Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio 2022
Il segreto di Piercarlo Ciacchi, neo-pilota delle Frecce Tricolori
«Il nostro è un lavoro di squadra: oltre alla tecnica occorrono affidabilità, sincerità, affiatamento»
di Fabiana Cadenaro
da Il Piccolo, anno 124, n° 227, 25 settembre 2005, p. 9
Dal primo maggio 2006, con l’inizio della nuova stagione della Pattuglia dopo l’addestramento che continuerà per tutto l’inverno, il tenente Piercarlo Ciacchi, trentenne muggesano, inizierà ufficialmente la sua avventura nel team delle Frecce tricolori. Si tratta del vero e proprio coronamento di un sogno.
Tenente Ciacchi, come è arrivato alla Pan?
Bisogna andare un po’ a ritroso…tutto è iniziato 11 anni fa, con il diploma di scuola superiore.
Quali studi ha fatto?
Elementari, medie e i primi due anni delle superiori a Trieste. Il biennio all’Istituto Tecnico Volta, poi ho scelto di iscrivermi al Maligani di Udine: lì potevo seguire il triennio che mi consentiva la specializzazione in costruzioni aeronautiche. Ho bellissimi ricordi di quel periodo.
E poi?
Dopo il diploma, grazie ad una bor-sa di studio, ho potuto seguire un corso per conseguire il brevetto di pilota privato. In quegli anni ho frequentato l’Aeroclub Friulano. Ho avuto il brevetto di pilota ancora prima di prendere la patente…poi mi sono iscritto all’università.
Lasci indovinare. Ingegneria aerospaziale?
Sì, quella era l’intenzione. Non ho ultimato gli studi universitari, avevo iniziato a lavorare un po’, a guadagnare qualche soldo. Ho fatto diversi lavori, anche l’antennista. Poi sono partito per il servizio militare: 15 mesi come ufficiale di complemento nei paracadutisti, Brigata Folgore. Dopo il servizio militare e diverse selezioni sono entrato a far parte del 118° Corso allievi ufficiali piloti di complemento. Era l’ottobre del 1998. Il corso è durato 8 mesi fra l’Accademia aeronautica di Napoli e la Scuola di volo basico di Latina.
Lei ha trascorso anche dei periodi negli Usa.
Sì, un anno e mezzo a Shepard, in Texas, alla Euro-NATO Joint Jet Pilot training (ENJJPT), una delle scuole più prestigiose, dove sono diventato pilota militare di velivolo jet. Poi sono stato assegnato a Grosseto per conseguire l’abilitazione sul velivolo F-104 e diventare pilota caccia intercettore. Per me è motivo di grande orgoglio: il mio ruolo è quello di proteggere e pattugliare i cieli italiani.
Lei è stato uno dei primi a pilotare l’F 16.
Ero fra i pochi selezionati per partecipare alla transizione dall’F 104 al nuovo velivolo dell’Aeronautica militare dopo un corso di sei mesi a Tucson, in Arizona. L’F 16 è un aereo eccezionale, sofisticato, difficile. È stata una grande soddisfazione poterlo pilotare.
E adesso le Frecce Tricolori.
Di ritorno da Tucson ho trascorso altri 8 mesi a Trapani. Poi la Pattuglia mi ha convocato. Essere convocati significa trascorrere una settimana a Rivolto, sostenere le prove, le selezioni. Dopo un paio di mesi ho ricevuto il telegramma che mi comunicava che ero stato scelto.
Cosa ha provato in quel momento?
Una gioia immensa, indescrivibile. Ho chiamato Elizabeth, i miei genitori, i miei amici Alessio e Francesco. Con loro, – ogni ferragosto – andavamo a vedere le Frecce che si esibivano a Lignano.
Chi assiste alle esibizioni delle Frecce Tricolori pensa che ci vuole una buona dose di coraggio a fare questo lavoro. Cos’è per lei la paura?
