Ultimo aggiornamento: 11 Giugno 2020

Minuto per minuto, l'esperienza mozzafiato del nostro cronista ospite a bordo di un jet delle Frecce Tricolori. Quei temerari dai nervi d'acciaio che rischiano la vita per farci stare col naso all'insù

di Filippo Nassetti
da Il Borghese, n° 3, 1999, pp. 38 – 43

Ringrazio l’autore dell’articolo Filippo Nassetti per avermi mandato il suo articolo

Lanciati, lanciati, lanciati. Nella mente risuona insistente la raccomandazione del tenente colonnello Riccardo Rinaldi. «Quando sentirà gridare per tre volte questa parola, tiri la maniglia dell’emergenza. Non perda tempo, perché al terzo ordine il pilota si lancia. Non l’aspetta».

L’aria è gelida e tagliente. Il cielo friulano è plumbeo, poco rassicurante. Forse non si parte, penso. O una volta lassù vedrò solo nuvole grigie come ghisa. Per sconfiggere gelo e brividi, accenno a una timida corsa verso la fila di Aermacchi MB339. I fumetti d’aria dei lunghi sospiri malcelano la tensione del volto. Salgo sul seggiolino posteriore della Freccia Tricolore numero 4, davanti si sistema il capoforrnazione Maurizio De Rinaldis. Trentaquattrenne, romano, De Rinaldis, nonostante le 2.500 ore di volo all’attivo, non riesce a contenere la sua febbre dell’aria. Quando ha del tempo libero si proietta al più vicino aeroclub per volare con ultraleggeri o per divertirsi con l’aeromodellismo. Accanto a noi, sull’aereo numero 3, il capitano Paolo Tarantino e il fotografo Giorgio Aloisi.

Proprio come nei film. Sono vestito come un vero top gun: divisa militare, anfibi, tuta anti-G e il giubbotto di salvataggio. L’anti-G è un corpetto stretto sui fianchi e sulle gambe, mentre il giubbotto – in gergo securman – contiene il i necessario per la sopravvivenza in caso d’atterraggio di fortuna o lancio con il paracadute: viveri, bussola, cartina, radio, fiammiferi. Appena seduto, vengo imbragato con mille cinture e lacci. Spalle, vita e polpacci sono ancorati al seggiolino. M’infilo il casco grigio con maschera d’ossigeno sul viso. Ultima raccomandazione. prima del decollo, sulla respirazione. In caso di necessità, alla mia sinistra ci sono due tasti: per far arrivare ossigeno più denso o con un’erogazione più intensa. Se la situazione non dovesse migliorare c’è il classico sacchettino di plastica. In teoria non dovrei avere problemi: prima di essere giudicato abile e arruolato. sono stato rivoltato come un calzino in uno scrupoloso esame medico. I dati su vista, udito, cuore (sotto sforzo), polmoni, lastra al torace e prova vertigini sono archiviati presso lo Stato Maggiore dell’Aeronautica.

Pronti al decollo. Il sogno di una vita, sembra avverarsi proprio qui nell’aeroporto militare di Rivolto, la mitica tana delle Frecce Tricolori. Il pilota chiude il tettuccio, mentre io tolgo la sicura dell’emergenza. Devo essere in grado di abbandonare l’aereo in pochi secondi. Ora il seggiolino è «armato»: tirando la maniglia parte come la palla di un cannone, sfonda il vetro e apre immediatamente il paracadute. Accendo l’interfono per poter dialogare con De Rinaldis e sentire le comunicazioni dalla torre di controllo. «Allora pronto a scherzare con il cielo? Ha paura?», «Non ancora. Lei ha mai paura?», «No, ci addestriamo proprio per evitarla. Del resto un uomo ha timore di ciò che non conosce, e noi conosciamo bene le insidie del volo acrobatico».

Un secondo prima che l’aereo si metta in moto, ripasso mentalmente il programma di volo. Ogni volta che una Freccia si alza, la missione viene preceduta da una riunione. Carta alla mano il tenente colonnello De Rinaldis ha spiegato la rotta e le acrobazie che eseguiremo. La nostra è la missione 854.

