimento e piede di parete ci informavano che “non saremmo stati soli in alloggio”.
Il nostro accompagnatore si dileguò e noi tornammo all’esterno dell’alloggio… ci sedemmo sul nostro… trono e rimanemmo in silenzio.
Il S.M. Medici continuò nella sua azione di distruzione delle unghie e polpastrelli delle mani. Ad un tratto il nostro silenzio fu interrotto da una voce greve e passi di più persone: ci voltammo automaticamente e scattammo in piedi sugli attenti, gli Ufficiali accompagnavano il Comandante dell’Aeroporto Campoformido Col. Pil. Aldo Gon (nessuno di noi due aveva conosciuto prima questi Ufficiali). Il Comandante con la sua cordialità ci iniettò un po’ di ossigeno. Il suo benvenuto ci dava linfa, ma dentro di noi il cuore era spento. Osammo domandare se ci fossero altri alloggi; rispose che, purtroppo, per i Sottufficiali non c’era nulla di meglio. Ci promise che all’arrivo del nostro comandante ci sarebbe stato il suo particolare interessamento al problema.
Decidemmo di metterci in borghese e di andare ad esplorare Udine.
Il 1° marzo arrivò dopo un’altra tormentata notte; il sole del mattino mi ricaricò, spronai il mio superiore… Angelo Medici ad alzarci svelti per guadagnare la via dell’Aerobase di Rivolto: lì almeno avremmo respirato la nostra aria: “gli aeroplani!”.
Giunti con una campagnola in quel di Rivolto, fummo accolti dal Comandante della Base, che in bicicletta lasciava il suo alloggio di servizio con la “fida gazza” sul manubrio della bicicletta. Ci informò che nessun aereo aveva preso terra e nessuna notizia di piano di volo era pervenuta. Raggiungemmo la linea di volo – parcheggio situata altre il raccordo – pista.
La riconquistata libertà degli spazi, unitamente alla bellezza del piano sedime aeroportuale e lo scenario incontenibile delle Alpi ancora abbondantemente innevate, ci fece riavere dall’impatto con l’Aeroporto di Campoformido.
Le notizie avute tramite l’uomo più prestante e “friulano”, il M.llo Bertossi, ci aprivano un barlume su tutto quello che non sapevamo: attendiamo un C-119 da Grosseto che porterà i vostri colleghi specialisti della 4^ Aerobrigata; i reattori arriveranno forse nella giornata odierna. Quanti fossero nessuno lo sapeva, chi fossero i Piloti altrettanto. L’unico nome noto era “il Comandante: Maggiore Pilota Mario Squarcina”.

Il 1° di marzo 1961 ci schiuse gli occhi sui nostri colleghi assegnati alla P.A.N.. Poco onorevolmente, anche loro avevano avuto la prima avventura. Partiti da Grosseto con il velivolo C-119 anziché prendere terra a Rivolto, il Comandante decise per l’atterraggio ad Aviano. Rivolto non garantiva assistenza. Alle 23.45, cinque uomini “senza volto” (così amerò ricordare gli Specialisti del 313° Gruppo) a mezzo di un camion trasportavano se stessi e le prime attrezzature per i Sabre. Già, i Sabre dove sono?
Uno dei tre, Serg. Andreatini Luciano, lascerà in tutti gli uomini “senza volto” la sua generosità e capacità dimostrandosi -uomo unico e raro! Con lui, un mio collega di corso, il Motorista Sandro Locci, tecnico preparato e di grande umanità; il terzo, un Signore: Bruno Magris; il quarto “un giullare”: Giacomo Morrone; il quinto un filosofo: Gabriele Annunziata. Una certa timidezza mi circuiva al confronto di uomini già componenti della Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo nel 1960.
Presto, grazie alla naturale solidarietà tra colleghi di corso, anche se di diversa categoria, incominciammo a scambiarci le prime informazioni, o meglio quello che non sapevamo… già, perché sembrava tutto uno scherzo! Sembravamo la sentinella di guardia al classico fusto vuoto di benzina nel deserto.
A Rivolto la natura era sicuramente più amica… del deserto, però qualche cosa in comune l’avevamo: senso di vuoto e silenzio lunare.
La meteorologia non ci aiutò; i tanto agognati aerei F-86 Sabre non arrivavano. Finalmente la successiva mattina si presentò meno avara.
Le nubi incominciarono a squarciarsi iniziando “come sempre” dalla verticale della pista. Il primo pomeriggio fu più lungo del solito.
