Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio 2020

da Paolo Gianvanni, Pattuglia Acrobatica Nazionale, Edizioni EDAI, Supplemento al numero 281 di JP4, giugno 1997 [ fonte ]

Il Com.te Bruno Vianello fu uno dei sei piloti che atterrarono a Rivolto il 3/03/1961 per costituire la prima P.A.N

Come avvenne il suo ingresso in Aeronautica?
Sono entrato in Aeronautica alla fine degli anni ’50; in prima battuta avevo tentato l’Accademia ma ero stato scartato.
Cosi provai, questa volta con successo, come Allievo Ufficiale Pilota di Complemento e fui arruolato nel marzo 1959 nel 31° Corso AUPC: iniziammo in 74, ma l’11 marzo 1960, alla solenne cerimonia di consegna delle ali ad Amendola, eravamo solo 34; con me, Valentino Jansa, che cadde nel settembre 1971 con la PAN, e Silvano Silenzi attuale responsabile della sicurezza in Alitalia.
La mia prima assegnazione fu alla 4° Aerobrigata che all’epoca era basata a Pratica di Mare con il 9° ed il 10° gruppo mentre il 12° si era appena trasferito a Grosseto.
Il futuro di Pratica di Mare come base operativa aveva ormai i giorni contati in vista dell’inaugurazione del nuovo, e vicino, aeroporto intercontinentale di Fiumicino e nel marzo-giugno 1961 anche gli altri due Gruppi si sarebbero trasferiti, il 10° a Grosseto ed il 9° a Grazzanise.

Come avveniva l’addestramento dei piloti assegnati al reparto?
Quando un novellino arrivava al reparto, veniva affidato per l’addestramento ad un ufficiale anziano che il più delle volte era poi un sottufficiale anziano; quest’ultimo, manico come era, portava il giovane pilota ad un buon livello di preparazione come attività in coppia.
Naturalmente si trattava di una coppia da combattimento.
Cosi si decollava e si entrava in formazione tattica in zona di operazione dove si cominciava a fare di tutto: virate in coppia, a bastone. Se si trovavano altri aerei in volo nella stessa zona, iniziava una “giostra a più coppie”, in caso contrario ci si divideva per simulare tra di noi in combattimento aria-aria facendo tutte le manovre possibili per portarsi in coda all’istruttore.
All’inizio, in quattro manovre il maresciallone si incollava alla nostra coda, ma poi piano piano riuscivamo a rendergli la vita un po’ più difficile.
La prova del nove era l’acquisizione della qualifica di Combat Ready ottenuta solo dopo l’esito positivo delle prove a fuoco sia aria-aria che aria-terra. Una volta raggiunto questo ambito traguardo, si diveniva operativi e quindi si montava d’allarme. Ma l’addestramento non era finito, esso si spingeva verso i limiti operativi della nostra macchina, il Canadair CL-13 Sabre, con manovre fino a 35.000-40.000 piedi (10.608-12.192 metri) dove non era facile riuscire a mantenere la formazione.
Mi ricordo che con coi collaboravano anche aerei di altre forze aeree alleate come i Canberra della RAF basati a Malta che si prestavano a fare da target, difficili da intercettare per le quote e velocità a cui operavano. In questo modo si arrivava ad uno standard operativo molto elevato che emergeva nei risultati delle campagne di tiro.
L’aria-aria veniva fatto sul golfo di Taranto con rischieramento degli aerei a Brindisi mentre per l’aria-terra usavamo i poligoni di Punta della Contessa per i tiri ad alto angolo e di Cellina Meduna in alta Italia per il basso angolo.
Mi ricordo in particolare i tiri ad alto angolo, a 60°, contro i bidoni posti dentro un cerchio disegnato nel terreno; per sparare più colpi la richiamata veniva fatta sempre più in basso ed era normale incassare 6 e più G.
Era un’epoca fantastica; doveva vedere che razza di schieramento avevamo a Pratica di Mare! C’era una massa tale di aerei che avevamo problemi a farli volare tutti. Scendevamo da un Sabre e montavamo su un altro!