Le ali si sfiorano. Ci siamo, è il momento. Lentamente l’aereo inizia a muoversi. L’altro ci segue a brevissima distanza in fila indiana. Breve rincorsa e… stacchiamo l’ombra da terra. Il decollo è dolcissimo, si avverte addirittura meno rispetto a un normale volo di linea. LAermacchi MB339 si stabilizza alla quota di 400 metri, e la velocità di crociera è intorno ai 300 nodi (600 chilometri orari). Dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla base Nato di Aviano ci dirigiamo a sud, verso Lignano, mentre l’altro velivolo si mette sotto la nostra ala destra. Alla. distanza di circa sei metri. «È questa la distanza che tenete durante le esibizioni?», «No, adesso gliela faccio vedere. Paolo, avvicinati come in formazione». Incredibile. E proprio attaccato a noi, a circa due metri di distanza. Riesco a vedere gli occhi marroni del capitano Tarantino. «Ma per il controllo della distanza avete della strumentazione d’aiuto?». «No, tutto a vista. Prima delle esibizioni, facciamo dei sorvoli per studiare dei punti di riferimento a terra che servono per gli incroci e i ricongiungimenti».

Percorriamo un breve tratto del litorale friulano, il mare è di un blu denso e corposo. «È vero che le manifestazioni sul mare sono le più pericolose, perché cielo e mare si confondono?». «Sì, ma per motivi di sicurezza noi voliamo solo quando la linea dell’orizzonte è ben chiara». «Durante il volo parlate tra di voi? Non rischiate l’accavallamento delle voci?». «Parlano solo il comandante che segue la manifestazione da terra e il capoformazione. I gregari rispondono con il proprio numero, per far capire che hanno sentito. Poi, tornati alla base, facciamo un’altra riunione dove guardiamo il filmato dell’esibizione e il comandante ci spiega gli errori fatti. C’è sempre qualcosa che poteva essere fatto meglio. Non è mai accaduto che un comandante dopo la manifestazione abbia detto: bravi ragazzi, nulla da dirvi, andiamo a farci un aperitivo».

Selezione severissima. La sala riunioni è il cuore della piccola base di Rivolto. Al contrario dell’aeroporto, che è vastissimo (deve consentire alle Frecce di provare tutte le figure del programma), la base è molto raccolta. Oltre alla sala riunioni c’è quella «geografica», con un’immensa cartina dell’Italia e un paio di uffici. Alle pareti sono appese le foto dei componenti della Pattuglia dal 1961, anno di fondazione, a oggi. Tantissime targhe e coppe regalate da appassionati adornano l’ufficio del comandante Umberto Rossi, 35 anni (ci sono anche quadri neofuturisti ispirati alle Frecce). Al piano di sopra, una mansarda per le serate goliardiche. In un altro fabbricato l’hangar dove i tecnici controllano ogni singolo bullone degli aerei.

«Lei come è entrato nelle Frecce Tricolori?». «Per fare domanda occorrono tre requisiti: esperienza di volo (almeno mille ore) su aviogetti, la qualifica di pronto al combattimento e non più di 30 anni. Presentammo domanda in una quindicina, e ci fu una severa selezione». «C’era molta competitività?» «No, io non conoscevo gli altri candidati, e la selezione allora veniva fatta direttamente presso i reparti. Oggi invece si viene convocati qui a Rivolto». Invertiamo la rotta, lasciamo il mare e puntiamo verso Udine. Il capitano Tarantino ci affianca, i due apparecchi volano ora in linea a una distanza di un chilometro e mezzo. «Questo lo chiamiamo volo tattico», mi spiega. De Rinaldis in cuffia, «così perlustriamo il territorio, io controllo a ore sei lui se è seguito da un nemico e lui fa lo stesso con me. Il nostro non è un aereo solo spettacolare, ma serve anche per incarichi operativi». «È vero che siete l’unica pattuglia a ricoprire anche incarichi operativi?». «Sì, noi continuiamo ad addestrarci per eventuali impieghi militari. Questo aereo ovviamente non ha grandi potenzialità belliche, in un’ipotetica guerra servirebbe come supporto per le forze di terra». «Durante la Guerra del Golfo le esibizioni erano state bloccate?». «No, solo alcuni reparti erano stati allertati, e tra questi non rientravano le Frecce. Io in quel periodo ero si nel Golfo, ma con il Tornado».

