Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre 2021
Il tenente colonnello Stefano Vit, 40 anni, veneziano: «In volo c’è un limite da non superare, possiamo sbagliare in sicurezza. Le nostre acrobazie? 60 anni di tradizione»
di Tommaso Moretto
da corrieredelveneto.corriere.it, 26 dicembre 2021 [ fonte ]
«Di adrenalina e paura nel nostro lavoro non c’è traccia. Non siamo come i piloti della Formula 1». Da nemmeno un mese il comandante delle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica dell’Aeronautica militare, è il tenente colonnello Stefano Vit, 40 anni, nato in Friuli Venezia Giulia a San Vito in Tagliamento ma cresciuto in Veneto, a Fossalta di Portogruaro (Venezia), il padre era un operaio, la mamma casalinga, la sorella invece è dodici anni più giovane.
«Sono cresciuto con i piedi per terra», dice.
Vit si è arruolato nel Duemila all’Accademia aeronautica di Pozzuoli dove ha iniziato a volare laureandosi in Scienze politiche. In quel periodo ha conosciuto sua moglie, con la quale ora ha due figli, una bambina di sei anni e un maschio di uno. Dopo l’Accademia Vit è diventato pilota militare presso il 61esimo stormo di Galatina (Lecce). Dopo il brevetto del 2006 per Vit ci sono stati i sei anni a Istrana (Treviso) come pilota di caccia bombardiere con missioni in Afghanistan e in Libia e, nel 2012, la vittoria alla selezione per le Frecce Tricolori.
Il 20 dicembre a Udine, al teatro Nuovo Giovanni, è stata presentata la formazione delle Frecce 2022 e il poster ufficiale.
Tenente colonnello Vit, com’è la giornata tipo del pilota delle Frecce?
«Si inizia alle otto, briefing meteo. Si parla dell’attività e poi iniziano le slot di volo. Ognuno ne fa due o tre al giorno articolate su due sessioni mattutine e due pomeridiane».
Come gli sportivi professionisti, un allenamento la mattina e uno al pomeriggio?
«Ogni volo acrobatico dura circa 35 minuti. Poi c’è il debriefing, si rivede il filmato, il tempo di un bicchier d’acqua e c’è il briefing del secondo volo. La giornata finisce alle 16,30 ma c’è anche lavoro d’ufficio da svolgere».
Era il suo sogno fare il pilota?
«La stragrande maggioranza dei piloti aveva il sogno di fare il pilota fin da piccolo. Il mio sogno era di diventare militare prima di tutto, poi quando ho scoperto che si poteva fare il militare e il pilota assieme ho pensato che coniugare le due cose fosse il top».
Da bambino aveva altre passioni?
«La mia infanzia è stata caratterizzata da tanto sport agonistico, fino ai 15 anni ho nuotato a buoni livelli, tre titoli regionali in Friuli, un secondo posto in Veneto. Prima gareggiavo per la squadra di Latisana, poi sono passato a Portogruaro. La mia specialità era stile libero ma ho fatto anche delfino. Poi ho nuotato anche per la rappresentativa dell’aeronautica».
Ed ora ha tempo libero?
«Pochissimo e sono passato al triathlon. Ma mi devo limitare perché i carichi di lavoro sono importanti».
Le acrobazie delle Frecce sono meravigliose ma anche pericolose. Un errore vuol dire rischiare la vita. È tutta adrenalina?
«No, di adrenalina e di paura nel nostro lavoro non c’è traccia. Quello che facciamo è un percorso di crescita graduale. Si inizia dalle cose semplici e man mano si aumenta il livello di difficoltà. Mentre il pilota di Moto Gp o Formula 1 si avvicina al limite come approccio, noi fissiamo il limite e rimiamo entro il margine di sicurezza, quello che ci permette anche di sbagliare senza rischi».
Quindi se state entro i margini non vi urtate mai?
«Esatto, mai superare il margine. Il compito degli istruttori è controllare tutti i comportamenti durante l’anno».
Imprevisti come i vuoti d’aria quanto pericolosi sono?
«La turbolenza è una cosa che siamo abituati a gestire, come si muove un aereo si muovono gli altri in modo relativo, se la turbolenza dovesse essere molto accentuata si aumenta la distanza».
Le coreografie chi le inventa?
«Non vengono pensate ogni anno, sono frutto di una tradizione di sessant’anni».
Interpretate spartiti classici come i musicisti in un’orchestra?
«Il nostro programma è più o meno lo stesso da quando sono nate le Frecce, piccole variazioni, tramandiamo la tradizione».
Il gruppo è affiatato, siete amici fuori dal lavoro, siete tutti uomini?
«La media età è 35 anni. Sì, siamo tutti uomini. Spesso ci conosciamo da prima, siamo stati colleghi in altri reparti. Si entra generalmente dopo 8-10 anni di servizio. La selezione è volontaria e viene valutata non soltanto la capacità in volo ma molto anche l’aspetto comportamentale. Il voto di ogni pilota conta come quello del comandante, il candidato migliore si decide insieme».
Fa gesti scaramantici prima del decollo?
«Tutti i piloti sono mediamente molto scaramantici, ognuno ha il suo gesto. Anch’io ho il mio ma lo tengo per me».
Com’è stata per voi la pandemia?
«Viviamo per esprimerci di fronte ad un pubblico quindi abbiamo sofferto ma quando abbiamo potuto tornare, con l’Abbraccio tricolore, è stato emotivamente molto toccante. Sentivamo la pressione di tutta la nazione. Eravamo iper concentrati e motivati. Abbiamo chiuso con il sorvolo su Roma, una cosa che facciamo spesso, non preoccupante dal punto di vista tecnico. Nonostante ciò è stata provante sul piano emotivo, più del solito».
Com’è stata la presentazione della formazione 2022 a Udine?
«L’evento si è tenuto quest’anno in un luogo inedito: per la prima volta nella loro storia, infatti, le Frecce Tricolori hanno scelto di uscire dall’hangar della manutenzione, abituale cornice della serata, per approdare nello splendido teatro della città friulana sia per godere del calore del pubblico sia per rispettare le normative Covid. Ci hanno anche premiato con il “Chairman 2021” tributato dallo European Airshow Council, assegnato ogni anno al display team o display pilot che maggiormente si è distinto a livello europeo, e con il “Premio Gianni Borta 2020”, assegnato dall’Associazione nazionale atleti olimpici e azzurri d’Italia, di cui le Frecce Tricolori sono soci onorari dal lontano 1995, per l’oramai storica impresa dell’Abbraccio Tricolore».
Che messaggio avete voluto dare?
«Che nonostante le difficoltà ci siamo attivati per portare avanti la nostra missione, cioè rappresentare l’aeronautica, tutti gli uomini in divisa e il sistema Paese».