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In occasione del mezzo secolo di vita dell'aviazione militare presentiamo in queste pagine, con una serie di eccezionali fotografie, il suo reparto più prestigioso, simbolo del coraggio e dell'abillità del pilota italiano antico e moderno: la Pattuglia acrobatica nazionale. Cinquanta uomini e 15 aviogetti che rappresentano i sessantamila effettivi e i 450 aerei dell'Arma azzurra

di Giancarlo Graziosi – Foto di Angelo Cozzi
da Domenica del Corriere, 3 aprile 1973, anno 75, n° 13 – 14, pp. 62 – 72

La foto di copertina – I piloti della Pattuglia acrobatica nazionale sulla linea di volo, a Rivolto del Friuli

La parata dei nove G 91. I nove G 91 della pattuglia eseguono un passaggio basso con carrello e flaps fuori, alla minima velocità di sostentamento. È una figura che non consente assolutamente errori da parte dei piloti. II velivolo, di costruzione Fiat su progetto dell’ingegner Gabrieli, è un caccia tattico adottato dalla Nato.

Rivolto (Udine).
Il G 91 si è appena arrestato nel punto esatto del parcheggio. Il muso dell’aereo si abbassa per l’ultimo colpo di freno, mentre già si sta aprendo il tettuccio. Uno specialista appoggia la scaletta gialla e in un attimo il pilota è fuori. I segni del volo, un volo breve, trentadue minuti, sono soltanto un’impronta rossiccia, intorno al naso e alla bocca, lasciata dalla maschera dell’ossigeno, e una linea sottile di sudore all’attaccatura dei capelli: forse anclhe ma questo non si vede, si sa perché lo raccontano i piloti un chilogrammo di peso perduto.

Il tenente colonnello Vittorio Zardo, l’uomo sceso dal G 91, entra nella baracca degli specialisti e ne esce subito.

« Ho fatto un giro sulle Dolomiti – dice: – un tempo fantastico, da restare sempre lassù, a guardare lo spettacolo. »

Siamo a Rivolto del Friuli, nella base del 313° Gruppo addestramento acrobatico dell’Aeronautica, più noto al pubblico come Pattuglia acrobatica nazionale. Sono quelli della famosa « bomba » tricolore, quelli che sono capaci di passare a ottocento chilometri all’ora, in volo rovescio, a qualche metro dalla pista di cemento, bloccando il sangue nelle vene degli spettatori.

Le Frecce Tricolori – cosi si chiamano da quando, nel 1961, fu costituito questo reparto – sono biglietto di visita della nostra Aeronautica, un simbolo, il più prestigioso, del coraggio, dell’audacia, dell’abilità del pilota italiano antico e moderno. Un reparto di appena cinquanta uomini, fra piloti e specialisti, di appena quindici aeroplani. Un piccolo gruppo di gente e di macchine che rappresentano però tutti i sessantamila uomini e i 450 velivoli dell’Arma azzurra, oggi.

Saliamo sulla jeep con il comandante Zardo, oltrepassiamo il semaforo verde che segna l’inizio della pista, andiamo verso il bar del campo per un aperitivo, tra poco è ora di mensa. L’aperitivo, chiamato champagne, acqua minerale con dentro uno spruzzetto di vino bianco, e da queste parti si chiama spriz.

I piloti ci sono tutti. Il tenente Purpura, siciliano di Palermo, con il suo sorriso panoramico e il suo parlar forte. Montanari, tenente anche lui, di Modigliana: disposto a discutere di tutto, ma specialmente di cineprese professionali e di come si debba fare, avendo un podere al sole dalle sue parti, il miglior sangiovese e il miglior trebbiano. Il capitano Gallus è sardo. Affamato. Quando non « lavora » va in giro in Kawasaki, un bolide che fa appena i 215, molto meno del suo G91. Il capitano Ferrazzutti, friulano, solista della formazione, ha ugualmente l’hobby della motocicletta: smessa la tuta grigia indossa una corta giacca di pelle e un casco quasi uguale a quello che usa in volo, monta in sella alla sua Laverda 750 ed esce dalla base, salutato dalla guardia, borghese ormai fino all’indomani mattina. Poi c’è Caruso, maggiore, di Pesaro, capocalotta, uno degli scapoli, con il sottotenente Santilli e il capitano Gays. Poi c’è il tenente Bonollo, di Mira, provincia di Venezia. Fuori servizio ha il pallino della gastronomia. Ma si impegna soprattutto negli scherzi ai compagni: ne combina di tutti i colori, con ogni mezzo possibile.

