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Emozioni e paure nel «battesimo dell'aria» in Canada su un aereo della Pattuglia acrobatica

Evoluzioni a 700 chilometri l'ora - Le accelerazioni schiacciano il corpo

di Francesco Fornari
da La stampa, 26 giugno 1992, p. 12

OTTAWA
DAL NOSTRO INVIATO

Il maresciallo Guglielmo Plaitano mi aiuta ad infilare gli spallacci della cintura di sicurezza e li aggancia al fermo della chiusura sul mio stomaco, stringe le cordicelle che bloccano le gambe al seggiolino.

Il rito della vestizione è complesso: adesso il sottufficiale collega la maschera ad ossigeno del mio casco all’apparato, abbassa la visiera e mi dà le ultime istruzioni, che consistono in sintesi nel «non toccare nessuno» dei mille pulsanti che mi circondano e di togliere il fermo di sicurezza del sistema d’espulsione del mio seggiolino.

Il maggiore Giampaolo Miniscalco, che ricopre la posizione di gregario destro nella formazione delle Frecce Tricolori, seduto sul seggiolino anteriore del «Macchi MB339», mi fa un cenno d’intesa, poi chiude il «cockpit», avvia il motore e si porta sulla pista accanto al velivolo pilotato dal comandante della pattuglia acrobatica, ten. col. Alberto Moretti, che si alzerà in volo con noi.

In quei brevi attimi che precedono il decollo, chiuso nell’esiguo spazio dell’abitacolo, mi chiedo con un po’ di angoscia che cosa accadrà. La mia tuta è già inzuppata di sudore, eppure non fa così caldo: mi spiegheranno poi che questa sudorazione è effetto della tensione, un modo gentile per definire la paura. Quasi non me ne rendo conto e siamo già in aria: il decollo è morbido, meglio che su un aereo di linea, il seggiolino è comodo, incomincio a rilassarmi quando dall’auricolare mi giunge la voce di Miniscalco: «Scusa, ma devo fare una cosa un po’ brusca» e mi pare che un macigno da una tonnellata mi piombi addosso, la testa si insacca sulle spalle, non riesco a muovere le mani, mentre il velivolo si inclina a destra, quasi verticale, per una virata stretta. L’accelerometro segna 4 g: il quadruplo dell’attrazione terrestre; in altri termini, il nostro peso aumenta di quattro volte, il sangue defluisce dal cervello, i muscoli si contraggono nello sforzo di resistere alla pressione che mi schiaccia: una tensione che mi resterà nelle spalle per un paio di giorni.

Siamo tornati in posizione normale, voliamo in formazione di combattimento simulato ad una quota di mille piedi (300 metri) e ad una velocità di 400 nodi (700 chilometri), sopra una foresta che si estende a perdita d’occhio, attraversata da un fiume, costellata di piccoli laghi. L’aereo scivola nell’aria senza una vibrazione, ho il tempo di scattare qualche foto prima che il pilota, col tono di voce tranquillo di chi annuncia la più normale delle cose, mi informa che adesso faremo qualcosa di divertente. Docile ai comandi, l’aereo si piega verso destra e compie una rotazione completa su se stesso: questo è un «tonneau», mi trovo ad avere la terra sulla testa e il cielo sotto i piedi, una sensazione incredibile.

Miniscalco esegue un altro paio di giravolte, poi si lancia in un «looping»: il velivolo sale in verticale come una freccia fino a seimila piedi (duemila metri), raggiunge il limite oltre il quale la spinta non è più sufficiente, si rovescia all’indietro e per un attimo siamo a gravità zero e mi sembra di galleggiare nello spazio, poi, disegnando un cerchio perfetto nell’aria, precipita verso il basso. La terra sembra balzarci incontro, poi l’aereo si raddrizza dolcemente. Miniscalco si informa delle mie condizioni e mi riesce quasi di essere disinvolto nella risposta rassicurante. Così per il pilota è naturale impegnarsi in una figura acrobatica, il «mezzo otto cubano», rovesciando l’aereo nella fase discendente, con un’accelerazione di 4 g. Poi proviamo il volo rovesciato: sfrecciamo a testa all’ingiù per un lasso di tempo che mi pare infinito, in questa posizione il fisico è sottoposto ad uno sforzo terribile perché subisce la forza di gravità in negativo, il sangue defluisce tutto alla testa, mi sembra che il cranio si gonfi dentro il casco, le orecchie ronzano, un senso di vuoto mi attanaglia allo stomaco. Abbiamo raggiunto soltanto un’accelerazione negativa di 1 g e mi è sembrato di morire: il solista della pattuglia, magg. Stefano Rosa, quando esegue certe figure acrobatiche arriva a subire anche sette g. Siamo in volo da 25 minuti: ancora un paio di figure acrobatiche, looping, tonneau, la «foglia di quadrifoglio», un looping con uscita laterale, poi la picchiata verso la pista, una manovra di apertura, «break», per decelerare, e il velivolo si posa a terra.

Mentre rulliamo rimetto la sicura al sistema d’espulsione, felice di non essere entrato a far parte del club «Martin Baker», dal nome del costruttore di questo sistema, cui sono iscritti «d’ufficio» tutti i piloti che hanno dovuto lanciarsi, sgancio la maschera e respiro a pieni polmoni l’aria «della terra». Appena fermi, un aviere mi libera delle cinghie che mi bloccano gambe, ventre e spalle e esco dall’abitacolo, meravigliandomi perché riesco a stare in piedi. Senza più la distrazione del volo adesso avverto un leggero senso di nausea. Arrivano anche gli altri piloti della pattuglia acrobatica e festeggiamo il mio particolare «battesimo dell’aria».

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Foto di Andy Vanderheyden

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