Ultimo aggiornamento: 15 Maggio 2019
di Dario Paoli
da Sicurezza del Volo, Anno LX, n° 290, marzo/aprile 2012, p. 2 e segg.
Nel periodo invernale, lontano dai riflettori e dagli applausi della stagione di manifestazioni, la Pattuglia Acrobatica Nazionale si sottopone ad un intenso programma di addestramento che culmina ogni primo maggio con il debutto della “nuova” formazione.
Al termine di ogni stagione, un delicato avvicendamento si estrinseca nel graduale inserimento di uno/due piloti che, oltre ai naturali cambi di posizione tra i “titolari”, genera anche l’inevitabile uscita dei “veterani”.
Il cielo di Rivolto è, insomma, il testimone silenzioso di un affascinante tramandarsi di tradizioni aviatorie vecchie quanto le Frecce Tricolori. Se è vero che l’immagine che identifica le Frecce è quella di una formazione di dieci velivoli, è altrettanto vero che una parte significativa dell’addestramento avviene a “sezioni” separate. È proprio in questa delicata fase addestrativa che si verifica l’evento descritto in questo approfondimento.
Quest’ultimo non ha l’intenzione di risultare come una semplice ricostruzione ma di rappresentare, piuttosto, l’occasione per una più profonda osservazione e valutazione dei fatti e delle dinamiche di gruppo, nell’ottica del funzionamento di un efficace sistema di prevenzione.
È la tarda mattina del 29 gennaio quando la “Linea davanti” al completo si prepara per andare in volo.
“Linea davanti” è il nome che, in gergo, si da alla “sezione” formata dal Leader (1) e dai Primi e Secondi Gregari Sinistri (2 e 4) e Destri (3 e 5). Sono il Primo Gregario Destro e d’ora in poi, riferendomi alle posizioni in formazione, proprio come in volo, dirò soltanto il numero.
Mi piace questa posizione, ho avuto l’onore di volarla per due stagioni di seguito anche se non nell’ultima. Il 2 ed il 5, già “titolari” nel team, sono in addestramento per acquisire le posizioni e volano “a doppio”, il 4 e l’1 hanno volato la medesima posizione nell’ultima stagione.
In questa missione l’attenzione è rivolta ad una manovra complessa e spettacolare: il “Ventaglio”.
Si tratta di una “presentazione” in volo livellato in formazione stretta, seguito da una simmetrica separazione dei gregari esterni ed interni, una rotazione completa sull’asse di rollio ed un successivo ricongiungimento sul leader nel looping che introduce la manovra successiva.
Forse è più semplice a farsi che a dirsi ma prima che la manovra raggiunga gli standard di sicurezza e precisione che gli competono, sono molti e graduali i passi da percorrere. Uniti ad un numero inimmaginabile di ripetizioni.
Cosi eccoci qua: cinque velivoli allineati in pista, tre nodi di vento da Sud, qualche sfilacciato strato di nubi intorno ai 7000 ft.
Sono le 11:32L e le ruote del Leader si staccano dal suolo, seguite da quelle dei gregari. Subito su ed a destra prima della Schneider d’ingresso, poi il programma si “accende” e scivola via veloce fino al “rientro” del Ventaglio.
A terra, in un punto ideale per l’osservazione, un pilota anziano scruta la formazione e commenta le manovre. È l’ufficiale in “Biga” e, ad esclusione dei primissimi voli addestrativi, non c’è missione che evoluisca nel cielo di Rivolto senza questa supervisione.
Durante qualsiasi Manifestazione, quello è il ruolo del Comandante.
La formazione affonda veloce nella livellata di presentazione, una piccola ala di gabbiano di 5 aeroplani che sputa all’improvviso un sentiero bianco di fumi.
È un limpido codice di ordini quello che il leader sentenzia nella sua maschera e nei caschi arriva come un’imbeccata da direttore d’orchestra.