« Però si arrabbia – dice il maggiore Toso, – friulano se è vittima lui di qualche tiro mancino. »

Arrivano altri, si parla, si beve « champagne ». Il capitano Mulatti è l’ulficiale responsabile dell’eficienza degli aerei: oggi è contento, tutte le macchine sono a posto. Il capitano Rocchi, addetto alle pubbliche relazioni, è perseguitato dal telefono: dovunque vada per il campo c’è sempre qualcuno che lo cerca. Il tenente Boscolo, il capitano Senesi. Il sottotenente Palanca: ecco, non manca più nessuno e il colonnello Zardo fa strada verso la mensa.

Spaghetti, bistecca, insalata, formaggio, un pranzo leggero, perché poi si vola di nuovo: il vino è speciale, in onore degli ospiti, è imbottigliato appositamente per la pattuglia, sull’etichetta c’è il simbolo delle Frecce Tricolori.

Dopo il caffè nessuno si alza se prima non si è alzato il comandante. I due ufficiali più giovani, all’angolo più lontano del lungo tavolo, sono stati in silenzio per tutto il pranzo. Sono ancora riserve, stanno mettendocela tutta, come fossero in una squadra di calcio, per conquistare uno dei nove posti della formazione.

La schneider vista da dentro e da fuori. Il tenente colonnello Vittorio Zardo (sopra) sta effettuando una schneider sulle Tre Cime di Lavaredo. Il pilota è fotografato da una macchina fissata nell’abitacolo e comandata da un pulsante sulla cloche. Nella foto a sinistra: la stessa figura (è una virata alla massima inclinazione alare) ripresa dal nostro Cozzi.

In verticale sulle Dolomiti. Tre G 91 salgono in verticale nella zona delle Dolomiti. La Pattuglia acrobatica nazionale è stata costituita nel 1961. Ha avuto finora per comandanti il maggiore Mario Squarcina, il tenente colonnello Roberto Di Lollo, il tenente colonnello Vittorio Cumin. L’attuale comandante è il tenente colonnello Vittorio Zardo. Prima del ’61 la pattuglia acrobatica proveniva dai vari reparti dell’Aeronautica.

Il solista vola a 3 metri da terra

Torniamo sulla linea di volo. Gli specialisti hanno già preparato tutto. Ogni pilota fa il giro esterno dell’aeroplano, è una specie di cerimoniale. Deve controllare varie parti del velivolo, prima di prenderlo in consegna firmando un modulo. Poi può salire sulla scaletta gialla, mettersi a sedere nel piccolo abitacolo, farsi « legare » dallo specialista.

Dentro il G 91 l’uomo è davvero bloccato da tutta una serie di cinghie che lo stringono, schiena. inguine, spalle e gambe, contro il seggiolino. Infine, indossato il casco, chiusa la maschera dell’ossigeno sulla faccia, collegata al bocchettone la tuta anti G (serve per attutire gli effetti dell’accelerazionc di gravità durante le acrobazie), il tettuccio si abbassa.

Sono pronti a sfilare per portarsi nella posizione di decollo. Decollano in due gruppi, prima cinque poi quattro. I quattro staccano prima carrello dalla pista, per non essere investiti dagli scarichi dei cinque di testa.

Quando l’esercitazione comincia, sui lati della strada statale che corre a nord del campo di Rivolto si fermano file di auto e di camion: tra poco ci sarà spettacolo, il tempo è splendido.

Noi andiamo, per cosi dire, dietro le quinte: seguiremo le manovre della pattuglia stando vicino alla « biga ». La biga è semplicemente un posto scoperto con una radio: a turno, uno degli ufliciali della squadra tricolore sta con il microfono in mano, segue le evoluzioni, dà consigli (ordini se occorre), corregge chi sbaglia. Il comandante Zardo, che è sempre nell’aereo di punta della squadra in cielo, non può vedere tutto. Attraverso la radio si odono i comandi secchi per le varie figure: schneider, tonneau, trasformazione, cardioide, doppio tonneau.

Si vedono i nove G91 muoversi in modo perfetto, armonico. Ogni figura è un capolavoro di precisione. Lo spettatore non ha parole per esprimere la propria ammirazione, quegli aeroplani che volano cosi vicini senza toccarsi e sembrano un fiore continuamente nuovo nell’azzurro, quegli uomini tutt’uno con i loro seggiolini, con la loro macchina terribile e pur cosi fedele, remissiva.