Come entra il discorso Pattuglia Acrobatica in questa vita “spensierata” di reparto? Finora, in questa storia, non ho ancora sentito parlare del s.ten. Vianello; che fine aveva fatto?
Ero arrivato al 4° solo da poco e dovevo farmi le ossa; con tutti i problemi che aveva la pattuglia non era proprio il caso che venissero aggiunti anche quelli di un pilota appena sfornato da Amendola. Però il mio modo di volare evidentemente piaceva perche fui incluso, con il ten. Silvano lmparato, nel novero dei possibili piloti da inserire in pattuglia.
Il sistema scelto per l’addestramento di questi “giovani” fu per lo meno originale e venimmo affidati alle cure del m.llo Antonio Giardinà del 9° Gruppo, un manico leggendario che, “cresciuto in guerra”, non perdeva occasione di fare le acrobazie più sfrenate su qualsiasi aereo, dallo Spitfire al Sabre. Cosi mentre la pattuglia tirava avanti la stagione 1960 di riserva ai “Getti Tonanti”, io e Silvano lmparato fummo “dati in pasto a questa belva”.
Scoprimmo le qualità di quel manico di un maresciallo che era un personaggio unico, con una capacità di volo incredibile, una sensibilità fuori del normale. Ci portava su tirando sempre più le manovre in modo che il nostro inserimento con qualsiasi altro capopattuglia sarebbe divenuto di una semplicità estrema. Le cose difficili ce le fece digerire lui giungendo talvolta anche ad esagerare; in almeno due occasioni, completamente assorbiti dall’impegno di seguirlo, ci accorgemmo all’ultimo (naturalmente fu “lui” a dare l’allarme) di essere senza carburante con conseguente spegnimento del motore una volta in pista e l’altra appena giunti in piazzola. Ma funzionò e come!
In due mesi frenetici ci mise in grado di tenere la posizione e soprattutto ci fece conquistare la piena fiducia degli altri piloti. A ripensare a quel periodo sembra incredibile!
Alle 7 del mattino eravamo in campo, alle 7,30 in volo con atterraggio alle 8.00. Alle 8,30 colazione in mensa, alle 9.00 ancora su fino alle 9,30. Finalmente…alle 10.00 montavano d’allarme o di picchetto! In pratica in aeroporto non si cominciava a lavorare fino alle 9,30-10.00 perché tutti stavano con il naso in su a guardarci!
A quei tempi vigeva il sistema in base al quale un’Aerobrigata da Caccia assumeva annualmente il compito di gestire una pattuglia di rappresentanza; trattandosi di un impegno limitato nel tempo, era necessario che contemporaneamente volasse un altro reparto in addestramento acrobatico che fungesse da “riserva” e che subentrasse l’anno successivo nel ruolo di “nazionale”; ma non era finita li perche naturalmente un terzo reparto doveva cominciare l’addestramento se voleva l’anno successivo volare nel ruolo di riserva.
Nel 1959, quando arrivai alla 4°, la pattuglia titolare era quella dei “Lanceri Neri” che nel 1960 avrebbe lasciato il posto ai “Getti Tonanti” della 3° Aerobrigata con il “Cavallino Rampante” della 4° come riserva e futuro titolare nel 1961.
Il “Cavallino Rampante” aveva dei precedenti leggendari; i quattro Sabre guidati dal cap. Melotti avevano conquistato nel 1956-57 una popolarità incredibile, ma era un passato che all’inizio dell’addestramento della nuova pattuglia appariva molto lontano.
Incomprensioni tra giovani e anziani crearono un’atmosfera del tutto negativa a cui si cercò di rimediare rimescolando le carte: Tascio prese il posto di Fiore e gli altri piloti divennero il ten. Cesare Genovese, il ten. Pietro Gabrielli, il ten. Franco Panario, il serg. Andrea Tamburo ed il ten. Antonio Ferri. Le cose non migliorarono nemmeno con l’assegnazione del magg. Nunzio Defraia come consulente responsabile dell’addestramento e la situazione precipitò a seguito di un incidente a fine marzo quando in un looping in fila indiana Genovese investi da dietro Panario; quest’ultimo, trovatosi senza timoni si lanciò con successo mentre Genovese riuscì abilmente ad atterrare con il musetto un po’ storto.
A pagare per tutti fu Tascio il cui posto andò al cap. Giorgio Santucci del 10° Gruppo riaccendendo la rivalità del 9° che reclamava come leader Scala; rivoluzione anche nella formazione con ricambio pressoché totale, e questo a pochi giorni dall’inizio della stagione come pattuglia di riserva!
Il “Cavallino” rischiava veramente di non decollare, ma fortunatamente il buonsenso prese il sopravvento. Al rientro a Pratica di Mare, dopo la prima manifestazione, quella del 15 maggio ad Albenga, Santucci rinunciò scegliendo di passare al Reparto Sperimentale Volo e Scala divenne capo formazione con intorno a sè solo piloti molto giovani: ten. Carlo Sabbatini, ten.Franco Panario, ten. Antonio Ferri, ten. Vittorio De Angelis.
A questo punto il destino si accanì ancora una volta contro il “Cavallino”. Il 28 maggio la pattuglia si trasferì a Grosseto in vista della manifestazione di Perugia e il mattino seguente il fantastico Defraia, un pilota probabilmente unico, si infranse sulla pista al terzo passaggio rovescio a quota bassissima. Solo il 15 giugno i quattro Sabre tornarono a volare in pubblico e la stagione andò avanti con gli appuntamenti di Latina, Vergiate, Venezia Lido, Loreto, Marina di Massa, Messina, Reggio Calabria e Rieti, fino ad ottobre quando anche la pattuglia segui il resto dell’Aerobrigata sulla base di Grosseto.