Capi-velivolo qualificati eravamo solo in due, quindi organizzammo una seduta informativa tra di noi e così scoprimmo di non avere neppure “un tacco” da mettere sotto la ruota dei velivoli. Nel tentativo di trovare delle pietre ci inoltrammo a semicerchio nei prati circostanti il raccordo con la contropista. Fummo fortunati: dall’erba emerse un doppio tacco in legno unito da una corda oramai logora. L’impegno si fece più audace dopo il primo successo e così mentre rastrellavamo il prato… alle nostre orecchie arrivò il suono – “per noi musica” – che ancora distante emettevano le turbine dei 6 Sabre.
Finalmente il grande concerto era incominciato. Un misto di paura e di felicità incontrollata ci pervase tutti: ognuno con un comportamento estetico proprio. A caso, ognuno di noi si sistemò in modo da ricevere un aereo. Niente guanti, niente cuffie antirumore, niente di niente… però un cuore grande così!
All’arresto del mio aereo provvidi allo sblocco del poggiapiedi, premetti il pool, mi afferrai e balzai sull’ala argentea, l’impennaggio direzionale mi mostrò con tutta nitidezza il “Cavallino Rampante”.
L’Ufficiale cavò la testa dal casco, un uomo moro che accennò un sorriso stretto, che mise in evidenza i suoi bianchi denti, era il Capitano Massimo Scala.
Aveva qualche anno più di me. Mentre si liberava della imbracatura, corsi a fermare l’ultimo velivolo. Ritornato che fui al primo, salutai l’arrivato con le frasi di circostanza: il velivolo è ok?
Da quel momento non lascia più quel velivolo, se non “per puro caso”. Il giorno 3 maggio che mi portò via tutto! Ma andiamo per tempo. Il debriefing ci permise finalmente, di vedere il nostro Comandante, che conferiva con i piloti seduti a terra a cerchio.
I velivoli rimasero lì miseramente coperti dalla loro lama d’acciaio,i tettucci chiusi, la presa d’aria libera, i rifornimenti da fare.
Il Comandante Mario Squarcina, che era già al corrente della mancanza di mezzi per operare, ci assicurò almeno una campagnola e l’autobotte per i rifornimenti. Presto arriveranno altri uomini, ci rassicurò.
Sarà mio impegno, da questo fatidico giorno, di non accennare agli uomini con la cloche perché quella era un’altra storia: è la meravigliosa avventura! Noi, gli uomini “senza volto”, cercheremo di raccontarla da basso, dalla parte di quello che non si vede, da ciò che è ritenuto superfluo e casuale o cosa da tutti.
L’organizzazione dei cento passi (la linea di volo rischieramento velivoli) e quella dei cinquanta passi (l’hangar di manutenzione velivoli) incominciò tra mille difficoltà.
Di li a pochi giorni arrivarono altri uomini “senza volto”.
Un cocktail difficile da capire. All’arrivo di due “anziani” anziché chiarire la situazione, rischiò di creare due squadre e in mezzo una neutrale: io appartenevo a quest’ ultima.
Le giornate si fecero lunghe, l’attività di governo dei velivoli era il lavoro minore, c’era da fare di tutto e tutti erano coinvolti in questa festa che cresce sempre di più, perché lo stare tante ore assieme insegna tecniche di scarico impensabili.
A quel tempo il Friuli era molto avaro di tutto, soffrimmo non solo gli scadenti alloggi.
Il Comandante Squarcina, dopo pochi giorni dal nostro arrivo a Rivolto decise di sospendere l’attività per una settimana, mandandoci ai nostri rispettivi lidi con un C-119. Al nostro ritorno arrivarono nuovi alloggi, due autisti, una campagnola e qualche persona in più. La stagione estiva del 1961 fu portata avanti da non più di 14 uomini “senza volto”.
Le manifestazioni iniziarono in sordina, queste trasferte tanto attese, e da noi sopportate con orgoglio, ci fecero capire la differenza tra noi e gli altri. L’aspetto che più ci metteva in difficoltà non era la mancanza di una divisa comune del Reparto, ma la tecnologia che alcune pattuglie presentavano. All’epoca gli Inglesi e i Francesi la facevano da padroni con i fumi colorati (anche se un pò…scolorati). Man mano le uscite (manifestazioni) avanzavano, anche l’orgoglio e il morale aumentarono.
Il Comandante Squarcina oltre che lavorare nel suo difficile specifico, ha in tutti i modi cercato di costruire un “Gruppo di persone”dove la reciproca solidarietà era sempre presente.
