Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio 2025

Massimo Montanari racconta

di Luca Ricci
da Rivista Aeronautica, 2016 (?), pp. (?)
e contenuto nel volume “Frecce Tricolori – 55 anni di emozioni”

Ore 7.30, aeroporto di Ghedi. Come tutte le mattine, dopo il caffè al circolo, allora una semplice baracca, mi diressi verso le “Operazioni”. «Massimino, oggi voli con il 155, vola con te un colonnello», mi dissero. «Che palle! – pensai – il solito colonnello dello Stato Maggiore che viene a fare le sei ore e a cambiar aria…».

Facemmo il briefing tutti insieme, allora eravamo 70-80 piloti. Poi vidi il tabellone, confermato sul 155 in coppia, il colonnello sul 155. Vabbè, andiamo! Volavamo sull’F-84, salimmo a bordo e rullammo sino al punto di attesa, prima di entrare in pista. Ricevemmo l’autorizzazione all’allineamento… «Pronti al decollo!», ci comunicarono dalla torre. Gli dissi a tre secondi comandante! Mollai i freni e buttai l’occhio nella mia mezzeria, lui nella sua, e me lo trovai appiccicato, di certo non a tre secondi: «Cosi non si fa, non è mica corretto!». Vedo il tabellone di centro, con la velocità ci sono, ormai anche se non ha rispettato le distanze non ce la faccio più ad abortire e allora decolliamo!

Appena decollati gli dico: «Comandante resti in frequenza», non l’avessi mai detto… capii subito che ci rimase male… chiusi con lui e aprii con le operazioni: «Oh Montanari stai attento.., fai un buon lavoro!» E fu allora che cominciai a pensare: «Ma chi sarà mai questo?». Ero orgoglioso! Rispettammo alla perfezione il piano di volo.., ma la cosa, appresi immediatamente, non fu cosi tanto apprezzata dal colonnello che mi disse: «Hai finito con questa rottura di balle? Torniamo indietro!», spiazzato gli risposi d’istinto: «Comandante non si può, non è previsto». «Ma non rompere!», mi rispose lui decisamente seccato. Chiusi la comuni-cazione e presi contatto con le Operazioni: «Fai quello che vuole». Ripresi con il Comandante che mi disse: «Precisino, hai finito di chiedere autorizzazioni?», aveva scoperto che stavo parlando con le Operazioni… Piloti con quella personalità non ne avevo mai visti! Dopo passammo sulla nostra frequenza e io “switchai” su Verona Villafranca, per andare sulla zona di lavoro, sul Lago di Garda, da quota 5.000 a 15.000. «Dai continua ad andare avanti», mi disse il Comandante. Quindi, io rimanevo leader e lui gregario: ma non doveva essere così! Per questo, senza perdere tempo, lo incalzai: «Comandante questo non è il mio lavoro!», ma lui non mi fece neppure finire la frase che ribatté: «Dai non fare la signorina». Quella battuta mi infastidì e provai a fargli vedere quello che ero capace di fare, ma fu inutile. Il Comandante. giustamente, non apprezzò e mi disse: «Ma che é questa mano vellutata mica é una tetta di donna! Dai deciso!», Mi girai, era sempre li attaccato, non avevo mai visto uno cosi bravo a stare in ala! Ad un certo punto non lo vidi più,: «Comandante dov’è?». E lui con la sua solita schiettezza.’ «Ti sono nel culo, pivello…». Era scivolato dietro di me senza che me ne accorgessi. Ma la figura a bastone proprio non la tollerava e, dopo un secondo, mi avviso: «Passo davanti io, pivello, perché mi son rotto con ste mammole di volo». In un attimo diventai il numero 2, ma non volevo essere da meno di quel “seiorista” e per questo mi sentii subito in dovere di dimostrare anch’io la mia abilità nel ruolo di gregario. I capelli, tutti bagnati dal sudore, mi uscivano disordinati dal casco, non riuscivo a stargli dietro?! Lo vedevo con una mano stabile inchiodata: «Ostia che pilota!!!». Dovevo impegnarmi di più, questo era proprio un “‘manico”.