In momenti reciprocamente simmetrici quattro piloti “inclinano”, “staccano” e, in un attimo uguale per tutti, “girano”. Ed ancora una tirata decisa nel verticale, seguita da una pressione pesante del piede, riporta tutti gli occhi sulle ali che devono seguire. Da rovescio 5 aerofreni, come bocche affamate, si spalancano in cerca d’aria mentre la biga già attende impaziente il richiudersi, per iniziare a commentare. È la prima esecuzione di una lunga serie ed il commento, le percezioni vissute, il punto di vista di chi vola nel posto posteriore, sono dati di telemetria primordiale da cui attingere a piene mani per la prossima ripetizione.
Il Ventaglio è una manovra tanto misurata, nelle fasi dello stacco e dell’inclinazione, quanto brutale e “cattiva nella rotazione”. A fondo corsa.
Non è certo una rotazione pulita, basta guardare l’aerodinamica delle ali del 339 per capirlo. Da rovescio, infatti, il muso scende inesorabilmente verso il basso e, senza una piccola “lavorazione” del pilota, per tornare sopra l’orizzonte, la stessa rotazione finirebbe ad una quota più bassa dell’inizio. Un Ventaglio cosi lo chiamiamo “scaduto” e, per vari motivi, non è quello che cerchiamo. La “lavorazione” è più di un tocco dello chef, è un “pizzico” di spinta somministrato nel momento giusto e, come ogni correzione, può risultare eccessivo o scarso nell’entità, quanto in anticipo o in ritardo nel tempo. Il risultato è uno scostamento laterale della rotazione rispetto a dove era iniziata.
I Ventagli cosi li chiamiamo “usciti” o “entrati” e, come sopra, non sono quelli che cerchiamo. Quello che cerchiamo non “scade”, non “entra” e non “esce”. E tutto questo lavoro serve ad imparare solo “Quello”.
Il tempo scorre proficuamente mentre i musi continuano a “girare”, c’è sempre qualcosa che poteva essere migliore, ci sarà sempre qualcosa che poteva essere migliore.
È un limite, è un tendere all’infinito verso qualcosa di matematicamente irraggiungibile. Non stiamo inseguendo il limite. No. Vogliamo soltanto eliminare il maggior numero di sbavature ed essere sicuri che l’imperfezione, intrinseca, sia categoricamente all’interno dei parametri assoluti della sicurezza.
Sono da poco passate le 11:50L quando la formazione si ripresenta da Udine. “Colorati via” ordina l’1 e, dopo un attimo, per l’ennesima volta le scie dei fumi aggiungono colore ad un cielo quasi sereno. “Esteernii viaaa, Rombooo viaa” è più di una preghiera e non c’è pilota delle Frecce che non riconosca il suono ed il significato della litania. Ogni nota ha, semplicemente, la sua azione. La mia mano inclina leggera la barra separandola dal movimento di una netta, misuratissima tirata che mi porta a galleggiare più largo e più in alto. Lì sopra, nella visione d’insieme dell’orizzonte e dell’1 e la consapevolezza del 5 in una situazione identica sul riferimento di me stesso, le frazioni di secondo si dilatano prima dell’ordine: “Tonneaux!”. “A fondo corsa” è quello che la mia mente chiede, e la mano, fotogramma per fotogramma si sposta verso destra e, ad ogni millimetro di escursione della barra, gli alettoni spostano volumi d’aria via via crescenti ed inversi che mi fanno avvitare sempre più velocemente.
So fino a che punto devo portare la barra, il fine corsa è proprio là, stop di metallica durezza nella posizione che il polso, l’avambraccio e la spalla conoscono d’istinto rispetto a me stesso.
Sto per iniziare a valutare quanto il tutto dovrà essere “lavorato” quando, con mia grande sorpresa, la mano, il polso, l’avambraccio, la spalla e soprattutto il mio cervello “rimbalzano” su un fondo corsa che non riconosco per niente.
È un’inaspettata, insospettabile sorpresa.
Un impedimento, credo di aver pensato, mentre il mio processore impenna la sua normale frequenza d’esercizio verso il picco più alto che possa generare.