TEMERARI. Le Frecce Tricolori si esibiscono sull’acqua. Queste acrobazie vengono effettuate di rado perché, data la difficolta di distinguere il cielo dal mare, è necessaria una buona visibilità dell’orizzonte – Gli Aermacchi MB339 a terra – SICUREZZA. Un Aermacchi MB339 delle Frecce durante i lavori di ispezione e manutenzione

Si comincia con le acrobazie. Passiamo sopra la splendida valle di Tolmezzo, sorvolando il lago di Cavazzo. Le vette sono imbiancate. Su un monte sono visibili i resti di una postazione di cannoni della Prima guerra mondiale. Siamo a un sospiro dall’Austria. «Durante l’esibizione avete tempo per guardare il pubbli-co?». «Beh, il capoformazione è quello che riesce a lanciare più sbirciate, per i gregari non ci sono molte occasioni per guardare di sotto». «Per voi tutte le manifestazioni sono uguali?». «No, non conosciamo la routine, c’è sempre molta emozione nel sapere che sotto ci sono centinaia di migliaia di persone con il naso all’insù. Ci emoziona volare in America per il cinquecentenario della scoperta di Cristoforo Colombo come per il biennale Air Show di Ostia».

Torniamo indietro verso Rivolto, seguendo il fiume Tagliamento. «Ora se è pronto, facciamo un po’ di acrobazie». «Va bene». Le danze dell’aria cominciano con quello che i militari chiamano tonneau: l’aereo gira sul proprio asse longitudinale. Alza l’ala sinistra progressivamente, ci troviamo a testa in giù e poi torniamo dritti, passando dalla sinistra alla destra dell’altro aereo. Una capriola di lato. La tuta anti-G stringe fianchi e gambe come quando ti misurano la pressione. Sento la testa svuotata. Durante le acrobazie la forza di gravità aumenta fino a sei volte e il sangue tende a scendere dalla testa verso i piedi, per non far restare il cervello senza sangue (quindi senza ossigeno), la tuta stringe e trasforma il corpo del pilota in una specie di imbuto. Quasi in apnea e terreo in volto, sento la voce del pilota: «abbiamo fatto largo, durante l’esibizione è molto più stretto». Il cuore comincia a sbuffare come una locomotiva a vapore dell’Ottocento.

Una giornata tutta per aria. «Come si svolge una giornata tipo?». «Dipende dal periodo, da maggio a ottobre giriamo l’Europa in esibizioni, mentre in questi mesi ci alleniamo con i nuovi piloti. Iniziamo alle 8.30 con il programma della giornata e fino alle 16.30 siamo continuamente in volo, con due aerei, con tre, da soli. Mediamente stiamo per aria due ore. Ogni volo nasconde un lungo lavoro di preparazione. Tra noi c’è molto affiatamento». «E mai accaduto che un pilota venisse allontanato perché legava poco con il resto del gruppo?». «No, durante le selezioni si guarda soprattutto il carattere. E per fare questo lavoro sono essenziali: grande umiltà, capacità di autocritica e senso della comunità, Adesso facciamo un giro della morte, che noi chiamiamo looping». L’aereo inizia a salire verso il cielo, la tuta riprende a stringere, siamo in verticale, poi in orizzontale a testa in giù, in picchiata e finalmente dritti. Comincio a respirare con fatica, in previsione della prossima acrobazia piazzo la mano sulla leva dell’ossigeno al 100 per cento. Non la sposterò più. Ci mettiamo nella posizione di gregari, siamo attaccati all’ala sinistra del capitano Tarantino. Da dietro è ancora più impressionante, quanto siamo vicini. «Questa è la posizione che ricopre il numero 2, ora le faccio vedere quella del primo fanalino, l’aereo numero 6, che durante le manifestazioni sta proprio dietro di me».

