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testi di Gabriella Fortuna e foto estratti da “Columbus ’92 – PAN in Nord America” – Stato Maggiore Aeronautica

Le traversate e i trasferimenti

“L’aerobase di Rivolto è un frenetico via vai, un brulicare di tecnici e piloti, ufficiali e, familiari, tutti affacendati in quell’ultima cosa da dire, in una questione che bisogna assolutamente sbrigare ora, senza perdere un solo secondo, perchè poi la missione ‘Columbus ’92’ calerà per due mesi il suo sipario sul tavolo degli impegni e degli affetti.

Una telefonata, un saluto, un abbraccio. E poi via. A liberare ricordi e sentimenti oltre un confine remoto quella linea di demarcazione tra ‘professionale’ e ‘personale’ che in nessun altro caso, come nei piloti delle ‘Frecce Tricolori’, è un muro alzato tra la realtà quotidiana e la quotidiana sfida alla vita in nome di un sogno, di un ideale che basta da solo a colmare il vuoto lasciato dalla rinuncia a tutte quelle piccole e ordinarie realtà che talvolta ci strappano un sorriso, e spesso ci riempiono l’esistenza.

Ora i piloti sono lì, a rombare il loro saluto sulla pista. il loro viaggio è iniziato nei momento in cui hanno preso posto su quel minuscolo biplano capace di compenetrarsi con l’individuale perizia per elevare alla massima potenza rischio e perfezione, opposti termini di un volo acrobatico che distribuisce coriandoll di sogni a tinte tricolori da una parte all’altra dell’Oceano. L’America compie cinquecento anni e loro, i ragazzi delle “Frecce”, non potevano mancare. Portano in dono l’immagine pulita dell’italia, quella disegnata con le tinte della fantasia, della creatività, della capacità tecnica e dell’umana comunicazione dentro una cornice doppia usi e saluti da consegnare alla cineteca delle emozioni. Cinquecento anni fa, il mondo era sbarcato in America dalle Caravelle di Cristoforo Colombo; oggi è l’America a “scoprire” l’italia.

Un Paese che, sulle ali delle Frecce, non racconta più storie di mafia e tangenti, intrighi di palazzo e palazzi di capitali in rovina sul ciglio dell’Europa. Quella della PAN è piuttosto l’italia di ciascuno di noi, l’ideale di Patria così come noi vorremmo che fosse e che non riusciamo mai a vedere. Eppure, che possiamo ancora respirare negli arabeschi ipnotici dipinti in cielo da una fumata tricolore, come una fiaba che non si racconta a tutti, ma solo a chi ha la capacità di andarla a scoprire per crederla possibile. i tecnici incaricati dell’ultima verifica, a ciò che per ore avevano messo a punto in ogni singolo dettaglio, alzano entrambi i pollici verso il cielo ad ogni aeroplano: ‘Tutto in regola, ragazzi. Potete partire. E… in bocca al lupo’.

‘Columbus ’92’ comincia così, un’assolata mattina di giugno. Con tanto entusiasmo in corpo, e tanta voglia di dare un senso a quegli ultimi tre mesi di impegno non-stop, all’aerobase militare di Rivolto come allo Stato Maggiore dell’Aeronautica, per perfezionare una missione destinata ad entrare nella leggenda delle Forze Armate italiane: per il successo acrobatico, tecnico e umano nello spettacolo di due mesi che ci hanno reso un pd più orgogliosi di essere italiani. Certo, in Nord America le Frecce Tricolori erano già sbarcate nell’86, ed avevano raccolto ovazioni e saluti ad ogni esibizione. Ma, quella volta, il profilo dell’italia ci appariva molto meno deturpato di oggi nei tratti essenziali di ogni canone di bellezza. che a un osservatore distratto, poteva comparire relativamente facile che la Pattuglia risultasse bella all’estero, essendo appunto italiana.

Oggi, che la nostra bandiera porta con sè le stimmate di ogni notiziario di quotidiani inferni con dimora fissa tre le italiche disgrazie, la commozione degli emigrati e le grida di giubilo degli autoctoni in contemplazione estatica del volo acrobatico sono qualcosa più di un semplice riconoscimento d’italianità: sono la trasfigurazione delle nostre illusioni; che le recenti cronache hanno reso utopie, e che lo spettacolo della Pattuglia Nazionale ci ha restituito realtà.