Gli ordini si susseguono, gli aerei passano e ripassano sulla testa dei piccoli uomini che hanno i piedi ficcati nella terra.

« Numero 5 – dice il comandante – la prossima volta stai più stretto. » « Massimino – dice l’ufficiale del microfono alla biga - hai scarrocciato un pochino nell’ultima fase. »

Viene infine il momento più emozionante, quello della « bomba », con i nove aeroplani che scendono insieme dall’alto, sulla verticale del campo, e poi si aprono come se davvero dovessero scoppiare, si allontanano, ritornano giù, entrano nella testa da tutte le parti, il più basso passa a meno di tre metri da terra, viene fatto di buttarsi distesi sull’erba per non essere falciati.

Il “solista” a testa in giù
Uno spettacolo straordinario: il « solista » della pattuglia, capitano Renato Ferrazzutti, passa sulla pista di Rivolto a volo rovesciato a circa dieci metri dal suolo. Ferrazzutti, che si è fotografato durante lo stesso volo, è uno dei migliori solisti acrobatici al mondo

II rischio esiste ma è ben calcolato

L’esercitazione è finita. Cosi, per due o tre ore al giorno, quasi tutti i giorni dell’anno. Ma non c’è soltanto l’allenamento. Ci sono le manifestazíoni, in Italia e in tutta Europa; i concorsi ai quali la pattuglia partecipa con le squadre acrobatiche delle altre aeronautiche; le esercitazioni a fuoco: i voli notturni. Da marzo a ottobre le Frecce Tricolori hanno tutti i fine-settimana impegnati, da qualche parte del mondo: le esibizioni ufficiali sono più di trenta, con programmi di acrobazia di un’ora o più. Ma nessuno si lamenta, ci mancherebbe altro. I piloti del 313° gruppo sono a Rivolto per passione: sono, anzi, soltanto una piccola parte di tutti i piloti italiani che vorrebbero essere nella pattuglia. Qui si arriva per selezione e non ci si ferma se non si è, in ogni momento, eflicienti al massimo.

« La gente – dice uno della pattuglia – può pensare che siamo tutti matti, ma non è vero. Quello che facciamo è soltanto il frutto di un lungo allenamento, e di un affiatamento che abbiamo anche a terra, tutti per uno e uno per tutti. Guai se fra noi ci fosse un matto, metterebbe a repentino la vita degli altri. Il rischio? Certamente c’è, ma è calcolato, sappiamo fin dove possiamo arrivare, pazzie non ne facciamo proprio. »

« Non direi che siamo i primi della classe – afferma un altro. - Siamo soltanto più allenati dei nostri colleghi che stanno nei gruppi e che fanno un lavoro diverso, ecco. »

Non c’è tempo per godere il panorama. In formazione completa, le Frecce Tricolori stanno sorvolando le Dolomiti, nella zona del Sella e del Sassolungo. Volare in montagna, dicono i piloti, è entusiasmante, ma purtroppo non c’è quasi mai il tempo sufficiente per godersi il panorama. Il controllo del velivolo in formazione non consente distrazioni. II G91 ha un’autonomia di 1.700 km (circa un’ora e mezzo).

Un allenamento che dura tutto l’anno. Esercitazione a tre, con l’aereo centrale in volo rovescio. Gli allenamenti dei piloti della Pattuglia acrobatica si svolgono ogni giorno dell’anno, spesso
con brutto tempo e anche durante l’oscurità. C’è soltanto una breve sosta per la revisione dei velivoli. I piloi compiono anche esercitazioni a fuoco.

Volano sfiorandosi l’un l’altro. La formazione a diamante. Gli aerei, in questa posizione, sono vicinissimi. La posizione reciproca viene controllata costantemente, sia a vista, sia con ordini via radio impartiti dal capoformazione. Prima di poter volar nella squadra a nove il pilota si esercita a lungo con uno o due colleghi, ripetendo molte volte le varie figure acrobatiche

La penna da alpino infilata nel casco

Sulla linea di volo della base i G91 hanno ormai il muso e il tettuccio coperti dalle custodie di tela. Le sagome sono già scure nella scarsa luce del tramonto, tra poco intorno agli aerei cominceranno a girare le guardie armate di mitra e i cani-lupo.