Impedimento sulla barra? Impedimento sugli alettoni? Rottura di un servocomando? Sono prossimo al rovescio mentre ancora lavoro alla traduzione del banalissimo assioma, “a destra ho sbattuto su qualcosa che impedisce l’escursione completa”, in un’azione semplice ed urgente per un velivolo che da rovescio sta per scadere di muso sotto l’orizzonte.
Non c’è neanche un infinitesimo di conoscenza di tutte le mie ore di volo, di racconti di altri piloti, di trafiletti scritti in corsivo in qualche Dash-One sfogliato e risfogliato, che contenga l’informazione che vorrei per sistemare una certezza che è più di una complicazione: non sto “girando” da solo. Libero arbitrio è quello che rimane e, in questo urto inaspettato, quello che decisamente non mi sembra logico sarebbe continuare a spingere nella direzione dell’intralcio. Non voglio sentire la barra imprigionarsi in qualcosa che avverto solo in questo momento e di cui non ho mai nemmeno immaginato l’esistenza.
Non sarebbe una soluzione sicura, sarebbe una scommessa mentre quasi mi compiaccio dell’elasticità dell’urto che da sola sembra indicarmi la direzione della soluzione. “Interrompo e rimetto dall’altra parte” è, quella che Weiner, Kanki ed Helmreich nel loro “Cockpit Resource Management” chiamerebbero “risoluzione creativa”, sintesi di tutti i pensieri di questo attimo, durato meno di niente e già finito.
Cosi faccio e già la testa e gli occhi esplorano ogni angolo alla ricerca dell’1 e del 5 mentre ho la sensazione che il mio “finto” Ventaglio “scada ed esca”.
Un’ipotesi di consapevolezza confermata dai fatti, mentre ricambio lo sguardo ai caschi bianchi sul 5 che mi scrutano da una posizione più alta e più larga e controllo la mia voglia di uscire dall’1 con uno sforzo di piede somministrato di fretta. Tutto finito e cinque aeroplani, come se niente fosse, vanno via dritti senza tirar su mentre la biga resta ancora silente. Confesso che, nel primo millesimo di secondo, l’Amigdala deve aver prodotto una reazione fortemente emotiva se la prima cosa che penso e non dico è “voglio farne subito un altro”. Ho imparato da poco l’esistenza e le funzioni dell’Ipotalamo ma, nel millesimo successivo, deve essere lui a moderare una saggia alternativa che subito accetto: avverto il Leader dell’inconveniente e mi porto all’atterraggio senza altri problemi. Sono le 11:59L, sono già atterrato e, liberando la pista, provo a muovere i comandi alla ricerca di un blocco sulla barra che, a terra, già sembra vaporizzato come un diavolo in chiesa. Spengo un velivolo, ormai senza macchia, e lo consegno nelle mani esperte dei tecnici.
Ritengo che siano almeno due le aree di interesse nella trattazione dell’accadimento descritto.
L’analisi delle cause, quindi il punto di vista tecnico, e la comprensione di come le dinamiche sociali intrinseche ad un Team reagiscano alla sollecitazione di un evento imprevisto. Iniziando proprio da quest’ultimo aspetto.
Mentre l’analisi “tecnica” avanza secondo un protocollo di procedure, gli esseri umani interagiscono, discutono, valutano, esprimono giudiidenzi, risolvono problemi.
In un Team tutte queste naturali attività esistono all’interno di dinamiche sociali ”diverse”. Per Katzenbach e Smith, nel loro “The Wisdom of Teams: creating the high-performance organizations”, il Team può essere definito come ”un limitato numero di persone dotate di abilità complementari che perseguono un obiettivo comune, condividono una comune metodologia di lavoro e si ritengono personalmente responsabili del successo dello stesso”.
Seguendo la logica dei concetti da loro descritti, nel Team i risultati sono sempre ottenuti dal prodotto dello sforzo collettivo, a seguito di una profonda e radicata condivisione di informazioni e di idee. È di fondamentale importanza notare come i
feedback debbano essere onestamente forniti nell’ottica unica del problema e non della persona. E soprattutto, e questo è un punto decisamente rilevante nella nostra disamina, la responsabilità è vissuta individualmente e collettivamente per la puntualità e la qualità dei risultati complessivi. Vale a dire in funzione del conseguimento di quello che è identificato come il fine comune.