«Facciamo dieci minuti di acrobazia», mi annunciò. Sperai solo dieci perché avevamo autonomia in più ma non era proprio in grado di reggerli. Sin dalle prime figure mi trovai in difficoltà a stargli in ala, era veloce e passava da una manovra all’altra con un’abilità tale da indurmi a pensare. «Non sarà mica roba di Pattuglia…?», ma istintivamente mi risposi: «No, vabbe, ti pare che dalle Operazioni non me lo avrebbero detto… ?». Tutti quei pensieri mi avevano distratto. Nel rimanergli in ala meccanicamente, non avevo notato che avevamo affondato! 500 nodi, 510, 520… «caspita 540.!». Beh, non mi ricordo bene la velocità, ma sicuramente non l’avevo mai toccata prima! Tremava tutto l’aeroplano… cosa stava per fare? lo cercavo solo di mantenermi in ala, rispettando tutti i parametri previsti, ma non sapere quale sarebbe stata la manovra successiva, e soprattutto non riconoscerla in quelle che rientravano nel mio background… mi spaventò a tal punto che arrivai a metà evoluzione e poi abbandonai… Non era il mia lavoro e non volli rischiare! «Pivello dove sei andato?», mi chiese in frequenza. «Comandante non l’avevo mai fatta quella manovra e non mi sentivo sicuro! », ma non capì il senso della mia risposta e mi incalzò dicendo: «Ragazzo c’è sempre una prima volta!».

Da lì in poi facemmo una serie di figure acrobatiche, da me, fino ad allora, mai viste. Cercai più o meno di seguirlo, finché non ne impostò una che ricordo ancora adesso; non stavamo decelerando e puntavamo in maniera decisa la montagna. Non ero abituato e continuavo a tenerli d’occhio entrambi, 155 e la montagna davanti. A me gli americani avevano sempre insegnato che fidarsi è bene, ma non fidarsi é meglio… E se hai due occhi devi sempre usarli entrambi! Cercai di restare lì a fianco a lui sino alla fine, sino a quando, istintivamente, mi staccai… Venni ripreso immediatamente: «Neanche ti fidi…». Ma non era quello il punto; non è che non mi fidavo, io non conoscevo… ma lui non accettò questa giustificazione e mi disse: «Vabbé, parliamo a a terra…».

Atterrammo e ci separammo subito, ma prima mi disse: «Pivello va bene… te la sei cavata!». Quando beccai il capolinea, che conoscevo bene perché era un amico di Ghedi, gli chiesi: «Chi ha volato con me?». Lui, che lo sapeva, mi rispose sorridendo,’ «È Mario, non lo sapevi?». Spalancai gli occhi incredulo?: «Ma chi, quello della Pattuglia? Perché non me lo hai detto prima!». Arrabbiato per aver fatto quella figuraccia, mi avviai al bar, avevo bisogno di un caffè. Un aviere un po’ balbuziente mi fermò e mi chiese: «Maaa hhhaiii vvvolllato connn Ssasssquarcina?». Non sapendo se essere arrabbiato o orgoglioso, istintivamente gli risposi: «Eh… credo proprio di si!». Arrivò lui, tutto “arzillo”, era un uomo “diabolico… anche fisicamente! Subito mi sentii in dovere di spiegarmi: «Comandante mi deve scusare ma io non sapevo…». Mi giustificò con una semplice affermazione, non capii se voleva essere un complimento o un’offesa: «Sei solo un giovanotto..,». Quasi per scusarmi, gli chiesi: «Comandante, posso offrirle il caffè?». Non mi fece neppure finire… «mica per un giorno lo offrirai, ma per tutta la vita!». Prendemmo il caffè insieme e poi, forse, tento di farmi un complimento: «Usi la testa e non è poco… e non ti fidi neanche di te stesso… e anche questo é buono per chi deve fare il nostro lavoro!».