Settantatrè persone, quelle decollate sulla navetta delle emozioni ‘Columbus ’92’ per la riscoperta dell’America. A loro, nei trasferimenti lungo le tratte oceaniche, si sono aggiunti 36 membri degli equipaggi dei due Breguet Atlantic, velivoli con capacità di assistenza e soccorso che affiancano i due C130 di supporto tecnico e logistico e consentono uno scalamento temporale nelle partenze per uno scambio in tempo reale di informazioni meteorologiche lungo la rotta e sull’aeroporto di arrivo. Informazioni che, in quei cinque giorni impegnati per il trasferimento da Rivolto al Canada, non hanno mancato il brivido di qualche sorpresa: come all’arrivo in terra canadese presso Frobisher Bay, quando al termine di un volo condotto quasi al limite dell’autonomia tecnica, la delegazione italiana ha scoperto il fascino della neve d’estate. Un fascino che, comunque, non è riuscito ad irretire nelle maglie della contemplazione paesaggistica i tecnici della Pattuglia: costretti, alla revisione dei velivoli, distesi sotto la pancia degll Aermacchi, per intere ore con il corpo appoggiato a una lastra di ghiaccio”.

Le manifestazioni

“Il Big Ben di ‘Columbus ’92’ suona l’ora X. E’ il 20 giugno, vigilia di un’estate che in Canada fatica a vincere la sua perenne battaglia con la morsa gelida dell’inverno. Ad Hamilton, paese a forte concentrazione italiana nell’immediata periferia di Toronto, il termometro segna zero gradi e anche i centomila canadesi accorsi all’air show cercano riparo vicino a griglie e fornelli che cucinano grassi animali a tutto spiano.

I piloti della PAN, chiusi dalle cerniere lampo dentro tute di rappresentanza che smorzano ma non mitigano il freddo, sembrano non accorgersi neppure del trapasso atmosferico. Chi morde un hamburger assorto nei propri pensieri, chi trasferisce la sedia di plastica in un angolo appartato per concentrarsi sulla lettura di Shakespeare in lingua madre, chi sorride a se stesso ascoltando con le cuffiette il walkman, che trasmette canzoni in ‘venexiano’ puro e già si sente un po’ più vicino a casa. Altri, quelli che hanno osato i cieli canadesi nell’ormai lontano ’86, si soffermano ad osservare qualche volto antico e a salutare ricordi felici. Ognuno sceglie il modo più congeniale al suo essere per consumare i minuti antecedenti l’esibizione acrobatica: intervallo necessario per ‘caricarsi’ al meglio delle individuali performance.

E’ un impegno psicologico che si ripete ad ogni tappa del viaggio nordamericano, rinnovando così un meccanismo d’attesa indispensabile, quanto l’addestramento tecnico ed operativo a chi tra pochi istantì, lassù, si ritroverà condannato a non sbagliare. Il traguardo minimo richiesto ai piloti delle ‘Frecce Tricolori’ è, sempre e comunque, quello della perfezione. Ad Hamilton come a Detroit, a Sheppard come a Rivolto.

Nel momento in cui il tettuccio dell’aeroplano scende a isolare il professionista dell’ignoto dal mondo che quotidianamente lo circonda e lo conosce più come uomo che come regista meccanico della macchina dei sogni il pilota stacca i fili di ogni contatto con la realtà ed entra nell’universo esclusivo del surreale. Venti minuti da impegnare in una scommessa di gruppo con la vita e giocarsi il cielo a dadi con altri nove colleghi che ruotano ali sincroniche alle sue, disegnando segreti ipnotismi per chiunque li osservi qualche metro più sotto, con il naso alzato ad annusare profumi di magia. Ma anche venti minuti che annodano il filo impercettibile di dieci esistenze al presupposto della perfezione, come un aquilone leggero che lega la vita anziché il romboide di plastica ad uso e consumo dei giochi di bimbi.

In quei venti minuti di brividi ed ovazioni che fanno della Pattuglia Nazionale la migliore formazione acrobatica del mondo, si concentra il prodotto di un’intero anno d’impegno costante e corale non solo dei piloti ma anche dei tecnici e degli specialisti della PAN. Quegli uomini in tuta verde e blu che prima del volo esplorano ogni minima componente dell’aeroplano, per assicurarne la massima efficienza ai fini di un’esibizione che non consente di aggiungere alcun margine di errore agli alti coefficienti di rischio, rappresentano infatti un insieme indivisibile con i piloti e con le loro macchine volanti.

E quando i motori cominciano ad alzare dall’area di parcheggio il numero dei giri, sono loro che segnalano il via libera al rullaggio alzando entrambi i pollici al cielo: un gesto che, al protagonista del volo, non rappresenta solo la garanzia della funzionalità del velivolo ma, per il rapporto stesso di compenetrazione con l’attività del tecnico, acquista anche un significato rituale magico, un’assicurazione sul volo che nessuna polizza formale potrebbe garantire.