I pericoli del volo. Siamo incollati alla pancia dell’altro aereo a una distanza, in verticale e in orizzontale, che varia dal metro e mezzo ai tre metri. A vederli così vicini, tornano in mente le terribili immagini di Ramstein del 1988, quando tre aerei della Pattuglia si scontrarono durante un’esibizione, causando la morte di 70 persone (3 piloti e 67 spettatori). «Cosa è cambiato dopo quel tragico incidente?». «Il pubblico ora lo teniamo più lontano, il programma è rimasto invariato. Ramstein ha lasciato un grande dolore, ma ci ha anche insegnato a non sentirci mai arrivati, a cercare di sopperire con l’addestramento a tutti quegli eventi imprevedibili che possono capitare in volo». «Gli altri piloti militari non hanno un po’ d’invidia verso di voi, sempre al centro dell’attenzione?». «No, sanno che rappresentiamo l’Aeronautica e durante le varie manifestazioni ci incoraggiano sempre». Torniamo nella posizione di gregario sinistro e così facciamo un altro giro della morte, attaccati all’ala dell’altro aereo. «Noi al pubblico dobbiamo dare l’impressione di volare sempre alla stessa distanza, se ci allontaniamo alla destra delle tribune ci allarghiamo a sinistra. Così la gente ci vede sempre compatti, è un gioco di prospettive». «Qual è stato lo scenario più suggestivo dove avete volato?». «In Finlandia a mezzanotte, con il chiarore notturno. Una delle poche volte dove si vedevano le luci degli aerei».

Scampanate e numeri otto. «Si prepari, ora facciamo un otto cubano». Neanche il tempo di prendere fiato che iniziamo a salire in verticale, la Freccia fa un mezzo giro della morte, poi una volta a testa in giù un mezzo tonneau per tornare dritti, ancora un mezzo giro della morte e un altro mezzo tonneau. Nel cielo abbiamo disegnato un otto in orizzontale. Come i piloti riescano a mantenere l’orientamento tra piroette e capriole è un mistero, io perdo di vista cielo, terra e orizzonte in continuazione.

«Come avviene l’addestramento di un nuovo arrivato?», chiedo. «Viene introdotto gradualmente. All’inizio vola da solo, poi con un compagno, poi due, fino ad arrivare a volare in dieci. Il suo istruttore è il pilota che l’anno prima ricopriva quella posizione. Ai nuovi arrivati noi facciamo ricoprire uno degli ultimi tre posti in formazione. Sono ruoli difficili, perché volano facendo riferimento su un aereo che fa anch’esso il gregario. In poche parole il pilota che seguono non è mai fermo, ma si muove per correggere la propria posizione rispetto al leader, che sono io. Sarebbe per loro più facile volare facendo riferimento direttamente su di me, come fanno i nuovi piloti delle pattuglie inglesi e francesi». «E perché non lo fate?». «Perché se sbagliano in coda non si nota, mentre se lo fanno davanti, portano all’errore di tutta la formazione. Chiudiamo con una scampanata, le va?», propone Maurizio De Rinaldis. E la manovra tipica del solista, il velivolo sale in verticale, andiamo incontro alle nuvole, dietro s’intravede il sole, appena superati i soffici batuffoli d’aria il pilota mette il motore al minimo. L’aereo decelera fino a 0 nodi e inizia così a scendere per la forza di gravità, prima con la coda, poi con la punta che è più pesante. Ci rituffiamo dentro alle nuvole e De Rinaidis ridà potenza alle turbine. La manovra più bella, ti fa sentire poeta dell’aria.

