Ultimo aggiornamento: 6 Maggio 2019
L'INTERVISTA - Jan Slangen, 38 anni, è il comandante delle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica dell'Aeronautica: «Il talento è importante, ma volontà e costanza molto di più»
da lafonderia.org [ fonte ]
«La tradizione e il talento. Lo stile e l’estro». il maggiore Jan Slangen elenca i valori che il mondo ci invidia. Gli stessi che, esibizione dopo esibizione, la sua squadra cerca di disegnare in cielo. Nelle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica più ammirata del pianeta, il 38enne romano di padre olandese ha volato per sette anni, tre da capo formazione. E dall’ottobre del 2012 ne è al comando. Le acrobazie, ora, le coordina da terra nella base di Rivolto, in provincia di Udine: «In un momento difficile come questo è ancora più importante celebrare il senso della patria, del territorio, delle istituzioni», dice alla Fonderia dei Talenti.
Sognava di fare il pilota, come tutti i bambini?
«A dire il vero è una passione dell’adolescenza. A Roma, dove sono cresciuto, di aerei non ne vedevo molti. Poi un mio amico mi ha fatto conoscere l’aeronautica militare ed è stato amore a prima vista. Ho presentato domanda per l’Accademia di Pozzuoli: c’erano circa 50 posti per oltre 5mila domande…».
Il primo volo se lo ricorda?
«Fu qualche settimana dopo l’inizio della scuola. I primi giorni erano serviti per entrare in contatto con la realtà militare e fare le prove fisiche. Poi ci portarono alla scuola di volo di Latina. Non posso dimenticarmi i momenti della preparazione, indossare il paracadute e il casco. Era un aeroplano a elica base, due posti, una macchina piccola dove si percepisce ancora di più il fatto di essere in volo. In quel giro ha fatto tutto l’istruttore, io non ci ho capito quasi nulla. Ma mi sono divertito molto».
Che qualità sono necessarie per fare il pilota?
«Qualità fisiche: il volo è una prova faticosa, ci sono accelerazioni notevoli. Per affrontarlo bisogna essere in forma. Poi viene tutto il resto: la concentrazione, la velocità di pensiero, la capacità di affrontare l’imprevisto. Ma davvero fondamentali sono la dedizione al sacrificio e la voglia di farcela».
Come si entra nelle Frecce Tricolori?
«Tutti i piloti della pattuglia provengono da reparti operativi in cui si vola con veicoli ad alte prestazioni, i caccia. Cerchiamo ragazzi giovani, ma con un’esperienza professionale di almeno sette anni e un’attitudine a lavorare in squadra. Aspettiamo che siano loro a presentare la domanda: il volo acrobatico è diverso da quello tradizionale, ci deve essere la volontà di rimettersi in gioco e imparare qualcosa di nuovo».
Quando si è iscritto all’Accademia immaginava sarebbe finito lì?
«Le Frecce sono un reparto prestigioso, di élite. Non tutti i piloti militari aspirano a entrarci, ma per me era un sogno nel sogno. All’inizio nascosto, poi piano piano sempre più chiaro».
Il comandante non vola più. Qual è il suo ruolo ora?
«Ho finito tutto l’iter di volo. Ora il mio compito è coordinare da terra le operazioni, ma anche dirigere un reparto di cento persone, gestendo le risorse umane e economiche. Una specie di manager».
Quanto si rischia nella vostra professione?
«Abbiamo un rapporto quotidiano con il rischio, l’imprevisto può capitare in ogni volo. Le condizioni meteorologiche, il grado di stanchezza, ogni pilota deve imparare a adattare la perfomance sulla base delle circostanze per diminuire le probabilità di errore».
La tecnologia vi aiuta?
«Il nostro volo è completamente a vista, si guarda fuori durante le acrobazie. L’unico modo per ridurre il margine di rischio è provare e riprovare. Di continuo, anche due o tre volte al giorno. Se non voliamo per tre giorni ce ne accorgiamo subito, se non lo facciamo per una settimana se ne accorge anche il pubblico. Passa tutto dall’addestramento».
Un pilota di talento spicca sugli altri?
«Ci può essere un pilota che spicca, il talento è importante. Ma non basta. Noi cerchiamo proprio di sganciarci dallo stereotipo alla Top Gun. Servono la volontà, la passione, soprattutto la predisposizione a impegnarsi con costanza per un lungo periodo di tempo. Da questo punto di vista chi arriva a volare tra le Frecce ha superato così tante prove che è una garanzia».
Lei ha volate per oltre 3mila ore. Ci si emoziona ancora come la prima volta?
«In effetti si perde un po’ di emozione. Ma la si riacquista una volta atterrati, osservando la passione negli occhi del pubblico. Penso ad esempio al calore e all’entusiasmo che ho vissuto a Mosca nel 2012. Non ero mai stato in quel Paese e c’era un milione di spettatori. Quando sei su non senti nulla, ma vedi la macchia di persone. Era enorme».
E la manovra a cui è più legato?
«L’alona, che conclude l’esibizione. La pattuglia disegna il tricolore più lungo al mondo e il solista la incrocia nella direzione opposta. Sarà la velocità, sarà l’adrenalina. Ma veder scattare i flash delle macchine fotografiche è un’emozione fortissima».