Le gratificazioni non erano solo verbali, ci parlava – coinvolgendoci – di “triangoli, assi, trasformazioni, parametri
ecc. ecc…” tutte cose da capogiro! che ci stupivano, attendendo da noi un parere!
La Sua ecletticità lo portò ad avvicinare un’altra passione, il calcio, e che calcio! Arrivò a portare il giovedì la squadra di calcio dell’Udinese sul sedime del campo di calcio di Rivolto e così costituimmo una nostra squadra dove ovviamente il Capitano era Squarcina; il portiere (con pagliaccetto di volo), il Ten. Sabadini; centromediano Pittana, un vero calciatore di classe (sprecato!); un’ala funambula, Bruno Bot; altra ala “indipendente e polverosa”, il Ten Vianello, la forza e simpatia in persona, ma al pallone dava del lei… il freddo e calcolatore Ten. Ferri, e poi, a rotazione, tutto quello che passava il convento. Anche in questo sport il Comandante Squarcina dimostrò la sue grandi doti tecnico – atletiche. Il tifo era forte e partecipato(nessuno poteva essere assente o squagliarsela). In questo stupendo “periodo di calcio” un altro singolare personaggio si affacciò a Rivolto: il Sergente Autista e Pilota Gilberto Volpi, un grande giullare, imprevedibile assonnato e contemporaneamente eroico. Il suo ruolo…il suo modo di essere ha lasciato in tutti coloro che lo hanno conosciuto un momento particolare da ricordare.
Ogni giorno, o quasi, si aggregavano al Reparto, uomini e materiali. Le “uscite” entro un raggio di 100 – 150 chilometri erano seguite da noi con un pullman ed un camion; oltre questa distanza con gli amici della 46^ Aerobrigata di Pisa a mezzo del fantastico e poi “maledetto” C-119. Con questi amici ci accomunerà per sempre il sacrificio dei nostri colleghi.
La stagione 1961, la prima, l’indimenticabile, raggiunse il suo apice a “Italia 61” a Torino. All’estero: Strasburgo, Monaco, Ahlhorn. Quest’ultima ancora oggi mi fa rabbrividire ed elettrizzare. Sono stato testimone del momento culminante della decisione di Squarcina di andare in volo malgrado le proibitive condizioni meteo. La pioggia, la nebbia e le nubi basse non avevano impedito la presenza di tantissimi spettatori tra cui molti bambini e donne.
La fusoliera del nostro C.119 era diventata l’unico ricovero possibile. Tutti dentro, chi giocava a carte o ramino, altri a pinnacolo. Ad un certo punto, il collo del leader Squarcina roteò su tutti i gradi che componevano il blindo vetro della cabina di pilotaggio, si voltò verso l’interno e con voce ferma raggelò l’ambiente: “ragazzi, se mi seguite, andiamo in volo! Questi spettatori sono eroici, noi non saremo da meno”.
Gli uomini “senza volto” lasciarono subito la “sala briefing”, precipitandosi a preparare gli aeroplani. La pioggia era battente e inflessibile, la visibilità della pista, malgrado non fosse molto lunga, si stentava a vederla tutta, e le nubi… nubi che solo in Belgio avevo viste più basse. Dentro di me pensai che fosse solo un’idea… un tentativo, no!
La P.A.N. Italiana va in volo! (nello scrivere questa frase a distanza di 40 anni ho il groppo in gola).Mai silenzio fu tale, al punto che i gruppi elettrogeni per l’avviamento dei motori mi apparvero rumorosi più del solito. Visi lunghi, un solo uomo accennò il suo immancabile sorriso: Bruno Vianello. Al momento del disinserimento delle spine di sicurezza del seggiolino eiettabile le mostrai al pilota più volte. Fu un gesto naturale,”io ho fatto tutto quello che potevo, ora tocca a te!”
Le forti sensazioni provate in quei pochi minuti di volo potrebbero riempire un libro. Due su tutte le citerò: una comunità di siciliani emigranti ruppe gli argini di protezione e raggiunse minacciosa la linea volo dove ancora non erano fermi i Sabre (il Sabre è stato un aereo mangia uomini). Noi, gli uomini “senza volto”, imprecammo al possibile incidente; per fortuna la polizia tedesca con un carosello di agenti motorizzati riuscì quasi… a impedire il contatto (i nostri immigrati urlavano in coro “Italia…Italia… Italia”! Questo ricordo mi porta ancora oggi le lacrime agli occhi. Grazie emigrati, grazie Italia!)
La seconda sensazione la provai alle parole del Ten. Imparato: “dopo questo volo vado a fare il fantino”. Il Comandante Squarcina era euforico, gli altri piloti si ripresero più avanti con gli scrosci di applausi meritati.