Dopo 20 giorni mi chiamarono dalla Pattuglia, erano altri tempi. Dovevo andare a Rivolto, ma come poteva essere che, da sempre impiegato tra le bombe, ora mi chiamassero a fare l’acrobata? A Rivolto, mentre attendevo di fare il colloquio con Squarcina, arrivò un collega che mi disse: «Vai vai dentro, ti sistemeranno per bene!», non mi ha detto nemmeno buongiorno… Questa era la gente di una volta… ma sempre con rispetto. Ed io pensai: «Ma che avrò fatto mai?», Entrai da Squarcina che mollava il comando. Era seduto lî, davanti a me, in silenzio, che prendeva appunti. Ricordo quella scrivania enorme, bellissima, e Di Lollo in piedi a fianco a lui… Me lo ricordo come se fosse adesso… Squarcina dopo un po’ di attesa mi guardò dai piedi alla testa, mentre mi diceva una cosa, che io non capii, tanta era l’emozione, ma soprattutto perché ero ancora alla ricerca del motivo che mi aveva portato li davanti a lui. Mentre ero ancora assorto nei miei pensieri, mi sentii interpellato da una voce diversa: «Tu, con quella faccia, hai 2.400 ore di volo?», era Di Lollo che da lì a poco avrebbe preso il comando «Ma dove le hai rubate?», Tutta quella storia mi aveva colto alla sprovvista e anche per quelle domande non ebbi la risposta pronta, tanto che dopo qualche attimo di silenzio, constatata la mia perplessità, sempre Di Lollo disse: «Vabbò vabbò, vai a pagare il caffè! Mi sembra di aver sentito che avevi preso un impegno con Squarcina circa venti giorni fa!». Ed io uscii fuori sempre con la stessa domanda, che mi rimbombava nella testa: «Cosa ho fatto di male?». Ero un giovanotto e, ogni tanto, anche senza volerlo, le cazzate le facevo, quindi ero con il pensiero fisso per capire cosa potevo aver combinato. Appena arrivai al circolo, Squarcina mi disse: «Non vorrai mica la lettera di assunzione?». Come a dire: «Sei tanto precisino che ora vuoi l’ufficialità?».Senza attendere risposta continuò: «Prendi il caffè veloce e vai e preparare tutta la tua roba, qui non c’è tempo da perdere, si deve trottare!». Dopo quell’inquadrata di benvenuto, mi sono trovato nel mese di maggio a far parte delle “Frecce Tricolori’.

C’è sempre un caso fortuito all’inizio di ogni avventura, una coincidenza che può sembrare anche negativa, ma che rivela la sua vera, buona natura solo con l’andar del tempo, È come se il destino ti inviasse dei segnali per illuminare il tuo cammino. lo credo che l’incontro casuale con il comandante Squarcina sia stato uno di questi, un incontro che mi ha segnato da quel lontano 1966, quando misi piede in questa “oasi felice” che si chiama Pattuglia Acrobatica Nazionale. Ci rimasi per quasi vent’anni. Divenne, praticamente, la mia seconda famiglia, tanto che ancora oggi la sento sempre come casa mia!

da Giuseppe Cordioli, Capriole tra le nuvole, Mondadori, 2010, pp. 113 – 114

«Arrivavo dal 156 Gruppo “Strike” di Ghedi, vincevo tutte le gare di tiro di precisione nei bombardamenti al poligono, – racconta il generale Montanari. – Prima ero nella 5a Aerobrigata e volavo con gli F-101 e gli F-102, e gli americani mi scelsero, assieme ad altri tre piloti, da una selezione di otto. Da Ghedi, la base dove di recente è stato rimesso in piedi il mio vecchio gruppo, mi portarono negli Stati Uniti per prepararmi.

Squarcina aveva saputo di me e aveva bisogno di un pilota “immediato”, pronto a salire sul Sabre e far parte delle Frecce Tricolori. Gli dissero: “C’è questo sottufficiale che vince tutto alle gare di tiro”. Lui non mi aveva mai visto prima. lo sono entrato in Aeronautica vincendo il bando come sottufficiale, poi ho fatto l’Accademia in privato (al’epoca si poteva), ed ero sergente maggiore. Ho fatto il concorso e ho vinto, perché mi ero impegnato allo spasimo. Mi impegnavo e facevo ciò che più mi piaceva e questo mi ha aiutato molto. È una competizione contro sé stessi. Ricordo che l’allora comandante della 1a Regione aerea, generale Claudio Venturini, quando seppe che avevo superato gli esami mi telefonò perché voleva portarmi personalmente i gradi da ufficiale. “Massimino, vengo io ad applicarti i gradi” mi disse, ma io, rischiando un po, risposi: “Comandante, mi permetta di temporeggiare (il rifiuto poteva essere interpretato male). Grazie ma sono sottufficiale e sono in attesa di diventare maresciallo; posso chiederle di aspettare e concludere cosi il mio percorso e ultimare la mia missione? Non so quanto tempo devo aspettare ma preferirei cosi”. Alla fine mi meritai anche un plauso dal generale Venturini: “Sei proprio uno della generazione Fanfani”. intendendo che ero un figlio del mio tempo».

