Ultimo aggiornamento: 11 Marzo 2020

Gianluigi Zanovello racconta

di Gianluigi Zanovello
da Rivista Aeronautica, 2016 (?), pp. 118 – 119
e contenuto nel volume “Frecce Tricolori – 55 anni di emozioni”

Da sempre la PAN è sinonimo di precisione, eleganza, fantasia ed estro. Questo è ciò che stimola la visione del programma acrobatico delle “Frecce Tricolori” e che muove centinaia di migliaia di appassionati a voler assistere a uno spettacolo unico al mondo. Ed è sempre stato cosi, per tutti questi 55 anni che hanno visto le “Frecce” esibirsi nei cieli di mezzo mondo. Sono arrivato al 313′ Gruppo Addestramento Acrobatico nel gennaio del 1983. Era appena stato assegnato il nuovo Aermacchi 339 al posto del mitico G.91. Una transizione difficile, sia per chi la seguiva dall’esterno, che per quelli che la vivevano dall’interno. Passare dalle ali a freccia del “gina”, dal suo inconfondibile rombo, dalla sua capacità di rollio, a un velivolo per certi versi più “basico e tradizionale”, con velocità inferiori, con l’ala dritta che non perdo-nava alcuna sbavatura nel mantenimento del parametro di posizione, con la produzione di decibel così diversi (vera musica per un amante del volo), non era facile, Ma al suo arco, il Macchi aveva anche alcune frecce che potevano essere utilizzate a proprio vantaggio. Prima fra tutte la possibilità di rimanere, proprio per le sue caratteristiche aerodinamiche e di manovrabilità, sempre in vista del pubblico. E su questo, oltre che naturalmente sulla finalizzazione delle singole manovre, che tutti i piloti si concentravano: riuscire a “stringere” il più possibile il programma in modo da non lasciare fiato al pubblico che veniva cosi coinvolto direttamente.

Per riuscire a stare dietro a questi 10 velivoli che evoluivano ora di fronte, ora di lato, ora contro il sole, ora dietro una nube, alcune volte uniti e stretti intorno al leader, altre dividendosi in formazioni per disegnare arabeschi colorati nel cielo, altre ancora con il solista che effettuava evoluzioni improbabili e inusuali, i gruppi di appassionati dovevano rimanere sempre concentrati e attenti, alle volte, come ho visto fare di persona, dividendosi i compiti su chi doveva tenere sempre d’occhio, ora il solista, ora la formazione, L’idea era quella di non lasciare il tempo al pubblico di rimpiazzare l’adrenalina che avevano in corpo. Si è passati cosi, nel corso del tempo, da un programma acrobatico di 29 minuti, ad uno di 27, 26… 24 minuti. Tutti senza uno spazio vuoto, un attimo di respiro o di noia. Tutto ciò è continuato negli anni, attraversando con continuità il tempo che ho passato a Rivolto.

Dall’83, come novello pilota e “ultimo arrivato”, al ’94, come comandante di Gruppo. Certo… non era facile “stringere” e stare a portata d’occhio, come erro neamente si potrebbe pensare. Perché il volare in formazione a bassissima quota ed evoluire con sincronia e coordinazione richiede il rispetto di molte regole oltre le quali, sia per questioni tecnicoaerodinamiche, sia per limitazioni umane, non si può andare. Ed ecco allora che subentrava lo studio, l’analisi, la pratica ripetuta all’inverosimile e, non ultima, la tradizione. E nella sala briefing, al Circolo Ufficiali, in mensa, era tutto un discutere, un muovere in sincronia le mani aperte e distese quasi fossero aeroplani, un prendersi in giro, uno sfidarsi. In questo senso l’esperienza di chi ci aveva preceduto era assolutamente importante e infatti i Di Lollo, Sguarcina, Cumin, Montanari, nomi mitici per gli innamorati del volo, non ci hanno mai fatto mancare il loro affetto e supporto. In particolare Massimino, che era ancora in servizio„ dall’89 in poi ha svolto un ruolo fondamentale per l’addestramento dei futuri leader, trasmettendo loro quei piccoli-grandi consigli che però facevano la differenza: «Usa la verticale per stare più vicino, non allungarti in maniera piatta, inizialmente è più difficile ma quando l’hai imparato e assimilato è la cosa più semplice ed efficace del mondo…». Parole uniche e d’oro, che rendevano possibile l’impossibile. Tempi d’oro, vissuti in un ambiente singolare e irripetibile, da giovani appassionati del proprio lavoro, fieri della loro unicità e della loro italianità, con quella sana goliardia che comunque non riusciva a celare la profonda professionalità del singolo individuo e dell’intero Gruppo di Volo. Si perché l’ambiente delle “Frecce” è unico nel suo genere: a Rivolto si riesce a far coesistere la professionalità più estremizzata con la goliardia e la gioia di vivere. Studio e serietà, estro e vivacità.