Il rientro in Italia in mezzo alle nuvole, il ballo continuo e permanente non riuscirono a scolpire neppure un grano dell’avventura vissuta: la P.A.N. cresce!
L’autunno del 1961 ci portò un regalo… la realizzazione artigianale dei fumogeni fissi ed elettrocomandati, sotto ladirezione del “dux imperat”, gli uomini “senza volto”: Cecchinelli, Graziutti, Azzano, Andreatini, Medici, Pittana, De Simone. E tutti gli altri uomini dei “cinquanta” e “cento passi” iniziarono un’opera che poi si affermerà nel mondo intero!
L’impianto pressurizzato elettrocomandato di fumogeni a colori per aeromobili.

Gli anni 1962 e 1963 dovrebbero essere ricordati per il grande volume di lavoro e di importanti nuovi assegnati tra gli “uomini senza volto”. Questo gruppo di Specialisti si dimostrò a mio parere pronto a qualsiasi avventura pur di riuscire nell’intento che il Comando si era prefisso. Oltre alla nota attività di volo, di manutenzione ordinaria, lo straordinario (inteso come lavoro aggiunto) fu il completamento del progetto dei fumogeni. La loro difficoltà consisteva non solo nei pochi mezzi a disposizione, ma soprattutto nella ricerca della tecnologia “tutta da inventare“. Per esempio: non si potevano utilizzare carichi esterni e l’idea ci portò ai porta proiettili d’arma, vano, questo ben noto per salire sul Sabre; i “cassettoni” furono sostituiti da bombole in ferro saldato a prova di pressione e la quantità d’olio per fumo risultò insufficiente ad alimentare le bianche iniziali scie delle future “Frecce”. Quindi si pensò ad altre soluzioni che comunque non dovevano modificare la sicurezza del vettore. Dopo ampie riflessioni, si giunse alla conclusione di sfruttare lo spazio “intercapedine”, spazio compreso tra due pareti, e di forma opportunamente studiata per lo scopo sul lato inferiore “motorecellula di coda”. Da questo momento, l’armiere Luciano Andreatini resterà segregato nel codino per molti mesi… Il materiale “bombole” fu realizzato dal gigantesco fabbro signor Grillo, con fucina tra le località di Zompicchia e Codroipo, sotto lo sguardo attento del M.llo Cecchinelli (cacciatore per antonomasia). Il fabbro profuse impegno, amore e pazienza dedicata ai nostri desideri… difficili. Armieri, Montatori, Elettromeccanici, Motoristi e Capo velivolo furono assegnati alla… catena di realizzazione e montaggio e, a questi ultimi fu, assegnato l’ingrato compito di addolcire le tubazioni rame con una lampada a fiamma “primus”, piegando secondo schemi di passaggio tra le centine: dal vano armi fino al getto in coda. Ancora una volta la totale mancanza di attrezzature procurò casi di intossicazione da ossido di rame. Il comando elettromeccanico con i mezzi a disposizione risultò (in principio) poco attendibile, molti esperimenti furono necessari e… come sempre accade nelle prove a terra, risultava accettabile, in volo… un pò meno! Ma le teste “d’uovo” non mollarono e fu un trionfo. Poi non rimase che la pazienza di caricare l’impianto (inizialmente con pompa a mano) di olio scaduto per le scie bianche. Nei trasferimenti diventerà il volume-peso maggiore da imbarcare sul C119.
L’inverno “polare” che accolse il secondo importante lavoro: “sverniciatura dei velivoli”. Originariamente il velivolo della P.A.N. F86 Sabre aveva una livrea “nero-azzurrina” con dardo; ai più dava tristezza e nessuna aggressività in volo. I nuovi colori e simboli non erano vistosi o aggressivi ma avevano il dono di resistere nel tempo… ancora oggi sono “Frecce”! Permettetemi di ricordare il grande contributo dato dal Serg. Marconista Luigi Pinna alla stesura della bozza del distintivo delle “Frecce Tricolori”. Pinna abbandonò il servizio attivo per dedicarsi all’espessione dell’arte, e da molto tempo è pittore affermato.