Il generale Montanari ha ancora ben impressa nella mente la giornata che ha poi cambiato la sua vita come pilota, in particolare il volo effettuato nel velivolo a fianco del maggiore Squarcina.

«Avevo sentito parlare delle Frecce Tricolori, e conoscevo alcuni dei piloti, ma non avevo mai visto Squarcina. Ero a Ghedi e in quegli anni c’erano oltre una settantina di piloti nella base, e si volava anche tre volte al giorno; insomma, c’era una grande attività. Mi ricordo che mi accoppiarono all’insaputa: lui era su un aereo del 54° Gruppo (il suo vecchio reparto) e io su uno del 56°. ma non mi meravigliai perché spesso accadeva che si volasse con equipaggi misti. L’ho visto arrivare. con a casco e la maschera dell’ossigeno allacciata, e tra me e me ho pensato che fosse uno dei soliti che arrivavano da Roma per volare con noi. Non si poteva parlare e quindi si usavano solo i gesti: questo perché all’epoca, non potendo escludere la radio, se si parlava si poteva essere individuati dal nemico, che cosi otteneva identificazione e posizione del velivolo: erano tempi diversi. In volo non si poteva assolutamente parlare. lo ero un pilota formato dagli americani e facevo un volo strumentale, ero squadrato. “Fatti con l’accetta” si dice in gergo, ma sempre con un cuore italiano.

La nostra missione aveva sette obiettivi e lo scopo era quello di evitare i radar e arrivare fino in Toscana, – continua Montanari, – Faccio due o tre obiettivi e mi sento dire da Squarcina di ritornare indietro. Non sapendo chi era gli dissi: “Comandante, per fare una cosa del genere devo cancellare tutto e chiedere l’autorizzazione”. Non lo avessi mai fatto: mi copri di insulti. A quel punto litigammo e gli dissi di restare in frequenza in attesa di disposizioní, che io passavo con le operazioni, ovvero ho stabilito il contatto radio con chi pianificava la missione. Peggio di cosi non potevo fare… Mi misi in contatto con Ghedi per vedere di organizzare il ritorno. Dalla torre di controllo mi dissero che la missione era cancellata e di fare quello che diceva l’altro pilota, e di rientrare nella zona operativa.

Ci dirigemmo cosi verso la zona Alfa sul lago di Garda, dove si poteva fare il volo acrobatico. Ma per andare sul lago era necessario attraversare l’aeroporto di Villafranca, per cui ho cercato di aggirare la pista. Dall’altro velivolo Squarcina mi ordinò di andare dritto. E io gli dissi: “Comandante, non si fa cosi”. A quel punto cominciamo una sorta di “duello”, ma non lo vedevo più cosi chiesi dove fosse finito e mi senti rispondere “Sono sotto di te”. A quel punto mi domandai chi fosse quel “mago” in grado di sparire.

Solo una volta atterrato chiesi chi fosse l’altro pilota e mi sentii rispondere che era Squarcina, quello della Pattuglia. Poco più tardi ci siamo ritrovati in un sottoscala per il post-briefing. In testa avevo ben chiaro tutte le “sciocchezze” che avevo commesso e chiesi scusa. Lui con molta calma mi rispose: “Una cosa ti salva: pensi e usi la testa. Paga il caffè e non pensarci più”.

Dopo quindici giorni ero in Pattuglia”. Ricordo ancora bene come mi accolse il comandante Di Lollo, – aggiunge Massimino. – “Tu con quella faccia hai 2400 ore di volo? Ma dove le hai rubate?”, Squarcina, che ormai se ne stava andando, sorrise e mi mandò a Maniago a fare poligono. Al ritorno mi disse: “Non vorrai mica la lettera ufficiale di assunzione?”. Quello è stato il benvenuto»,

Cominciò cosi l’addestramento che, all’epoca, era molto diverso da quello attuale: «Ricordo ancora quando andai a provare il doppio tonneau con Di Lollo. Per andare ai velivoli utlizzammo un furgone dove c’erano i carciofi per la mensa e altri viveri, e noi due in piedi. Di Lollo mi disse: “Tu non sai arrotolare un aereo attorno all’altro?”, quasi a sfidarmi: questa è stata la preparazione alla figura.

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