I| comandante Zardo, portando una grossa cartella (« Lavoro arretrato – dice, – me lo devo sbrigare stasera, fuori orario »), sale sulla nostra auto. Lo accompagniamo a casa. Dopo qualche minuto, in una villetta alla periferia di Codroipo, la scena di ogni giorno, di ogni famiglia: « Papà è tornato, date un bacio a papà».

Elisa e Albert. i figli del colonnello Zardo, mostrano i compiti, i loro disegni, chiedono educatamente un pasticcino, poi scompaiono.

Nel salotto, davanti a una sfilata di modellini d’aereo e di elicotteri (« Tutti quelli sui quali ho volato »), il comandante della Pattuglia acrobatica nazionale parla di sé, dei suoi uomini, del suo lavoro. Ha fatto una doccia rapida, si è messo in borghese, maglione verde a girocollo sopra la camicia a righine bianche e rosse (il colore della squadra di calcio della sua città, Vicenza), pantaloni marrone, scarpe inglesi. Cosi sembra ancora più ragazzino. Ha trentacinque anni, è nato e vissuto fin quasi a vent’anni a Bolzano Vicentino. È sposato da sette anni (« Ci conoscemmo che eravamo quasi bambini. dissi a Giovanna: signorina, quando saremo grandi ci sposeremo »), ha troppo poco tempo da dedicare alla famiglia, non ha altri hobby che quello di volare « Anche girare in bicicletta, anche suonare il pianoforte – precisa – ma quando? »

La sua storia è come quella di tanti altri che l’hanno preceduto e di altri che lo seguiranno: una passione smisurata per il volo.

« È una cosa – dice – che possono capire soltanto quelli che volano. »

Voleva essere arruolato in Aeronautica, ma la sua domanda fu respinta. Andò negli alpini, diventò ufficiale. Tentò di nuovo e gli andò dritta. Fece l’accademia a Nisida, poi tutta la trafila; è stato in varie basi (anche a Rivolto, prima d’ora, con il grado di capitano), ha vissuto per sei mesi a Milano, e per più di un anno vicino a Londra, per frequentare una scuola di guerra. Nel
frattempo ha trovato anche il tempo di laurearsi in ingegneria. Quando arrivò a Rivolto la bella notizia, i suoi compagni gli regalarono una cazzuola d’argento, c’erano poche parole incise: « Pattuglia, malta, sabion e piere, ga fato Vittorio ingegnere ». In veneto. Facile da capire.

In una tasca della sua tuta grigia il colonnello porta sempre una penna da alpino. Quando va sulle Dolomiti in G 91 certe volte se la infila nel casco.

Per ciascun aeroplano tre specialisti. Durante l’atterraggio i G 91 possono utilizzare anche il paracadute per rallentare la corsa – Il gruppo quasi al completo degli specialisti della base di Rivolto. Per ciascun velivolo ci sono circa tre specialisti: a loro, ufficiali e sottufficiali, è affidata la perfetta efficienza delle macchine. Ogni uomo è responsabile del proprio specifico settore. Prima di prendere in consegna l’aereo per il volo il pilota deve eseguire, ogni volta, tutta una serie di controlli esterni: alla fine firma un modulo per accettazione, e può decollare. A Rivolto molti degli specialisti sono friulani e veneti. La prima scuola italiana di acrobazia collettiva sorse nel 1930 a Campoformido, vicino a Rivolto.

Com’è nata la famosa “bomba”

Il capitano Renato Rocchi, della Pattuglia acrobatica nazionale, pubblicherà prossimamente un libro sulla storia dell’acrobazia aerea. Dal capitolo che riguarda la nascita delle prime figure – destinate poi a passare nel repertorio di quasi tutte le squadre acrobatiche del mondo – abbiamo tratto queste notizie relative all’invenzione e alla prima realizzazione della famosa « bomba ».

Quando ll settembre 1928 il tenente colonnello Rino Corso Fougier assunse il comando del 1 Stormo Caccia, a Campoformido, egli aveva ben chiara la convinzione di quello che doveva essere il pilota da caccia.

La prima condizione era che l’uomo fosse completamente padrone della macchina affidatagli. Tutto il resto sarebbe venuto come conseguenza: ll saper stare in formazione stretta, la capacità di assorbire e ventuali errori degli altri, l’abitudine alla prontezza dei riflessi, la coordinazione di tutte le azioni, compreso l’uso delle armi. In sostanza, soltanto un acrobata perfetto poteva essere anche un cacciatore perfetto.