È in questo ambiente che mi ricordo, con non poca nostalgia, una “sfida” che avevo lanciato al solista di quella stagione. Stefano Rosa. «Never challenge a pilot» dicevano i colleghi americani, sapendo bene quanto “invitante” e irrinunciabile sia, per un pilota, partecipare e superare un sfida. Era il ’92, l’anno della seconda trasferta americana, quello del secondo “Campionato del Mondo” come lo aveva battezzata il nostro ufficiale tecnico Baron (che naturalmente avremmo vinto…). La sfida iniziava sempre cosi: «eh.. caro Stefano, credo che proprio che oggi mi prenderò l’attenzione di tutto il pubblico… stringerò così tanto il programma che tu non avrai il tempo di rientrare davanti a loro e fare le manovre che devi… mi dispiace per te…». Il solista infatti “riempiva” gli spazi e i tempi tra le apparizioni della formazione di fronte al pubblico. Non è un lavoro semplice, anche perché nei riposizionamenti non poteva permettersi il lusso di perdere quell’energia essenziale per l’effettuazione delle varie manovre. E la sfida prendeva corpo a ogni manifestazione, con i risultati che poi si potevano vedere sulle facce felici e ammirate degli appassionati e del pubblico e si leggevano sulle pagine dei giornali del giorno dopo. Non vinceva naturalmente nessuno, ma trionfava alla fine il Gruppo, le “Frecce”, l’Aeronautica Militare e, visto che eravamo all’estero, l’Italia. E al termine del volo il rito era sempre lo stesso: ci si trovava di fronte al velivolo n.1, Stefano estraeva dal taschino il pacchetto di sigarette, me ne offriva una guardandomi con quel suo sorriso sornione, due tirate e poi… una risata aperta che scioglieva tutta la tensione che si era accumulata in quei 25 minuti scarsi…. «… ma la prossima volta…»!

Uno che non conosce l’ambiente e la professionalità che contraddistingue i piloti militari e quindi anche i piloti della PAN potrebbe pensare che sfide come queste siano pericolose, che permettono a personalità “macho” di esprimersi con assoluto disprezzo del pericolo. Ma basta venire a contatto, anche solo superficialmente, con questa realtà, che si riesce a percepire immediatamente quanto invece sia profonda e radicata la serietà e l’attenzione con le quali viene affrontato il volo e quanto l’addestramento, ripetuto all’inverosimile, consenta una consapevolezza delle difficoltà e dei pericoli che permettono alla sicurezza di ricoprire il ruolo principale nelle attività giornaliere. Al di là di tutto, però ciò che è bello delle “Frecce” è il fatto che è sempre esistita una continuità nella tradizione.

In questo senso c’è un fatto curioso che mi è accaduto lo scorso anno. Sul telefonino mi arriva la foto di un poster del ’94, quello con le Frecce che passavano vicino alle torri di Kuwait City. Il calendario, con tutte le firme dei piloti di allora, aveva una dedica sottofirmata dal sottoscritto in qualità di comandante. Era successo che nel marzo del ’94, mentre rientravo in palazzina piloti dopo un volo di addestramento, venni fermato da un appassionato che era venuto a godersi una giornata di volo delle “Frecce” a Rivolto, «Comandante mi scusi, potrebbe far avere al mio piccolo uno dei vostri nuovi poster?», Li accanto c’era suo figlio, un ragazzino sorridente, con lo sguardo sveglio e sognante di chi ha appena visto realizzarsi il proprio sogno. Ed ecco il poster, con tutte le firme e con la dedica personalizzata. Mirco Caffelli, con simpatia, le Frecce Tricolori”, firmato G. Zanovello. Chi avrebbe potuto ipotizzare che quel ragazzino, meno di 20 anni dopo sarebbe diventato, il leader della PAN dal 2013 ad oggi! Qualche giorno dopo aver ricevuto quella foto, feci recapitare a Caffelli un pacchetto. Dentro c’era un pennarello nero a punta grossa e un bigliettino: «Per dedicare un poster delle “Frecce” al leader della formazione del 2034!».