Insostituibili. «Cosa succede se il giorno prima della manifestazione una Freccia si ammala?». «Voliamo con il buco. Non è possibile fare sostituzioni improvvisate, serve un grande affiatamento tra di noi. L’aereo comunque è manovrabilissimo, vuole provare?». Un po’ emozionato prendo in mano i comandi. Provo un po’ a manovrare la cloche, è molto sensibile, appena ho accennato a farlo scendere, l’aereo ha abbassato il muso bruscamente. «Deve solo pensare di muovere i comandi», afferma divertito il tenente colonnello. Mentre ci avviciniamo alla pista dell’aeroporto chiudiamo con i consigli per gli acquisti. «A un ragazzo che sogna di diventare pilota delle Frecce, che consiglio darebbe?». «Di puntare in alto, perché appena entrato in Accademia deve dimostrare di avere le attitudini per pilotare un jet militare. Solo dopo che avrà dimostrato particolari propensioni al volo, potrà fare domanda per la Pattuglia». «E se quel ragazzo fosse suo figlio?». «Gli racconterei dei tanti sacrifici a cui andrà incontro, ma se fosse mosso da vera passione saprebbe superarli e ne verrebbe ripagato». Andiamo in atterraggio. Sulla pista tocchiamo terra a brevissima distanza, prima noi e poi l’aereo numero 3. Dopo 50 minuti di volo, la missione 854 è terminata. L’emozione non ancora.

Sessanta angeli le tengono in aria

Parla il Capo Sezione Efficenza Velivoli

Sulla scrivania del Jean Todt delle Frecce Tricolori, due bandierine canadesi. Le foglie d’acero per il capitano Giacomo Zanelli, capo sezione efficienza velivoli, 39 anni di cui dieci passati qui a Rivolto, tradiscono il legame con lo città natale: Toronto. «Ci sono spesso, la mia famiglia è italo-canadese».

il Borghese: Quante sono le persone che lavorano per la buona salute degli aerei della Pattuglia?
Zanelli: In tutto, tra montatori, motoristi, marconisti, armieri elettromeccanici e linea volo, circa una sessantina di persone.

il Borghese: Quanto dura la vita di un Aermacchi delle Frecce?
Zanelli: Dal 1982 – anno in cui la Pan è passata dal Fiat G91 all’Aermacchi MB339 – noi usiamo gli stessi aerei. Dietro c’è un grande lavoro di manutenzione. Ogni 150 ore di volo l’aereo viene sottoposto ad attenta revisione. Più è vecchio e più scrupolosa è la «visita medica», Questa è la manutenzione programmata, poi c’è quella ordinaria.

il Borghese: Cioè?
Zanelli: Interveniamo quando il pilota avverte durante il volo alcune inefficienze della macchina.

il Borghese: Quindi l’aereo non va mai in pensione?
Zanelli: Dopo 1.500 ore di volo (sette anni circa), si procede ad un’ispezione generale fatta da noi e dall’azienda Aermacchi„ che introduce nuove variazioni. Comunque, dopo circa 5.000 ore di volo l’aereo va per così dire in rottamazione.

il Borghese: Quali sono i pregi e i difetti di questo aereo, rispetto a quelli usati da altre pattuglie?
Zanelli: I pregi sono molti: è una macchina estremamente generosa e molto affidabile. Ma soprattutto con un’eccezionale manovrabilità. L’unico difetto è la scarsa autonomia.

il Borghese: Le sessanta persone che lavorano qui sono tutte volontarie?
Zanelli: Sì, noi riceviamo una grande quantità di richieste. Durante le lezioni però mettiamo in guardia i candidati sui tanti sacrifici che questo lavoro comporta. Nel periodo delle manifestazioni noi seguiamo la Pattuglia in ogni angolo d’Europa. E dobbiamo essere pronti a rimettere a posto un aereo anche fa notte prima dell’esibizione. Passiamo più tempo con i piloti che con la nostra famiglia.

il Borghese: Non avete un po’ d’invidia per i piloti? Durante le manifestazioni gli occhi e gli applausi sono tutti Per loro?
Zanelli: No, tra noi c’è una grande stima reciproca. Loro si fidano ciecamente delle nostre capacità e noi delle loro. E poi, ultimamente il nostro ruolo viene molto apprezzato anche dai pubblico.