La maggior parte delle dinamiche appena discusse è facilmente rintracciabile nella realtà quotidiana di un Team molto particolare: i piloti delle Frecce Tricolori.
Non è certo un caso se, dopo ”l’evento” ed esattamente come accade dopo ogni volo, tutti i piloti si ritrovano in aula briefing, per ascoltare la descrizione dettagliata di quanto è accaduto. In questo caso sono proprio io ad illustrare, con dovizia di particolari e qualche nota di colore, l’esistenza di un impedimento tanto significativo ed inaspettato da indurmi ad interrompere una manovra. Un impedimento che è ancora introvabile a terra. Per la natura intrinseca dell’essere un Team, oltre alla proficua condivisione di informazioni e valutazioni risolutive, il loro essere qui è soprattutto una significativa azione di mutuo supporto e quindi di fiducia nell’ottica della ricerca di un miglioramento.
Superare dei momenti difficili insieme è, infatti, il modo in cui un Team costruisce fiducia e confidenza nell’azione nei membri che lo costituiscono.
Tale azione costituisce inoltre un rafforzamento reciproco della collettiva intenzione di perseguire un risultato. Essendo quest’ultima la ragione stessa dell’esistenza del Team risulta chiaro quanto il momento del superamento del problema rappresenti, nel medesimo istante, tanto un momento critico quanto una straordinaria opportunità di miglioramento.
Per la natura dell’accadimento, oggetto di questa trattazione, è assolutamente significativo notare come questa cruciale opportunità non possa prescindere dal riconoscimento di una evidenza di natura tecnica che rappresenta, tra l’altro, il fine ultimo dell’azione di un altro Team molto particolare: i tecnici delle Frecce Tricolori.
È quindi, particolarmente evidente quanto il successo di un Team sia conseguentemente imprescindibile dal successo dell’altro.
Volendo rappresentare simbolicamente questa verità concettuale mi viene spontaneo ricorrere ad un immagine classica della Sicurezza del Volo: anelli indissolubili di una medesima catena.
Utilizzo volentieri questa immagine per contrapporla a quella ben più conosciuta della “catena degli eventi” che rappresenta, invece, la serie di cause che conduce ad un incidente.
La ricerca di un riscontro tecnico che spieghi l’inconveniente merita, di per sé, un piccolo approfondimento: sebbene il velivolo fosse sempre risultato perfettamente integro, il 24 Aprile 2008 il pilota aveva percepito una lievissima rugosità sulla barra nel comando di rollio. Una percezione lievissima, niente a che vedere con lo stop brutale dell’evento, niente che pregiudichi la Sicurezza del Volo, niente che riduca la precisione del volo. Soltanto una percezione non riscontrabile a terra.
La percezione torna in altre 5 occasioni (28 aprile, 6 maggio, 26 giugno, 2 novembre, 19 novembre) e nonostante i costanti interventi tecnici (lubrificazione della linea dei comandi, lubrificazione della sensibilità artificiale, serraggio del pacco cuscinetto barra posteriore, sostituzione dei filtri idraulici, sostituzione aileron servo sinistro e destro) il solo beneficio prodotto consiste in un lasso di tempo variabile prima del “ritorno” del medesimo sintomo.
Dal 19 novembre al 29 gennaio, data dell’evento discusso, tutto funziona regolarmente. Attingendo dal modello teorico di James Reason non è possibile dimostrare, a priori, la presenza di condizioni latenti in grado di evolvere nell’inconveniente in oggetto.
Tale, auspicabile, dimostrazione si estrinseca soltanto allorquando le evidenze emergenti, di fine investigazione, sono tali da provarne l’esistenza.
Lasciando i suddetti argomenti alle fasi conclusive dell’approfondimento, è sufficiente, in questa fase, ricordare quanto riportato nella pubblicazione “Elementi di Sicurezza del Volo” in materia di System Safety: “In un sistema sicuro, ben controllato, condizioni latenti ed attive interagiscono ma non sempre conducono alla rottura delle difese”.