In quel momento, gli Aermacchi MB-339 cominciano a rullare e si preparano al decollo, studiato (analogamente all’atterraggio) in due sezioni da cinque velivoli per offrire al pubblico un ulteriore continuum di esibizione acrobatica.

Lo spettacolo ha inizio: il distillato di emozioni a tinte forti concentra il massimo numero di figure pirotecniche nel più breve spazio temporale possibile, costringendo i dieci uomini d’oro della Pattuglia a sollecitazioni fisiche al limite dell’umana capacità di resistenza alla gravità. Dalla schneider sinistra al looping a triangolone, dalla Grande Mela al tonneaux sull’asse del solista, che concentra su di sè tutte le attenzioni del pubblico per dar modo alla formazione di ricongiungersi in tempi brevissimi e ripresentarsi alla folla con nuovi numeri da brividi. Inizia la manovra del ventaglio, con gli aerei che aprono al cielo curve tricolori di intenso impatto emotivo; poi l’Apollo 313, il looping a calice che incrocia il tonneaux lento del solista e ripresenta la formazione “a cigno” con gli Aermacchi che ora nascondono al pubblico il dorso blu per mostrare le loro pance tricolori come i fumi che si dividono le tinte di un unico, ideale sentire. Ed ecco il clou dell’esibizione, il gran finale capace di inondare emozioni e calamitare ovazioni da Hamilton a Westover, attra verso le tappe di un sogno lungo 36 giorni che ha dipinto l’orgoglio dell’italico vessillo nei cieli di Timmins, Ottawa, Detroit, Battle Creek, Chicago, Sheppard, Atlantic City.

La formazione compone la figura dell’Arizona mentre il solista va a sfidare la forza di gravità sul perpendicolo della scampanata; il gruppo perfeziona geometrie circolari nel Bull’s Eye, il solista affronta l’immediata sequenza di tonneaux-schneider-tonneaux; ora anche la formazione inaugura il doppio tonneaux, figura che per il pubblico non rappresenta il top della spettacolarità ma che per i piloti costituisce il momento di massimo sforzo fisico e psichico: la distanza ravvicinata tra i velivoli con le ali ad incastro obbliga infatti questi saltimbanchi del cielo a mantenersi in perfetta simmetria e a sviluppare la massima coordinazione nell’uso contemporaneo di tutti i comandi dell’aeroplano: pedaliera, motore e cloche.

E’ il momento dell’Apertura a bomba con incrocio del solista, i nove velivoli aprono il loro volo in picchiata come un fiore che schiude i petali all’improwiso e il solista diventa dawero una “freccia” conficcata nel cuore delle sensazioni più intense, ora colorate dalla più lunga bandiera italiana mai vista al mondo: quella disegnata dai fumi tricolori di dieci uomini che, ancora una volta, hanno vinto la loro sfida con il cielo”.

Gli incontri

“Ma ‘Columbus ’92’ non é stato solo un succedersi di esibizioni e applausi, voli di addestramento al successo del giorno seguente o trasferimenti verso nuovi tripudi di genti americane.

Tra i motivi che hanno indotto il Ministero della Difesa e lo Stato Maggiore dell’Aeronautica ad accogliere le numerose richieste di partecipazione della PAN alle celebrazioni americane, c’era anche il desiderio di portare un abbraccio tricobore ai tanti italiani del Nord America, emigrati decine di anni fa da un Paese di cui serrano nella cassa forte del cuore i ricordi di una Patria con la ‘P’ maiuscola. Una patria che solo il fascino incontaminato dell’acrobazia tricolore é riuscito a restituir loro integra, genuina, limpida così come l’avevano sognata per tanti lunghi anni.

Ecco perché, pur di prolungare nel tempo la corrente magica dell’abbraccio con un passato che non li aveva dimenticati e che, probabilmente, avrebbero incontrato per l’ultima volta, molti di loro hanno macinato centinaia di miglia per seguire qualche tappa del tour nordamericano delle “Frecce” e rinnovare la propria commozione davanti alla poesia di quel romantico volo.