La paura è qualcosa che scaturisce da ciò che non puoi controllare. Un pilota non può avere paura in senso stretto. Può trovarsi di fronte a situazioni critiche, di emergenza, ma in quel caso vanno applicate le procedure per le quali sei stato addestrato e che hai studiato accuratamente. L’adrenalina semmai può venire fuori dopo, quando sei atterrato e ripensi a quello che hai dovuto affrontare.
E di momenti critici, nella sua carriera, ce ne sono stati?
Sono capitati. Durante uno degli ultimi voli con l’F 104 si era verificata un’avaria a uno dei sistemi che regolano i comandi di volo. Ho seguito le procedure ed è andato tutto bene.
Ma allora di che cosa ha paura Piercarlo Ciacchi?
Delle cose impreviste che non possono essere evitate. Provo più paura alla guida di una macchina o in motorino. La paura può anche riguardare le persone care, paura di perderle. Ci sono cose contro le quali non si può fare nulla.
Ha mai partecipato a missioni di guerra?
Non ho mai partecipato a missioni di “guerra” all’estero. Questo è anche dovuto al fatto che essendo un pilota intercettore, il mio compito principale è quello di pattugliare i cieli italiani. Ho partecipato a missioni come ad esempio il controllo dei cieli su Roma durante grandi eventi, come i funerali di Papa Giovanni Paolo II.
Provi a descriversi…
È difficile parlare di se stessi. Però penso di essere una persona aperta, disponibile. Sto bene in mezzo alla gente.
Qual è la sua migliore qualità?
Sono una persona affidabile. Credo che si possa sempre contare su di me.
E la migliore qualità che un pilota deve avere?
In un lavoro come questo bisogna tenere conto che non si vola mai da soli. Si lavora sempre in gruppo. E nella Pattuglia lo spirito di gruppo è un valore fondamentale. È importante capirsi, fidarsi, è importante la sincerità e anche l’affidabilità. Non solo la tecnica.
E il suo peggior difetto?
Direi che purtroppo non sono molto puntuale….e i miei amici lo sanno. Non nel lavoro ma nella vita privata. Magari mi capita di dover andare a un appuntamento e poi passando davanti al mio garage vengo distratto da qualcosa…un lavoro da fare. Così arrivo tardi. Come vede c’è sempre la meccanica di mezzo.
Il numero 18 sembra tornare spesso nella sua vita. È nato il 18 di ottobre, ha fatto parte del 118° corso AUPC, a Trapani del 18° gruppo. E superstizioso?
Non sono particolarmente scaramantico, non porto con me dei portafortuna. Ci sono delle procedure che magari uno esegue sempre nella stessa maniera prima di volare. Mi viene in mente il manuale per le emergenze: lo si ripone sempre nel medesimo posto, assieme alla sua penna. Sono dettagli a metà strada fra la scaramanzia e la praticità. Anche se ci sono cose che non vorresti davvero cambiare mai, al di fuori di ogni logica, come i guanti che si usano mentre si pilota: li butti infatti quando oramai sono logori, non te ne vorresti mai separare.
Un consiglio per chi sogna di in-traprendere questa carriera…
Di crederci, di puntare sempre in alto, non scoraggiarsi perché la strada può essere lunga e difficile.
La sua carriera è stata fino ad oggi molto brillante. Si è mai sentito scoraggiato?
È capitato e la mia famiglia è stata un appoggio fondamentale nei momenti di incertezza.
A cosa pensa prima di salire sull’aereo?
Prima di salire c’è sempre una grande concentrazione. Si fanno i controlli del velivolo. Ma se per un attimo la mia mente si libera, guardo il cielo e in quel momento già mi sem-bra di provare la sensazione, bellissima, che mentre volo in un certo senso ne faccio parte.
Conserva un ricordo particolare della sua prima esperienza di volo?
