Ultimo aggiornamento: 30 Agosto 2021
Pattuglia tricolore in Canada
di Francesco Fornari
da La stampa, 22 giugno 1992, p. 11
HAMILTON
DAL NOSTRO INVIATO
Il fumo delle acciaierie della capitale canadese della sideriurgia si fonde con le nubi gravide di pioggia che incombono sull’aeroporto, dove circa centomila persone, incuranti della temperatura quasi polare si sono radunate per assistere all’esibizione della Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica della nostra aviazione militare. Con un rombo assordante dalla coltre gigriastra sbucano i dieci «Macchi Mb-339» nella caratteristica formazione a diamante lasciandosi dietro la scia con i colori della bandiera. È un momento di grande commozione: dei circa 310 mila abitanti di Hamilton, oltre 60 mila sono italiani, nella vicina Toronto su tre milioni i nostri connazionali sono più di 500 mila.
C’è aria di festa paesana sui prati che circondano l’aeroporto; i chioschi offrono hot-dogs e hamburger, ma anche panini di mortadella, pizze, rigatoni al sugo, mozzarelle, vino bianco del Friuli e rosso generoso della Calabria. Per la comunità italiana è festa grande: la maggioranza viene da Racalmuto, piccolo paese vicino ad Agrigento; in questi giorni ricorre la festività di Maria Santissima del Monte, patrona del paese, che viene celebrata anche qui nel rispetto della tradizione. Sabato per le vie di Hamilton c’è stata la processione, accompagnata dalla banda nei caratteristici costumi racalmutesi, ieri mattina grande spettacolo in piazza, con canti, balli e musica. L’arrivo delle Frecce Tricolori, impegnate nella missione «Columbus 92» nell’ambito delle manifestazioni per il cinquecentenario della scoperta dell’America e che proprio ad Hamilton hanno fatto la loro prima esibizione in, è stato accolto con un entusiasmo incredibile.
È la seconda volta che la pattuglia acrobatica si esibisce in Canada e Usa, dopo quella del 1986; quest’anno dopo Hamilton si trasferirà a Timmins e Ottawa, in Canada, poi negli Usa, a Detroit, Battle Creek, Chicago, Sheppard, Atlantic City e Westover, ultima tappa prima del grande balzo verso la base di Rivolto, nel Friuli.
Un viaggio impegnativo, spiega il capo della missione, generale Riccardo Tonini, ricordando le fasi della trasvolata «al limite dell’autonomia dei nostri velivoli e resa ancor più difficile dalle pessime condizioni del tempo». Scortati da due «Breguet Atlantic», attrezzati per il soccorso in mare, i piccoli, saettanti «Macchi» hanno affrontato il tratto oceanico, da Keflavik, da dove sono partiti fra una bufera di neve, a Goose Bay, in Labrador, con una tappa per il rifornimento a Sondrestrom, in Groenlandia. «Abbiamo dovuto fare i conti con un forte vento contrario, che ha raggiunto anche i cento chilometri orari», racconta il colonnello Alberto Moretti, comandante della pattuglia. Una grossa esperienza per questi giovani acrobati dell’aria, autentici assi abituati a volare in formazione con le ali dei loro apparecchi che quasi si toccano, veri funamboli del cielo che concludono le loro esibizioni in maniera spettacolare, con la famosa «bomba» in cui i dieci aerei si sfiorano e si incrociano a 600 chilometri l’ora.
Le pessime condizioni del tempo non hanno permesso al solista del gruppo, maggiore Stefano Rosa, di esibirsi nel «lomcovak», una figura acrobatica che normalmente sfrutta la torsione dell’elica per far ruotare l’aereo intorno ai suoi tre assi: farlo con un reattore richiede un’abilità ed un sangue freddo eccezionali. Il maggiore Rosa è uno dei pochissimi piloti al mondo in grado di farlo. Comunque le emozioni per gli spettatori non sono mancate con i velivoli che sfrecciavano a volo radente, si esibivano in «looping» e «tonneau», davano vita ad una serie di figure acrobatiche mentre il solista dava spettacolo in una esibizione di «crazy flight» sulle note di celebri romanze cantate da Pavarotti, diffuse dagli altoparlanti con la sapiente regia del «dj» dell’arma azzurra, il tenente colonnello Giancarlo Fortuna. Per tutti uno spettacolo d’eccezione, per gli italiani «un magico momento di commozione che ci ha fatto sentire più vicini alle nostre case, alle nostre radici», dice Giuseppe Chiesa, giornalista del «Corriere Canadese», giornale in lingua italiana edito a Toronto dal 1954.