Il lavoro di “denudizzazione” della cellula velivolo fu assegnata “come dopo lavoro” agli specialisti… volontari… quasi tutti! Lo sverniciatore, sostanza impressionante per la devastazione che portava alla vernice, ci fece subito capire a quale alto rischio eravamo esposti. Nella parte superiore del velivolo era più semplice anche se esposti comunque ai gas e spruzzi, le superfici sotto le ali, piani di coda e fusoliere erano un calvario. La rapidità con cui produceva ustioni era impressionante. Ricordo il M.llo Bellomo (ufficio tecnico): impietosito dalla fatica altrui volle dare una mano, ma la sfortuna lo respinse subito con un occhio accecato dal potente prodotto. La rimozione della vernice veniva completata con potenti getti d’acqua, il “dux imperat” non la sospendeva neppure a molti gradi sotto zero, tanto da farci diventare degli “uomini di ghiaccio”. È fisso nella mia memoria il M.llo Graziutti con la tuta e berretto completamente avvolto nel ghiaccio (a quel punto la macchina fu fermata).
Momenti epici, storici… ma anche sfiancanti. Una sera, erano circa le ore 22.30, il Comandante Squarcina entrò nell’hangar con il solito suo entusiasmo, non ricevette molta attenzione, si chinò sotto l’ala del Sabre, ma il suo sorriso si spense di botto e tuonò: da domani vi farò aiutare dai Pilotini! Evidentemente eravamo apparsi ai suoi occhi “in forma pietosa”!
Nelle uscite il Comandante Squarcina ci rendeva fieri di essere ed appartenere al Reparto, ripagando probabilmente quanto gli Specialisti con la loro abnegazione avevano reso possibile.
Le manifestazioni in Italia e all’Estero delle stagioni 1962-63 coniugarono quanto di meglio una “Famiglia può esprimere”. Il Comandante Squarcina ci conosceva e ci stimava individualmente nei pregi e difetti.
Personalmente ho avuto la fortuna di essere il Capo Velivolo del Capo formazione Cap. Franco Pisano [ vedi foto ], Ufficiale e Pilota unico, che ha saputo creare un connubio di reciproca stima. Credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi dell’epoca assegnando al triennio 61-62-63 l’epica di averne fatto parte come fondatori di una epopea che non finirà mai!

Con il cambio di Comando tra il Magg. Mario Squarcina e il Magg. Roberto Di Lollo [ vedi foto ] finisce il periodo della fondazione. Nel 1964 inizia l’opera di stabilizzazione della P.A.N. e per gli “uomini senza volto” ci sarà un incremento numerico progressivo, che fece parafrasare la sigla coniata del Com.te Di Lollo “U.N.P.A.” in “U.F.R.S.” (Unione Friulani Rimpatriati Speciali): sì, perché un Reparto così attivo non dava tempo all’ambientamento e al doppio comando, richiedendo immediatezza d’impiego alle nuove forze. Quindi tra una sofferenza e l’altra, come già detto, l’umorismo non mancava!
L’anno 1964 vuol dire “G. 91”, una macchina italiana nella progettazione e costruzione, valorizzata soprattutto dal motore inglese (primo motore a reazione capace di accelerare quasi pari al motore alternativo: “una delizia il suo SLAM!”) e carrello francese (grande protagonista per decolli e atterraggi su strisce erbose) che ne facevano il vanto dell’Italia e della P.A.N.. Personalmente ero uno dei pochi che lo aveva già vissuto, sia nella fase di sperimentazione a Torino sia al Reparto. La sua linea aerodinamica ci faceva sentire più forti al cospetto di altre macchine volanti straniere. La manutenzione era più delicata, e per questo rendeva maggiormente partecipi “gli uomini senza volto” al successo generale che lo vide protagonista per molti anni. Gli uomini che sedevano ai loro comandi mi sono apparsi “per sempre” i migliori sotto ogni aspetto. La professionalità apportata alla P.A.N. fece progressivamente diminuire l’autostima di appartenenza degli “uomini senza volto” perché sempre più distanti dagli eventi che potevano gratificare il loro impegno. La vita sociale si distanziò sempre di più nel tempo, fino quasi ad estraniarci “fisicamente”, ma non moralmente: l’appartenenza non subì mai flessioni.
Si giunse così fino al 25 aprile 1970…, sei anni per descriverli non sarebbero sufficienti, nemmeno un volume di seicento pagine; dal mio diario estrarrò solo una piccola parte dedicata agli amici, ai più grandi, a coloro che immolarono, per l’Italia, per l’Aeronautica Militare, per il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico la loro vita:
Cap. Salvatore De Crescenzo
M.llo Giambattista Toso
M.llo Erminio Torondo
M.llo Luigi Caporossi
M.llo Rosario Fichera
S.M. Giuseppe Valentino
S.M. Bruno Bot
Serg. Eraldo Bertolini
Serg. Pietro Grassi
Serg. Gerardo Cavaliere

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