Riflessione del Capoformazione delle “Frecce Tricolori”, Magg. Pil. Mirco Caffelli

da “Circolo della PAN” – Notiziario riservato ai Soci del Circolo della Pattuglia Acrobatica Nazionale
1° marzo 2014 – n° 27, pp. 1-2

Caro Presidente,
ho portato a compimento il “compito per le vacanze” che mi aveva simpaticamente assegnato: “tirare le somme” in termini di emozioni ed eventi significativi durante questo mio primo anno da Capo Formazione delle “FRECCE TRICOLORI”.

Non voglio raccontare uno sterile elenco delle manifestazioni fatte nella stagione appena trascorsa o di eventi che potrebbero essere stati significativi per me ma non per altri; bensì vorrei condividere una riflessione che ho avuto modo di fare proprio durante le vacanze natalizie, di quanto, a volte, la vita sia incredibilmente strana.

Ho passato il Natale a casa dei miei genitori nel mio paesino natale, Guastalla in provincia di Mantova, e nei momenti di pausa tra un’abbuff ata e l’altra (mia mamma quando torno a casa cucina come se fossi stato in guerra per anni…) mi sono rivisto un pò di vecchie foto, ricordi di quando ero ragazzino.

Confesso che mi ero dimenticato di quanto fossi appassionato di volo e di tutti i sogni che avevo a riguardo; come se gli anni passati tra studi in Accademia, corsi di volo, esperienze di reparto operativo, avessero off uscato quella “fiamma”, quella spinta motivazionale che mi ha portato dove sono oggi.

Un “poster” in particolare ha colto la mia attenzione, un calendario del 1994 delle “Frecce Tricolori” con la dedica: “ A Mirko Caffelli con simpatia, le FRECCE TRICOLORI “ – Rivolto 24.3.94, firmato dall’allora Comandante Gigi Zanovello e da tutti i Piloti.

Mi è mancato il fiato perché come se avessi “spolverato” con un solo soffio vent’anni di sogni e speranze per intraprendere questo lavoro.

Ricordo quel giorno come fosse ieri; mio padre trasportava con il camion (lo fa tutt’ora) prosciutti a San Daniele ed ero riuscito a convincerlo a marinare la scuola per poter andare con lui, con la falsa promessa che lo avrei aiutato (ho dormito tutto il viaggio…) in cambio di andare a vedere le miti che “Frecce” visto che erano così vicine a destinazione.

Quel giorno, non mi chiedete come, riuscimmo a varcare il cancello della base con il camion. Era un giorno piovoso, riuscii a vedere pochi aerei in volo ma ero comunque al settimo cielo. Ebbi anche la possibilità di visitare l’hangar e scattare qualche foto su un MB 339.

Sono passati esattamente vent’anni. Oggi quel cancello lo varco ogni giorno per andare al lavoro; mi siedo ogni giorno su un MB 339 per andare in volo.

Oggi ho l’onore di essere il Capo Formazione delle “Frecce Tricolori”, le stesse che vent’anni prima ammiravo con il naso all’insù.

Quando capita di scambiare quattro chiacchiere con gli “ex” che ci vengono a trovare, mi colpisce sempre la raccomandazione che ci fanno con gli occhi lucidi: “godetevi il momento, sentite ogni passo che calpestate quando camminate in questo Gruppo, assaporate ogni singola esperienza che questo Gruppo sa dare”.

Caro Presidente, cari amici del “Circolo della P.A.N.”, vi assicuro che lo faccio, che tutti i miei colleghi lo fanno, consapevoli che siamo i fortunati di oggi, che hanno raccolto le tradizioni di ieri e che le tramanderanno, con un pizzico di nostalgia, ai fortunati di domani.

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