Ma nel frattempo allo Stato Maggiore avevano cambiato idea sul sistema della rotazione dei reparti da Caccia per la Pattuglia.
Non era più possibile andare avanti con tre reparti sempre impegnati, pur a diversi livelli, nel fornire una formazione acrobatica e cosi fu deciso di creare un’unità ad hoc basandola a Rivolto.
La trasformazione iniziava dal 1961 e cosi la pattuglia del 4°, ormai pronta per la stagione, venne nominata sul campo Pattuglia Acrobatica Nazionale.
Arrivammo a Rivolto con il Cavallino Rampante sulle tute di volo, ma era solo questione di giorni e sia gli scudetti che le livree dei caccia sarebbero stati aggiornati. I sei aerei che atterrarono il 3 marzo a Rivolto erano pilotati da Scala, leader, Sabbatini e lmparato gregari sinistri, io e Panario gregari destri e Ferri, fanalino. Pochi giorni dopo giunse anche il ten. Gianni Pinato, proveniente dalla 2° Aerobrigata. A Rivolto, ad attenderci c’era il nuovo comandante e supervisore, il magg. Mario Squarcina, prestigioso leader dei “Diavoli Rossi”.
Se fino ad allora ci eravamo basati sulla critica dei vecchi della 4°, da quel momento dovemmo fare i conti con la critica impietosa di Squarcina e ci apparve subito evidente che il nostro modo di volare non gli andava assolutamente bene.
In effetti non avevamo mai curato l’aspetto spettacolare del programma anche perché nessuno di noi aveva mai partecipato a grosse esibizioni; l’unico al 4° che se ne intendesse era Melotti, ma in quel momento era allo Stato Maggiore.
Noi curavamo la manovra con la mentalità operativa e non dal punto di vista del pubblico.
Squarcina era invece un vero professionista; era stato anche in America con la fortunata tournée dei “Diavoli Rossi”, aveva avuto occasione di confrontare la sua con le formazioni degli altri Paesi acquisendo la forma mentis del regista e dello spettatore.
Cosi dovemmo correre rapidamente ai ripari e adottare accorgimenti a cui prima non avevamo mai nemmeno pensato. Nel frattempo i Sabre cominciarono ad essere verniciati nella nuova livrea con il dorso blu scuro e il ventre delle ali e dei piani di coda tricolore. Sulle fiancate era stilizzata una freccia, simbolo della Caccia, con una lunga scia rossa.
In questa situazione, forse per fortuna, saltò per il maltempo la prima manifestazione prevista a Mantova il 19 marzo e l’esordio avvenne solo il 1° maggio a Trento. Poi avemmo l’incidente di Scala che ci lasciò orfani.