La Pattuglia Acrobatica al completo. Da sinistra: capitano Stefano Miotto, tenente colonnello Umberto Rossi, tenente colonnello Pier Luigi Fiore, capitano Ettore Papa, capitano Stefano Giovannelli. Accosciati: capitano Alessandro Zanotelli, sottotenente Rudy Barassi, capitano Dimitri Marzaroli, capitano Alessandro Fiaschi, capitano Paolo Tarantino, tenente Giovanni Adamini

Le Frecce Tricolori in pillole

In volo rovesciato per 3 milioni al mese

La storia

Le Frecce Tricolori sono le eredi delle Pattuglie acrobatiche di Campoformido (Udine) del 1930. Negli anni Cinquanta l’Italia veniva rappresentata nelle manifestazioni internazionali dai vari reparti da caccia dell’Aeronautica militare: Tigri Bianche, Cavallino Rampante, Gatti Tonanti, Diavoli Rossi, Lancieri Neri. Nel 1960 lo Stato Maggiore decide di costituire un’unica pattuglia acrobatica con sede a Rivolto. Così nacque il 313° gruppo addestramento acrobatica Frecce Tricolori.

Lo stipendio

In confronto agli stipendi dei piloti di linea sono una bazzecola. Un sottotenente non arriva ai 3 milioni mensili, quello di un capitano si aggira sui 3 milioni e duecentomila, mentre il tenente colonnello (il grado del comandante e del capoformazione) arriva a 4 milioni. Mediamente un pilota resta in forza alla Pattuglia per quattro anni.

Aereo

Ogni Pattuglia acrobatica usa un aereo di produzione nazionale. Dopo il Canadair F86 degli albori e il Fiat G91, dal 1982 le acrobazie nazionali si evolvono sull’Aermacchi MB339. Si tratta di un piccolo velivolo biposto (lungo 11 metri e apertura alare di 10) che equipaggia le Forze aeree di nove Paesi ed è stato prodotto in duecento esemplari. L’Aeronautica militare lo impiega per l’addestramento dei piloti.

Le altre Pattuglie

Le formazioni acrobatiche più famose sono le inglesi Red Arrows, le francesi Aviojet Patrouille, le svizzere Patrouille Suisse, le spagnole Tiger Patrulla Aguila e le svedesi Team 60. Quella italiana è però l’unica a volare con dieci velivoli. Punto di forza della Pattuglia di Rivolto è l’intenso programma, rimasto invariato dal 1961, che non lascia il tempo allo spettatore di annoiarsi. I tradizionali fumogeni (che non hanno solo una funzione coreografica, ma servono anche al comandante per correggere le traiettorie) sono stati copiati da quasi tutte le altre formazioni.

L'Accademia

Per chi vuole entrare nelle Frecce Tricolori ci sono due strade: il corso Aupc (allievo ufficiale pilota di complemento) oppure l’Accademia aeronautica. Tutti i comandanti e capiformazione della Pattuglia devono provenire dalla scuola di Pozzuoli. I requisiti per entrare in Accademia sono: età compresa tra i 17 e 22 anni (non compiuti), diploma dì scuola superiore (o frequenza del quinto anno liceale). Le selezioni per i futuri piloti sono molto selettive dal punto di vista fisico (vista: dieci decimi; denti: meno di otto carie; udito: ottimo) e psico-attitudinale. Il prossimo bando verrà pubblicato a gennaio e se volete saperne di più potete informarvi presso lo Stato Maggiore, oppure via Internet cliccando su www.aeronautica.difesa.it. Ci sono oltre duecento pagine web per soddisfare tutte le vostre curiosità.

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