E la ricerca ininterrotta della causa di una lieve e non pregiudizievole percezione del pilota costituisce, di per sé, un esempio di sistema di difesa sicuro e ben controllato ispirato dal concetto di prevenzione proattiva. Ed insito nelle definizioni di Prevention Management e Pro-Active Management.
Una mattina della settimana seguente, un eccellente gruppo di tecnici scoprirà, nella fusoliera anteriore, i segni di un’interferenza tra l’assieme tubazione air press e le parti che collegano l’asta del potenziometro al cinematismo comando alettoni. In particolare, la guaina termorestringente che avvolge la tubazione risulterà inequivocabilmente “segnata” all’altezza della sottostante fascetta identificativa.
L’entità dell’interferenza, non riproducibile al suolo ed evidenziata dalla profondità dei segni, risulterà assolutamente compatibile con l’impedimento da me avvertito durante la rotazione. A seguito di una dettagliata S.I. e degli accertamenti dell’R.M.V., ARMAEREO emetterà una P.T.A.I. (Prescrizione Tecnica Applicativa Interim) per rendere esecutiva la P.T.D.I. (Prescrizione Tecnica Ditta Interim) ad “Azione Urgente” della ditta intitolata “Controllo per interferenza tubazione air press/cinematismo posizione alettoni” che confermerà che la causa dell’accaduto è da attribuirsi ad una interferenza verificatasi tra l’assieme tubazione e le parti che collegano l’asta del potenziometro al cinematismo comando alettoni.
La P.T.A.I., che riguarda tutta la linea MB-339A in configurazione MLU ed MB-339CD, prescriverà, se necessario, la rimozione dello stesso trasduttore. Vale, a questo punto, riprendere quanto introdotto in materia di condizioni latenti: la prescrizione mira proprio alla totale eliminazione di potenziali condizioni di latenza dall’intera flotta, in relazione all’evento in oggetto.
Diversamente non può mettere in relazione le percezioni di rugosità latenti precedenti all’evento trattato, che infatti verranno chiarite, a seguito di un’ininterrotta e separata attività investigativa, soltanto pochi mesi più tardi.
È evidente quanto ogni singola componente di un sistema, che ruota attorno all’esercizio dell’attività volativa, necessiti di un’adeguata educazione in materia S.V. che non può che essere inspirata da una precisa volontà di comando. La complessità delle variabili, che emergono dalla semplice analisi di un banale inconveniente di volo, è sufficiente a dimensionare l’ampiezza e la profondità dell’ideale campo di azione della Sicurezza delVolo in materia di prevenzione.
È efficace immaginare quest’ultima come una quotidiana battaglia di piccole critiche scelte da contrapporre all’inerzia insidiosa della compiacenza e della facile soddisfazione. Essendomi già soffermato sulla tipicità sociologica dell’essere Team e sul riflesso di tale condizione sull’evento descritto, mi piace concludere questa trattazione riferendomi ancora una volta ad una citazione della pubblicazione “Elementi di Sicurezza del Volo” che ritengo essere particolarmente attinente alla trattazione appena conclusa: “La S.V. deve essere guidata dall’evento in se stesso e non dal suo risultato.
L’investigazione (sul risultato) è solo una parte (molto piccola) della S.V., la Prevenzione (sugli eventi/circostanze rischiosi) è la parte più importante e ad alto valore aggiunto per la Sicurezza del Volo ma soprattutto per l’operatività e capacità di combattimento della Forza Armata”.
Bibliografia
Wiener E.L., Kanki B.G., Helmreich R.L., “Cockpit Resource Management”, Academic Press Inc.1995.
Goleman D., “Intelligenza Emotiva” ed. CDE, 1999.
Katzenbach, J.r., Smith, D.K., “The Wisdom of Teams: Creating the High-Performance Organizations”, Harper Businness, 1993.
Reason J., “Human Error”,Cambridge University Press, 1990.
Gen. D.A. Valente P., “Elementi di Sicurezza del Volo”, Istituto Superiore per la Sicurezza del Volo, 2008.