Come avvenne l’incidente?
Durante un addestramento. Squarcina riteneva utile che ogni pilota facesse alcuni voli in posizioni diverse in modo da rendersi conto delle problematiche degli altri membri della pattuglia.
Era un’idea come altre, un tantino rischiosa come purtroppo si dimostrò.
In quell’occasione Scala da leader era passato 1° gregario di destra mentre Pinato faceva da fanalino.
Durante un tonneau sinistro, Pinato investi Scala che perse un’ala e si infilo a terra senza possibilità di lancio.
Pinato invece si trovò miracolosamente sbalzato fuori e con il paracadute aperto.
Lo shock per la pattuglia fu grande: Pinato una volta uscito dall’ospedale rientrò alla 2° Aerobrigata e il suo posto venne preso dal ten. Mauro Venturini proveniente dalla 4° mentre Squarcina tornò a volare come leader in modo da dare continuità alla pattuglia.
Noi ci trovammo quasi a ricominciare da capo per abituarci al modo di volare di un nuovo leader che oltretutto veniva da una macchina molto diversa dal Sabre, come l’F-84F della 6° Aerobrigata.
Squarcina “tirava come una bestia” e con una tecnica completamente diversa da Scala.
Con lui in posizione di leader facemmo le successive manifestazioni con la prima trasferta all’estero, il 28 maggio a Strasburgo-Entsheim (Francia), Ghedi, Lucca, Lugo di Romagna, Ahlhorn (Germania) e Aviano.
A questo punto, eravamo a giugno, in piena stagione….arrivò un nuovo leader: il cap. Franco Pisano, proveniente dalla 6° Aerobrigata.
Noi ci ritrovammo a fare addestramento per la mano di Pisano che a sua volta imparava il suo ruolo con alle spalle un’esperienza come gregario nelle “Tigri Bianche” del 1955-56.
Un compito incredibilmente difficile che seppe affrontare con grande capacità.
Resta però il fatto che in quel suo primo anno di attività la Pattuglia Acrobatica Nazionale si trovò impegnata contemporaneamente su due fronti, quello addestrativo e quello ufficiale di rappresentanza.
Fu un inizio pagato a duro prezzo!

Non abbiamo mai parlato della macchina; come era il Sabre?
Era un gran bell’aereo con il solo difetto di un motore non troppo potente.
Oltretutto col passare degli anni vennero imposte alcune restrizioni nei limiti di impiego per ridurre le sollecitazioni su cellula e motore.
Aveva dalla sua una grande maneggevolezza per cui in acrobazia andava tutto bene, per lo meno finche si lavorava in quattro. Quando la formazione diveniva più grande e superava le cinque unità, sorgevano invece problemi grossi perche la potenza a disposizione non permetteva trasformazioni particolari. Avveniva cosi che all’ultimo, quando avevamo preso tutti la mano, quelle che erano le trasformazioni non venivano più fatte per potenza ma per decelerazione del capo pattuglia.
Una tipica manovra che richiedeva molta potenza era il looping a bastone in cui due ci stavano bene, tre anche, il quarto era al limite, se gli aerei erano sei, c’erano cinque gradini (separazioni verticali tra aereo ed aereo) e l’ultimo si trovava a fare un giro un po’ più largo. Aveva quindi bisogno di più potenza degli altri e dopo il culmine del looping doveva stare attento a non stringere troppo per riprendere subito la velocità per non rischiare di mangiarsi il gradino e di finire contro l’aereo che lo precedeva. Quindi la manovra veniva calibrata per la massima potenza dell’ultimo aereo, ma in quel modo il leader faceva il looping letteralmente in perdita di velocità. Nella fase discendente c’era la trasformazione da bastone a diamante che avveniva con l’estrazione degli aerofreni da parte del leader ed una spedalata dei gregari che si portavano a destra e a sinistra cercando di trovarsi alla fine in ala. Era un artificio, ma visto dal pubblico sembrava proprio che gli altri accelerassero mentre in realtà era il leader che rallentava. Si riusciva persino a provocare commenti come “cavolo che potenza che ha questo aereo!” quando invece era proprio il contrario!
Ovviamente per fare una cosa del genere occorrevano gregari ben affiatati in grado di sfruttare la macchina fino ai suoi limiti, ma in effetti era proprio questo il livello a cui eravamo arrivati alla fine del nostro primo anno.
Sempre la mano acquisita ci permetteva di superare con artifici i limiti di volo rovescio del Sabre che non aveva pompa dell’olio di recupero e che quindi in tale condizione non aveva assicurata la corretta lubrificazione del motore. Se si volava a regime costante, il tempo disponibile in rovescio era più lungo ma questo non era certo il caso dei gregari che dovevano smanettare continuamente.
Fare un passaggio rovescio significava effettuare il mezzo tonneau all’inizio della pista e volare a 1-1,5 g negativi per tutta la lunghezza del campo prima di raddrizzarsi.
Una novità importante fu l’impianto fumogeno. Nel 1960, anno in cui lavoravamo con velivoli nella normale livrea metallica della 4° AB, montavano al pilone destro un fumogeno chimico che a Rivolto venne sostituito da un impianto interno che portava il liquido all’uscita del condotto di scarico. Riguardo all’autonomia, non era eccezionale. Il carburante interno, equivalente a 30 minuti di volo, era sufficiente per le esibizioni sul campo, per tempi superiori occorreva naturalmente montare le taniche.