Come il pensionato dell’aeroporto di Timmins, centro sperduto verso la baia di Hudson, tra lande coperte di ghiaccio per la maggior parte dell’anno e popolate di minatori che hanno consumato la loro esistenza nel sottosuolo, con le gambe immerse nell’acqua gelida mentre le braccia brandivano picconate contro il muro: in cerca della pepita di una vita diversa. Il pensionato, origini italiane e sacrifici canadesi, aveva raggiunto l’air show di Timmins molte ore prima dell’inizio della manifestazione e ora, ad atterraggio avvenuto da qualche decina di minuta stava ancora lì immobile, gli occhi indecifrabili a fissare il vuoto oltre la pista, la schiena ricurva in un vecchio magione che non Io preservava da lunghi brividi, più di emozione che di freddo.

lmpassibile, silenzioso, incapace di disturbare chicchessia per raccontargli il dolore di una vita e chiedere accesso al sogno nell’hangar debba Pattuglia. E pure incapace di trattenere l’emozione vedendo il Generale Riccardo Tonin, capo della missione ‘Columbus ’92’, passargli a fianco. Lo ferma ‘un istante soltanto’, lo abbraccia, si spiega con poche parole: ‘grazie per avermi regalato l’orgoglio di essere italiano’. Lui, almeno, la sua pepita l’aveva trovata: nell’azzurro del cielo, anziché tra le faglie insalubri della terra.

Commozione e gratitudine, lacrime calde di nostalgia e larghi sorrisi al prodigio emotivo dei volti semplici di quei ragazzi che distribuiscono pennellate di colori al dipinto dei sogni più belli: queste le costanti di ogni incontro della PAN con le Comunità Italiane di Canada e Stati Uniti.
Ci si incontrasse per mangiare insieme hamburger e patatine in un capannone gelido e infinito o si attrezzassero gli esclusivi saloni del “Trump Plaza” per un buffet tricobore all’insegna dell’eleganza e della raffinatezza, non poteva essere la cornice ambientale a condizionare l’intensità di sensazioni troppo vive per esaurirsi nella formalità di un discorso di circostanza.

Che poi, a spettacolo tricolore visto, mentre sempre nuove voci di tragedia rimbalzavano dall”altra’ Italia – quella della quotidiana lotta fra rettitudine e corruzione, fra civile convivenza e violenza – succedeva spesso che il testo del discorso preparato dai responsabili degli emigrati si rivelasse inadeguato all’avvenimento.

E’ accaduto anche al Console italiano di Philadelphia, domenica 19 luglio. La mattina, all’aeroporto di Atlantic City, aveva visto in presa diretta la Pattuglia dipingere di voglia tricolore un cielo ebbro di acrobazie sconosciute al milione di americani dell’air show, ‘costretti’ da tanto spettacolo a tradire indifferenza per la squadra di casa dei “Thunderbirds”.

La sera, al ricevimento organizzato dalla Comunità italiana, viene recapitato al Console un foglio con dicitura cubitale ‘urgente’ assieme alla scaletta del cerimoniale. E’ l’informativa dell’attentato al giudice Paolo Borsellino, la notizia dell’ultimo dramma di uno Stato ferito nei suoi valori più alti.

Difficile trovare ancora un senso al proprio orgoglio di itallanità, così come preconfezionato nel testo dell’intervento consolare: il diplomatico si è sentito allora quasi in dovere di afferrare il microfono per un ‘fuori programma’ fuori dagli schemi, dettato ‘a braccio’ dalla sola logica dell’istinto: ‘l’esibizione delle Frecce Tricolori alla manifestazione aeronautica di Atlantic City ci ha permesso di comprendere il significato di quella formula magica scritta nel cielo, cioè al di sopra di tutto e di tutti, che è l’unica espressione ancora capace di accendere l’entusiasmo dell’italianità e di fornire anche oggi, proprio oggi, un motivo al brivido di emozione che ci stringe attorno alla nostra bandiera’.

Chissà se la Pattuglia Acrobatica Nazionale reputerà ancora necessario spingersi oltre Oceano per essere compresa come fenomeno che, oggi, consente proprio al cielo, anziché tra le oscure stanze di.. ‘terra nostra’, un respiro di credibilità a uno stato zoppicante di crisi economiche, finanziarie e politiche.

‘Columbus ’92’ ha già mietuto non poche vittime tra i pacifisti che grattavano in fondo al barile dei pretesti per sostenere lo scioglimento di dieci ‘Frecce’ conficcate nel cuore di chi ancora vive l’orgoglio di essere italiano.

Forse, l’appendice di un massiccio applauso anche tra i patrii confini sarebbe sufficiente ad indurre gli ultimi irriducibili verso un ‘abbassa bandiera’ capace di autorizzare l’aggiunta di un sostantivo, al sentimento di italianità: ‘unità’.

Davanti alle immagini di questo libro possiamo distogliere lo sguardo per un solo motivo: riflettere sul loro significato autentico. Che non è affatto nascosto. Basta voler capire”.

Il documentario

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