Erano, per quei tenpi, criteri nuovi, di avanguardia. Secondo lo Stato maggiore, queste « novità » minacciavano di trasformare i piloti del I Stormo in « acrobati da circo equestre ».

Nell’inevitabile braccio di ferro che si stabili fra Roma e Campoformido, Fougier fu sempre decisissimo a non mollare. La « Prima giornata dell’ala », tenutasi nel giugno del 1930 sull’aeroporto di Ruoma, segnò il suo successo.

I ragazzi di Campoformido si erano preparati con una volontà puntigliosa e una forza d’animo superlativa, con una grinta addirittura rabbiosa. Il ministro dell’Aeronautica, Italo Balbo, lasciò per l’occasione mano libera a Fougier, il quale aveva predisposto una formazione di ben quindici velivoli, con un programma tutto acrobatico.

I CR 20 del I Stormo, dopo essere entrati in formazione a cuneo e aver eseguito un looping con trasformazione a freccia, si separarono in tre pattuglie, una di tre, una di. sette e una di cinque apparecchi. Le tre pattuglie lavoravano a quote diverse, alternando le entrate con la presentazione di looping, tonneau, scampanate, in sempre nuove figure geometriche. A un certo punto, mentre il carosello degli aerei continuava, tre autocarri con rimorchio giungevano al centro del campo. La pattuglia dei cinque, in formazione strettissima a cuneo si buttava sui mezzi a terra simulando un attacco. Gli autocarri abbandonavano i rimorchi e si davano alla fuga. I velivoli. dopo un rientro, picchiavano ancora sui bersagli. A pochi metri dagli automezzi il capo della formazione cabrava ed eseguiva un looping completo, mentre i gregari di destra e di sinistra si sfilavano compivano una virata « sfuocata », in leggera cabrata, per ributtarsi poi in picchiata, puntando sui bersaglie mitragliandoli fino ad incrociarsi con gli aitri velivoli della formazione. L’incrocio si ripeteva per tre volte, con una scelta di tempo meravigliosa. Alla fine c’era
l’esplosione dei mezzi a terra, comandata a distanza, con una carica di dinamite. La figura esprimeva tutta l’efficacia dell’azione bellica. Non sarebbe stata possibile senza quell’elemento basilare dell’acrobazia collettiva che è il sincronismo perfetto nell’evoluzione. Era, questa, una figura acrobatica da antologia. Da allora si chiamò « bomba ».

Oggi la bomba è il momento culminante più spettacoloso delle esibizioni della Pattuglia: all’ordine del capo formazione, ogni velivolo si stacca dal gruppo tracciando con le scie fumogene un disegno che ricorda il rapido dischiudersi di un fiore. Le difficoltà di questa manovra sorgono dopo, con la necessità di dover celermente manovrare sulle indicazioni di velocità, quota e assetto fornite via radio dal capopattuglia. All’incrocio sulla pista la velocità risulta essere di circa 1.050 chilometri orari.

Due righe sul fotografo, Angelo Cozzi

Dal sito di Angelo Cozzi [ fonte ]

Dopo i voli con gli F104 l’esperienza continuò sui G 91. Aerei ideati e costruiti in Italia dalla Fiat Aviazione. G era l’iniziale del progettista, l’ingegner Giuseppe Gabrielli. Del G91 ne costruirono diverse serie, una anche per le Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica. Ne combinarono delle belle, lui e i ragazzi delle Frecce: “…su Venezia non si potrebbe passare con gli aerei, meno che mai con una squadriglia di jet in formazione a rombo. Per avere delle foto spettacolari ci passammo ugualmente, ma quello che fece dare in escandescenze la torre di controllo di Tessèra, l’aeroporto di Venezia fu quando allargammo la virata che ci aveva portati su piazza San Marco e ci trovammo sui depositi di fosgene di Marghera. Meglio non scrivere gl’improperi con i quali ci caricarono i controllori di volo…”.

1 commento

  1. Antonio Toniato 62° Corso VAM Uno dei pochissimi avieri di istanza al 2° Stormo ad aver goduto del ” Battesimo dell’aria ” su aeromobili scuola. Emozioni incredibili, senzazioni mai provate prima, alla guida il S.Ten. Ivano Poffe.

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