Nel 1961 la Pattuglia perse un altro pilota, il s.ten. Mauro Venturini.
Venturini era riserva ed ebbe l’incidente durante un allenamento da solo.
Non si sa bene cosa successe, ma io ho avuto una disavventura che forse potrebbe essere collegata a quella tragedia.
Sul Sabre era presente un contrappeso degli alettoni largo una spanna, lungo quanto le superfici mobili, che si trovava all’interno dell’ala. Il contrappeso era in piombo ed era collegato agli alettoni da bulloni, con gli sforzi e l’impiego, il foro si poteva deformare e ovalizzare al punto tale da far passare il bullone e cosi il contrappeso poteva incastrarsi nella struttura dell’ala e bloccare di fatto l’alettone.
Ebbene, durante un volo di addestramento fatto in posizione di fanalino, all’apertura della bomba iniziai la rotazione ma anziché a 180 arrivai solo a 90°; con la terra che si avvicinava velocemente, richiamai e volando tutto storto, lavorando di pedaliera, riuscii ad effettuare un atterraggio decisamente robusto.
La botta riportò a posto l’alettone e cosi quando arrivai in piazzola divenni oggetto di commenti acidi da parte dei compagni. Solo dopo lo smontaggio dell’alettone scoprimmo cosa era successo.
Allora tutto fini li, ma recentemente, leggendo il libro dell’asso americano “Chuck” Yeager, ho scoperto che l’USAF sia in Corea che in patria, subì numerosi incidenti gravi proprio a causa del blocco del contrappeso.

Ricorda alcune manovre particolari che eseguiva quella prima Pattuglia?
La “Bella siberiana” la ereditammo dalla 5°. Il nome derivava da un famoso film dell’epoca in cui l’asso americano, interpretato da John Wayne, faceva un tonneau intorno al MiG-15 della bella pilotessa russa scappata in occidente.
In pratica era il doppio tonneau che eseguivamo sia in linea di fronte che a cuneo.
Un’altra figura spettacolare era la “fila indiana” che facevamo volentieri quando avevamo un po’ di tempo in più e che entusiasmava il pubblico. Si trattava di un’apertura di fronte, manovra non facile perché i riferimenti erano laterali, non c’era gradino ed eravamo tutti nella stessa posizione.
Non era facile!
Da notare che già allora curavamo molto i ricongiungimenti cercando di effettuare la manovra tutti insieme con progressione fino a riformare la pattuglia sulla base delle indicazioni della “biga”.

Ma nonostante i limiti del Sabre, nella stagione 1962 la Pattuglia si presentò in formazione a nove.
Era la dimostrazione del livello raggiunto dai piloti ma ci si arrivò solo alla fine della stagione ed era veramente una cosa ai limiti.
In realtà il massimo che si poteva tirare fuori dal Sabre era ottenibile con cinque aerei.
Tra l’altro nel 1962 la livrea divenne quella definiva, sempre blu scura, ma con le tre frecce tricolori sulle fiancate.
lo lasciai la Pattuglia a maggio, dopo una indimenticabile trasferta in Gran Bretagna con sette aerei e scali a Torino e Reims. La destinazione era l’aeroporto di Wethersfield nell’Essex, base dell’USAF. Tutto andò bene fino all’ingresso nello spazio aereo inglese ..allora il nostro inglese era decisamente scarso con tutte le conseguenti difficoltà nelle comunicazioni radio. Il radar ci dette un vettore e con sollievo vedemmo che ci portava sulla terraferma.
A quel punto il m.llo Ennio Anticoli comunicò “campo in vista” e in capo a pochi minuti ripeté l’avviso un’altra decina di volte. Sotto di noi era tutta una successione di campi! Alla fine gli dicemmo di smetterla e fu con qualche difficoltà che riuscimmo a trovare l’aeroporto “buono”.
Al ritorno dalla trasferta iniziai il corso base in Alitalia.
Si chiudeva cosi la mia breve ma intensa carriera in Aeronautica Militare per iniziarne una altrettanto interessante e appagante.
Oggi, con circa 18.000 ore di volo sulle spalle, sono ai comandi del CL-415; un tipo di volo che nelle missioni antincendio è sotto alcuni aspetti molto vicino a quello della Pattuglia.
Tanto tempo è passato, ma durante il mio recente tour fino in Giappone e Australia, non ho resistito a farmi ritrarre accanto ai Sabre che ho trovato conservati lungo la rotta; troppe sensazioni, troppi ricordi, mi legano a quell’aereo.

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