No, ma posso dire che l’emozione più grande l’ho provata di recente, proprio alla base di Rivolto nella settimana in cui si sono svolte le selezioni. È stato incredibile volare con le Frecce in formazione, da passeggero, con il Capitano Rudy Barassi. E stato probabilmente il volo più sensazionale al quale ho partecipato.
Qual è il prossimo obiettivo?
Contribuire nel miglior modo possibile all’attività della Pattuglia, ricoprire il ruolo che mi hanno affidato con serietà ed impegno. È un sogno che si realizza, una cosa talmente bella ed importante che tutta la mia concentrazione è riposta nell’esperienza che mi aspetta.
Pilotare aerei così sofisticati significa essere allenati anche fisicamente?
Sicuramente, la salute è fondamentale, tutti i piloti sono costantemente seguiti da medici specializzati in medicina aeronautica.
Sembra che fra qualche anno le donne potranno far parte della Pattuglia, lei cosa ne pensa?
Sono molto contento di questo, direi che non c’è nessuna differenza, anzi le donne non possono che dare un positivo contributo all’aeronautca.
Come trascorre il suo tempo libero?
A parte la meccanica, mi dedico a qualche lavoro di falegnameria. Mi piace lo snowboard. Possiedo anche una barca, amo il mare. E quando posso, a casa mia, dove i miei genitori hanno un pezzo di terra mi piace salire sul trattore.
Lei nomina spesso i suoi amici. Sono persone dell’ambiente militare o quelli di sempre?
Faccio facilmente amicizia, ho molti amici nell’ambito del mio lavoro ma sono rimasto affezionato anche agli amici di sempre, quelli di Santa Barbara, quelli del Malignani.
A cosa pensa quando pensa a Muggia e a Trieste?
Sento molto forte il legame con questi luoghi. Mi sento proprio muggesano: sono una persona allegra ed esuberante. Muggia, Santa Barbara, sono sempre nel mio cuore. Sono legato profondamente a tradizioni come il carnevale, tanto che nel corso di que-sti anni trascorsi in giro in altre città d’Italia sono riuscito a coinvolgere amici «di fuori» nei festeggiamenti del «mio» carnevale. Io a volte, per impegni di lavoro, ho dovuto rinunciarci. Loro, invece, sono tornati anche senza di me.
Le piace tornare a casa?
Sì sempre, anche con l’aereo. Sarà banale ma Trieste, Muggia, la mia Santa Barbara sono incredibili viste dall’alto.
Una passione che viene da lontano
Si chiama Piercarlo Ciacchi, compirà trent’anni fra pochi giorni (è nato il 18 ottobre 1975), è un muggesano doc ed è uno dei due nuovi piloti entratí a far parte della Pan, la Pattuglia acrobatica nazionale Frecce Tricolori.
Padre triestino, madre veneta, figlio unico, una fidanzata americana (Elizabeth, laureata in ingegneria aerospaziale, «una delle poche ragazze conosciute parlando di aerei»), in Piercarlo la passione per il volo è nata molto tempo fa, fin da quando da piccolo andava a Lignano a vedere le Frecce. «Allora fantasticavo sulle evoluzioni di quegli aerei in formazione. Ma anche all’inizio della mia carriera entrare a far parte della Pattuglia sembrava un’ipotesi molto lontana. E invece…».
«A dire il vero – afferma Ciacchi – tutto ciò che è meccanico mi ha sempre affascinato, aerei compresi naturalmente. I miei genitori amavano viaggiare e spesso mi portavano con loro. Ricordo che rimasi a bocca aperta quando vidi e salii per la prima volta su un aereo. Ma a parte questo ero davvero curioso di tutto quello che stava dietro a qualunque tipo di macchina. Quand’ero piccolo smontavo qualsiasi cosa mi capitasse per le mani, ricordo una volta di aver smontato persino la lavatrice. Mia madre naturalmente si arrabbiò tantissimo. Ora la capisco».